Pianeta vuoto. Siamo
troppi o troppo pochi?
di Darrell Bricker e John Ibbitson
traduzione di Silvia Manzio
add editore, 2020
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Il mondo urbano che stiamo diventando sarà dominato da una popolazione geograficamente concentrata, più vecchia e meno feconda. E poiché questo fenomeno si sta verificando con più intensità nelle regioni che, per tradizione producono le eccedenze di popolazione che migrano, e in quelle stesse regioni anche la povertà è in declino, in un futuro non troppo lontano gli immigrati potrebbero farsi rari. Ecco perché i Paesi sviluppati con problemi di fecondità dovrebbero spalancare le porte, mentre invece le stanno chiudendo. Questa è pura follia. (p. 184)
Il saggio dei canadesi Bricker e Ibbitson, rispettivamente
amministratore della Ipsos Social Affair e analista politico e editorialista
del The Globe and Mail, parte da un
presupposto tanto semplice quanto controintuitivo: vale a dire che le
previsioni degli istituti di ricerca dell’Onu, così come della stragrande
maggioranza degli studi di settore che prevedono un incremento vertiginoso
della popolazione mondiale nei prossimi decenni, siano in errore. Alcune delle
stime, infatti, basandosi su quanto avvenuto finora, ipotizzano che la specie
umana arriverà a toccare quota undici miliardi, mentre altre parlano di numeri
addirittura superiori. È ovvio che, considerate le problematiche relative alla
produzione di cibo e di risorse energetiche che stiamo vivendo già in questi
anni, la conseguenza immediata di tali numeri da capogiro sarebbe un mondo a un
passo dal collasso. Riusciamo a immaginare un pianeta Terra popolato da oltre
dieci miliardi di abitanti?
Bricker e Ibbitson, basandosi su altri dati, vanno in direzione contraria e sostengono che la popolazione mondiale aumenterà nei prossimi anni, sì, per poi però cominciare a declinare. Nelle circa trecento pagine di cui è composto Pianeta vuoto, i due autori portano dati difficilmente confutabili – in quanto ricavati perlopiù da istituti nazionali di statistica –, i quali mostrano con una evidenza quasi matematica il trend che sta attraversando i Paesi sviluppati da circa un cinquantennio a questa parte, e che a breve colpirà (o sta già colpendo) anche i Paesi invia di sviluppo.
Ciò che porta ovunque un abbassamento della fecondità al di
sotto di quei 2,1 bambini per donna che segna la “soglia di sostituzione” –
ossia quel numero necessario a mantenere la popolazione stabile nel tempo – è
proprio che contraddistingue la nostra epoca: aumento dell’urbanizzazione e
dell’industrializzazione; incremento delle condizioni di vita delle persone e
relativo innalzamento dell’aspettativa di vita connesso con un repentino
abbassamento della mortalità; generale miglioramento dell’istruzione femminile
anche nei Paesi in cui la donna ha da sempre un ruolo marginale, con la
conseguenza immediata di un maggior controllo da parte delle donne sul proprio
corpo e sul proprio destino. Tutto questo porta le coppie a fare meno figli, a
farli più tardi, a volte ben al di là dei quarant’anni. Il
risultato, agli occhi dei due autori, è lampante: popolazioni sempre più
vecchie, con sempre meno componenti attive e sempre più anziani da mantenere.
Quale futuro ci aspetta, dunque? Dopo circa 260 pagine di dati e relative analisi – a volte si ha l’impressione che vi sia stato un eccesso di zelo riguardo i dati accumulati poiché, in definitiva, Bricker e Ibbitson mostrano come ovunque nel mondo stia avvenendo lo stesso processo; e allora perché infarcire il lettore con informazioni ridondanti? –, l’ultimo capitolo, “Cosa ci aspetta”, mostra alcuni dei possibili scenari del prossimo futuro. Questo capitolo è il più interessante perché, oltre a tirare le somme dei precedenti com’è ovvio, porta anche delle potenziali soluzioni pratiche: «urbanizzazione, innovazione e spopolamento potrebbero essere la ricetta migliore per fermare la marcia del cambiamento climatico» (pp. 271-2), affermano, e aggiungono poco dopo che «senza una forte etica del multiculturalismo, l’immigrazione è una ricetta disastrosa» (p. 277). Quella che loro chiamano la “soluzione canadese”, ossia un’apertura delle frontiere da parte dei Paesi sviluppati, i cui tassi di fecondità si aggirano intorno a un pericolosissimo – e non solo per l’identità nazionale – 1,5, potrebbe essere una via praticabile a fronte di un problema reale, vale a dire la prospettiva di una carenza di forza lavoro negli anni a venire Fattore, questo, che potrebbe portare al collasso una nazione come il Giappone in brevissimo tempo.
Pianeta vuoto è un
saggio che affronta con una forte vena critica il presente, e lo fa avendo i
piedi per terra e le mani nelle statistiche nazionali e internazionali. A volte
si ha l’impressione che i due autori siano stati un tantino spinti da un bias scientifico – ossia che il declino
della popolazione mondiale sia inevitabile – e tuttavia resta forte la
convinzione che non stiano sbagliando nelle loro previsioni. La domanda resta
importante davanti agli occhi del lettore: che ne sarà della specie umana nel
prossimo futuro?
David Valentini
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