Sofocle, l’abisso di Edipo
di Giulio Guidorizzi
Il Mulino, 2020
pp. 168
€ 14,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
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La mia relazione con Edipo è sempre stata intima e intensa. Ricordo la mia quinta superiore, quando traducevamo e commentavamo il testo di Sofocle insieme al nostro brillante insegnante di greco. Poi la tesina per l’Esame di Stato, che ancora una volta ripercorreva a ritroso la storia, andando alle origini della maledizione che pareva gravare sull’intera stirpe dei Labdacidi.
È stato perciò con vivo entusiasmo che mi sono avvicinata al saggio di Giulio Guidorizzi, profondo conoscitore dell’antichità classica già più volte incontrato tra le pagine dei suoi libri ai tempi dell’università. Questo intervento su Sofocle si colloca all’interno di una nuova collana de il Mulino, pensata per far rivivere oggi la voce degli antichi (il primo volume, dedicato alle Metamorfosi di Ovidio, è recensito qui). Guidorizzi si propone di accompagnare il lettore al cuore dell’Edipo re, nelle profondità del dramma di un uomo (e tanto più calzante risulta quindi ogni riferimento al baratro, o all’abisso):
Sono appunto il silenzio, la rimozione, l’essere in bilico tra sapere e non sapere, tradire e nascondere, la sotterranea e continua tensione che ce la rendono affascinante: e anche il viaggio del personaggio verso il centro di sé stesso, perché Edipo è un uomo che tra rabbie e angosce ha però il coraggio di svelare il suo segreto fino in fondo. (p. 8)
Tutto inizia con una pestilenza, in grado di smuovere qualsiasi certezza, di sollevare domande che chiedono una risposta che forse non si può trovare e, al contempo, portano l’individuo a interrogarsi sulla verità di se stesso e della propria condizione. Una premessa che, ci ricorda lo studioso, sa in maniera inquietante d’attualità, così come l’idea che l’esistenza umana sia qualcosa di ingovernabile – e spesso inestricabile.
Con la passione e la sicurezza che contraddistinguono i suoi scritti, Guidorizzi ci conduce attraverso le pieghe del mito, mostrandoci la modernità della tragedia greca in generale e dell’Edipo re in particolare (non a caso apprezzato e studiato anche da Freud, che vi aveva letto l’agire oscuro dell’inconscio). È interessante ritornare, in una rilettura a posteriori, accompagnati da mano sapiente, su dettagli che prima si erano trascurati e adesso acquistano nuova densità: l’esplosione di violenza inspiegabile che oppone a un incrocio un figlio e un padre, ciascuno perseguitato dai propri fantasmi, e ignaro che siano speculari rispetto a quelli dell’altro; il concorrere tragico di una forza superiore e ineluttabile e delle scelte e le passioni individuali (“il destino prepara lo sfondo, la scelta dell’uomo lo riempie. Ognuno ha la sua porzione di scelta, per quanto esigua”, p. 22). Questi tre fattori sono le polarità intorno a cui si articola il dramma, e la lettura che ne propone l’autore, con l’intento esplicito di sollevare questioni (come quella dell’indipendenza della sofferenza rispetto alla colpa) che non si potranno mai risolvere in maniera definitiva: “l’Edipo re è la tragedia delle passioni, oltre che del destino e della scelta” (p. 23).
Per permetterci di comprenderne la genesi, Guidorizzi risale indietro nel tempo, fino alle radici del male, che affondano nella figura stessa di Laio, “un uomo senza morale, senza giustizia, spinto dalla parte più bassa dell’anima” (p. 25), che ha violato in preda agli eccessi l’ordine del cosmo ed è pertanto destinato a pagare con la vita. Anche Edipo del resto si muove in base a un impulso, che però riconosciamo come molto più umano, più vicino a noi: il desiderio di sapere, di conoscere le proprie origini, e poi ancora quello di non fare male a chi si ama. A innescare l’azione sono delle coincidenze, sempre legate a una parola di troppo, buttata lì per caso (o forse per un impulso profondo, nato dalla coscienza, o piuttosto dalla volontà degli dei). Lo studioso ritorna più volte sul tema conduttore dell’ambiguità del linguaggio, alla base di molta dell’ironia tragica del testo, ma anche delle principali svolte della trama – nella sua triplice forma di profezia oracolare, lapsus dei parlanti, potenza evocativa del sogno. L’errore di Edipo è di non capire che di fronte alla volontà divina non esiste possibilità di scampo. All’uomo è solo dato di scegliere se e come guardare in faccia la propria sorte. Il lettore invece ha ben presente la verità che si nasconde dietro parole il cui senso sfugge a chiunque sia coinvolto direttamente nella storia e guarda con orrore i protagonisti sprofondare sempre di più nella rete che li avvince. Edipo, che ha saputo risolvere l’enigma della Sfinge salvando la città, non è riuscito che tardivamente a far luce su quello, ben più rilevante, che lo riguarda. Nel testo viene proposta una lettura all’insegna dell’ambivalenza del personaggio, ma anche della circolarità: come nota Guidorizzi, una stessa sorte funesta grava su tutti gli uomini della famiglia, condannati dalla loro intima violenza.
Si nota, nell’arrivare in fondo al volume, che l’ordine degli elementi avrebbe anche potuto essere invertito: si sarebbe potuto collocare prima il testo di Sofocle, proposto integralmente nella bella traduzione dello stesso Guidorizzi, e solo dopo la sua trattazione, che dà per scontata una conoscenza preliminare, almeno sommaria, dell’Edipo re e della sua storia. Questo avrebbe forse agevolato l’eventuale lettore ingenuo che si avvicini all’opera mosso dalla curiosità e non dal desiderio di approfondire conoscenze già acquisite. Al contempo, tuttavia, la scrittura, piana e gradevole, si presta a soddisfare l’aspettativa di un pubblico più o meno esperto, ripercorrendo da un lato i diversi nuclei fondanti della vicenda, ma offrendo anche interessanti scorci sulla ricezione del mito in epoche successive (perché “un mito è fatto per essere raccontato, e ogni volta che lo si racconta cambia un po’”, p. 54), approfondimenti di carattere antropologico e possibili agganci con il presente. Edipo infatti è uomo antico, ma anche pienamente novecentesco, grazie all’interpretazione che ne ha dato il padre della psicanalisi, su cui Guidorizzi indugia con piacere:
Il “nuovo” Edipo, che Freud inaugura e che accompagna tutto il Novecento, delinea un tipo di uomo inquietante perché dentro di lui si manifesta un intreccio di forze davanti alle quali la volontà è disarmata; forze in conflitto tra loro, che rendono vana la volontà di essere come si è deciso di essere e anche come si è convinti di essere. (p. 52-53)
Con Edipo si indagano tematiche attualissime, come la possibilità di autodeterminarsi, l’esistenza del caso, il rapporto tra colpa e volontà. Per esplorarne le diverse sfaccettature, la trattazione si muove a livello sincronico tra le diverse riscritture del mito diffuse nella Grecia antica, ma anche lungo lo sviluppo della storia immaginato dallo stesso Sofocle (nell’Edipo a Colono il protagonista ormai anziano si autoassolverà per non aver mai desiderato fare il male che gli è capitato). E, mentre si seguono i ragionamenti proposti dallo studioso nella lunga premessa teorica, o si ripercorre il testo vero e proprio con un’attenzione inedita, non si può far a meno di ritrovare in Edipo una voce che sembra parlarci ancora direttamente.
Carolina Pernigo