Il grande me
di Anna Giurickovic Dato
Fazi, 2020
pp. 220
€ 18,00 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)
Non chiede, non osa chiedere «Quanto vivrò?», e mi sembra di essere seduta su un cuscino di sine per quanto è la foga con cui vorrei alzarmi, tappare la bocca alle oncologhe, le orecchie a mio padre, e dirgli: Amore mio, non ci pensiamo, oggi noi non ci penseremo. (p. 46)
Affrontare Il grande me è dunque innanzitutto questo: un atto di coraggio. Perché se è vero che molti libri trattano di argomenti verosimili e raccontano storie che, bene o male, possono essere accadute a qualcuno da qualche parte in questo mondo, è altrettanto vero che c’è uno scarto palpabile nel modo di percepire una lettura quando sappiamo che il romanzo che teniamo fra le mani è frutto di un evento realmente accaduto a chi l’ha scritto. È una percezione che ha a che fare con l’intimità, con l’aprirsi dell’autore o dell’autrice, con il suo disvelare al mondo le proprie debolezze, i propri limiti, le proprie tensioni esistenziali. Per questo, ad esempio, libri come Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino lasciano quel senso straziante di vuoto e disperazione alla fine: perché gli eventi narrati non sono solo verosimili, bensì reali. E com'è possibile che una persona sia in grado di tollerare tutto quel dolore?
Il grande me
racconta di un lutto che ancora lutto non è, o meglio: della elaborazione di un
lutto che avviene quando la persona amata è ancora in vita, sebbene la sua
condanna sia già definitiva. A prevalere sono sentimenti umanissimi come l’amore
verso quel padre che spesso si dà per scontato, convinti forse che sarà al
nostro fianco per sempre; la disperazione, che emerge prepotente quando si
comprende che non c’è alcun gesto che si possa compiere per far tornare
indietro le lancette o per cambiare il corso degli eventi; la paura, per l’ignoto
che verrà, per un distacco verso cui non si può essere mai pronti perché la
razionalità e i sentimenti parlano come sempre due lingue diverse.
Arrivare alla fine di questo libro richiede uno sforzo non
indifferente. Sono persuaso che non sia una lettura che possa risultare gradita
a tutti, non tanto per il tema ma per il modo in cui l’autrice ha deciso di affrontarlo,
ponendosi nel centro esatto della questione senza limitarsi a girarci intorno. Il grande me non è un romanzo di trama,
perché sappiamo da subito come finirà e in fin dei conti non accade molto – tutta
la parte relativa all’ipotetico fratello da ritrovare, in fondo, è secondaria,
e anche quando si risolve avviene in un momento in cui a tutto si sta pensando
tranne che a quel benedetto fratello da ritrovare. Il grande me è un romanzo di stile, nel quale vengono affrontati i
temi del distacco, della perdita, della malattia e della morte nel modo più
feroce possibile: attraverso una narrazione in prima persona che sfocia spesso
nella confessione intima, in quel luogo interiore nel quale di solito non si fa
entrare nessuno.
La capacità di Anna Giurickovic Dato di trascinarci dentro
le proprie emozioni, così come già intravisto nella Figlia femmina, è in questo senso sorprendente. E per questo fa
tanto più male.
David Valentini