di Federico Pace
Laterza, luglio 2020
pp. 176
€ 15 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Un pomeriggio d’inverno sono partito per un breve viaggio che non pensavo potesse condurmi così lontano. (p. 83)
“Passaggi segreti”: sono le strade poco battute, le vie secondarie, le porte per entrare in luoghi reali o del ricordo, le storie ascoltate, le epifanie, con cui Federico Pace accompagna il lettore in un viaggio lungo un anno, il racconto che si intreccia al ricordo, alla riflessione personale. Un piccolo gioiello che in questa strana stagione leggiamo con una partecipazione diversa da quanto sarebbe stato se fosse arrivato in libreria in un’estate ben più ordinaria. Il nostro tempo è mutato, il viaggio ha contorni nuovi, il nostro Paese non ci era mai sembrato così ricco di gemme, luoghi da scoprire con rinnovato interesse e meraviglia. Con uno stile molto curato, evocativo, lirico a tratti, Pace accompagna il lettore alla scoperta di luoghi che sorprendono non tanto – o non solo – per la bellezza paesaggistica e storica, ma per quel valore che assumono perché caricati del ricordo, dell’incontro, delle connessioni che talvolta si creano.
Un anno di viaggi-racconti che si legge perciò su due binari: da una parte gli interessanti spunti di viaggio, luoghi poco noti o comunque osservati da angolazioni differenti, lo sguardo sempre attento e curioso del viaggiatore – e non certo del turista – che prova a restituire sulla pagina quanto osservato e vissuto, tra montagna, mare, laguna, da Nord a Sud; dall’altra la sensibilità con cui si ascoltano le storie, il racconto delle piccole, fondamentali epifanie che colpiscono l’autore lungo il cammino, le riflessioni verso cui il viaggio lo spinge e dalle quali anche il lettore è ispirato a confrontarsi. In questa duplice chiave di lettura risiede, quindi, la bellezza del libro e la sua “atemporalità”.
Amore, amicizia, legami famigliari, riflessioni sul tempo nelle sue varie implicazioni, il mutare dei luoghi conosciuti, l’importanza del ricordo, sono alcune delle tematiche e degli spunti con cui Pace si confronta e il lettore con lui, in una narrazione da cui, come si diceva, traspare tutta la sensibilità dell’autore, lo sguardo spesso velato di malinconia, il piacere puro del raccontare storie, l’uso misurato della parola.
Le persone, i luoghi che amiamo. I racconti. Le storie. Quello di cui abbiamo bisogno. Finiamo sempre per cercare una compensazione, finiamo sempre per cercare di recuperare un frammento di sublime che abbiamo intravisto in qualche istante radioso della nostra esistenza. (p. 85)
Il frammento di sublime che sembra essere un po’ più raggiungibile nel silenzio: quello maestoso del bosco in montagna, tra sentieri che raccontano storie diverse, di giovani amori, di bambini perduti, di abeti rossi da cui ricavare il legno per i violini più pregiati e di cui forse la suggestione ci invita ad appoggiare l’orecchio al tronco per coglierne la risonanza; o il silenzio carico di ricordi nel percorrere una vecchia strada di quando si era bambini, il luogo delle vacanze di famiglia, lo spettacolo del mare ligure e della sua costa osservata dalle colline, un luogo e un tempo passati, quando «non sapevamo nulla ed eravamo felici».
Sentii espandersi il silenzio assoluto, denso e profondo. Provai un piacere inatteso e sorprendente. Non si sentivano le voci umane, né il rumore delle vetture che giravano lungo la provinciale, né i pensieri degli altri, le preoccupazioni, non arrivavano gli sguardi degli altri, non c’era nulla. Era quella la forma di silenzio che aveva ascoltato Adamo prima che tutto il resto precipitasse? (p. 78)
Nel silenzio ascoltiamo i nostri pensieri, liberi di condurci dentro noi stessi, ma anche le storie degli altri, finalmente pronti ad accoglierle, prestare attenzione, una qualità che stiamo pericolosamente perdendo in questo nostro tempo veloce e talvolta superficiale. La storia del famoso architetto arrivato sulla Costiera Amalfitana, dei suoi sogni e grandiosi progetti, la ricerca di un posto da sentire casa, fuggito dalla «rigidità sabauda di Torino» per approdare a quel luogo originario. Il racconto che si intreccia alle leggende, il fascino della laguna, le storie di sirene e città sommerse, i timori notturni e la magia di un luogo assolutamente unico. I racconti, intervallati da lunghissimi silenzi carichi di parole non espresse, di un padre anziano che ripercorre una strada panoramica, in treno dall’Umbria al Molise per ritrovare la propria gioventù, l’amore della vita, tutto quello che si è costruito nel tempo.
Ecco, il tempo: che scivola via, che cerchiamo con ogni mezzo possibile di afferrare, ingannare, controllare. Consapevoli che è un’illusione, una magia impossibile. E poi, perdersi. Idealmente, dentro pensieri e riflessioni che ci portano lontano da strade tracciate, o realmente, tra sentieri e cartine che non siamo certi di saper interpretare o destinazioni che mutano mentre scorre la strada. Una svolta scelta d’istinto, un percorso nuovo, un’epifania. Una nuova storia da ascoltare.
Di Debora Lambruschini
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