di J.M. Coetzee
Traduzione di Maria Baiocchi
Einaudi, 2016
€ 10,45 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)
Un non-tempo, un non-luogo. Questo il contesto in cui si sviluppa Aspettando i Barbari, il romanzo del 1980 che diede notorietà a livello planetario a John Maxwell Coetzee, scrittore di origine sudafricana che aveva all’attivo altri due titoli, precedenti di qualche anno.
Aspettando i Barbari si apre con l’immagine destabilizzante degli occhiali neri indossati dal Colonnello Joll, che dalla capitale dell’Impero arriva presso l’insediamento al confine per ispezionarlo in vista di una prevista offensiva contro i Barbari che incombono alle porte. Questo almeno è quello che il Colonnello sostiene, mentre spiega le ragioni della sua presenza al Magistrato, ossia colui che ha il compito di gestire e amministrare l’insediamento.
Il Magistrato, che vive in quell’avamposto da decenni, è il narratore della vicenda; lo seguiamo nel suo tentativo di mostrare al Colonnello la realtà fattuale, per cui i Barbari altro non sono che inoffensivi pastori nomadi con i quali la gente del posto ha contatto da sempre, per scambi commerciali o perché i nomadi, in quanto tali, transitano con le greggi da quelle parti.
Dopo poche pagine scopriamo che il Colonnello Joll è stato inviato sul posto quale esperto negli interrogatori, accompagnato da alcuni assistenti che immediatamente si occupano di due nomadi rinchiusi nella prigione locale perché sospettati di aver rubato del bestiame. A nulla valgono le spiegazioni del Magistrato, che presenta i due uomini per quello che sono: il Colonnello ha già pronta una verità precostituita, conseguenza inevitabile della sua filosofia alla base degli interrogatori, fatti di “pressione e pazienza”. Pressione, bugie, ancora pressione, ancora bugie, ancora pressione e poi il crollo, poi la pressione finale che farà emergere la verità:
“Vi è un tono particolare”, dice Joll, “un tono particolare che entra nella voce di un uomo che sta dicendo la verità. Addestramento ed esperienza ci insegnano a riconoscere quel tono”.
Il Magistrato – e noi con lui – scopre ben presto in cosa consiste la pressione esercitata negli interrogatori, che hanno comportato la morte di uno dei due uomini mentre l’altro, ridotto a un ammasso di carne trita ma ancora vivo, ha confessato quella “verità” assolutamente falsa che il Colonnello voleva, e cioè che i Barbari hanno pianificato l'invasione dell’Impero.
Il dato è tratto, quindi: il Colonnello parte per una spedizione nel deserto, accompagnato dai suoi sgherri e da un plotone di soldati, e farà ritorno con alcuni prigionieri che il Magistrato si affretterà a liberare non appena Joll avrà ripreso la via per la capitale.
Proprio il Magistrato sarà l’unico a opporsi a questa insensata spirale di violenza, pagandone le conseguenze in modo pesantissimo. Arrestato, torturato e vilipeso, riprenderà il suo posto quando l’impresa bellica incontrerà il fallimento, e con essa crollerà chi l’ha iniziata.
Aspettando i Barbari è un romanzo memorabile, evocativo come pochi altri, dinamico e coinvolgente, che riprende Buzzati (la fortezza ai confini dell’Impero, il nemico invisibile, l’indeterminatezza assoluta), il Kafka del Processo e de Nella Colonia Penale (il paradosso, la scientificità nell'infliggere dolore) il Conrad di Cuore di Tenebra (la sfilata dei prigionieri orrendamente legati con il filo di ferro che trapassa mani e guance), il Don Chisciotte (il Magistrato nella sua lotta impari) senza però cadere nel citazionismo o nell’autocelebrazione. I rimandi sono inseriti perfettamente nel contesto, il punto di vista è sempre quello del narratore, che racconta i fatti al presente, accompagnando il lettore man mano che la vicenda procede, permettendogli di viverla in simbiosi con il personaggio. La prosa di Coetzee è, come di consueto, elegante e raffinata eppure efficace nel suscitare disagio nel lettore, mediante un uso sapiente del "non detto" e un'esposizione apparentemente semplice di quanto accade sul momento, come se a raccontare fosse qualcuno estraneo alla storia.
Nel romanzo Soy paciente, scritto dall'argentina Ana María Shua proprio nel 1980 come metafora "ospedaliera" del regime allora in atto nel suo Paese, c'è una frase che è divenuta negli anni una sorta di fotografia dell'impianto filosofico su cui poggiano le dittature militari: la pronuncia il protagonista, ricoverato a forza in ospedale e operato senza che vi sia necessità, mentre cerca di consolare un vicino di letto, disorientato e afflitto per il ricovero non richiesto e per le cure dolorose:
"i chirurghi sono tutti dei sadici, ma se ti operano ci sarà una ragione"
Nello stesso periodo, nel Sudafrica di Coetzee era in pieno vigore il sistema di discriminazione razziale, e non è difficile trovare in Aspettando i Barbari una critica ragionata e feroce al razzismo, in questo caso non specificamente imperniato sull’origine etnica o sul colore della pelle ma molto più subdolo e generalizzato, in quanto riferito alla mera diversità, frutto della paura di ciò che non si conosce e strumento di controllo sociale da parte del potere. Proprio questo aspetto è ciò che rende il romanzo estremamente attuale dopo quarant’anni dalla sua genesi: Coetzee, pur non prendendo, tramite il personaggio del Magistrato, una posizione netta e giudicante in merito, rappresenta in modo ineccepibile l’atteggiamento passivo, complice e intrinsecamente negativo della massa sociale, pronta a seguire i (pre)potenti di turno ma altrettanto veloce a prenderli a sassate (letteralmente) quando la realtà si dimostra diversa da quella promessa.
Come in tutti i romanzi di Coetzee, anche Aspettando i Barbari è popolato da personaggi difficili, tormentati, spesso imperscrutabili, come il Colonnello Joll del quale mai vedremo gli occhi se non alla fine della vicenda, quando il Magistrato lo rivede attraverso il finestrino della carrozza in cui si è rinchiuso che lo riporta, sconfitto e umiliato, verso i luoghi da cui era venuto. Ci sarà comunque sempre un filtro fra gli occhi di Joll e quelli del Magistrato, costituito dagli impenetrabili occhiali neri oppure da quel finestrino.
Anche il Magistrato è un personaggio complesso, che mostra tutte le debolezze di una persona comune ma che nonostante queste mantiene un’incrollabile fede nella Legge, unico argine al caos e alla regressione verso il predominio dei più forti. Una fede che non vacilla neanche dopo le violenze e le umiliazioni subite lungo la vicenda, che il Magistrato ci racconta quasi a cercare un modo di condividere la sofferenza. Un personaggio fondamentalmente umano, riflessivo, che resiste all’istinto di sfondare il finestrino della carrozza e trascinarvi fuori il Colonnello quando in realtà non vede più un criminale da odiare ma un uomo distrutto, più simile a lui stesso di quanto avrebbe mai immaginato. È in questo modo che il debole Magistrato si dimostra immensamente superiore alla folla che lancia sassi contro la stessa carrozza che sommergeva di applausi solo pochi mesi prima.
Dopo quarant’anni, nulla è cambiato. E nulla cambierà in futuro.
Stefano Crivelli