Oggi è già domani
di Jarett Kobek
Fazi Editore, 6 agosto 2020
Traduzione di Enrica Budetta
pp. 582
€ 18 (cartaceo)
€ 12,99 (ebook)
Come ogni romanzo di formazione che si rispetti, anche Oggi è domani deve partire dal rifiuto delle figure genitoriali per lasciare al protagonista lo spazio della propria realizzazione personale, sia concreta che astratta. E non è un caso che Jarett Kobek apra il romanzo con questa frase: «Mi sono trasferito a New York non molto tempo dopo che mia madre ha ucciso mio padre; o è stato mio padre che ha ucciso mia madre?».
Il nostro narratore, che si rinomina Baby dopo essere arrivato nella grande città e di cui non conosceremo mai la vera identità (a chi serve, in fondo?), non ha molto tempo per quel tipo di crescita alla David Copperfield (tanto che in seguito scopriremo che la storia delle origini di questo “orfano” non è proprio quella che credevamo). Siamo a New York tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90: una città di club kids, drag queen, artisti e drogati; il laboratorio urbano dove si reinventano le identità umane in attesa dell’arrivo del Nuovo Millennio. Non possiamo incolpare Baby se si prende qualche libertà con la sua storia.
Oggi è già domani può essere considerato il romanzo prequel del graffiante saggio autoprodotto da Kobek, Io odio internet (di cui vi avevamo parlato qui e di cui avevamo discusso insieme all’autore nel corso di un’intervista esclusiva): le aree di interesse di Kobek in quel romanzo - gli effetti corrosivi della celebrità e lo svilimento del discorso pubblico in un mondo mediato tecnologicamente - sono vive anche nella storia di Baby e dell’aspirante fumettista ventenne Adeline, spalla e coprotagonista dell’orfanello della storia, sebbene le chiacchiere digitali di YouTube e Twitter siano sostituite da forum sociali altrettanto trasformativi (anche se meno onnipresenti), come il circuito dei night club e gli eventi letterari.
I genitori di Baby sono solo i primi a morire nel romanzo di Kobek che termina all'indomani della famigerata uccisione di Andre "Angel" Melendez da parte di Michael Alig e Robert Riggs nel 1996. Baby, infatti, vivrà la sua esistenza nella Grande Mela accanto a personaggi veri e inventati della New York di quegli anni: c’è Bret Easton Ellis pre-American Psycho; c’è la caricatura di Norman Mailer, che fa la lotta con donne più giovani e discute di boxe; c'è persino un accenno a Bucky Wunderlick, l’immaginaria star del Great Jones Street di Don DeLillo. Ma accanto a tutti questi ci sono decine e decine di morti, sia famosi che meno. Una lista di proscrizione scritta dalla società corrotta entro cui i defunti sgomitavano per emergere. Non c'è niente di nuovo nell'idea che New York sia una città costruita tanto nella finzione quanto nella realtà e non sorprende che Baby alla fine si lasci alle spalle i club per diventare lui stesso una proprietà letteraria a sé stante. Ma Kobek non perde mai di vista il costo umano del mantenimento dell'immagine, conservando il terribile conteggio dei morti (causati dalla droga, dall'Aids, dalla violenza) e integrandola con la condizione disumana ed eticamente inaccettabili a cui sono costretti i disadattati, i ragazzi del club, i queer, i poveri e gli afroamericani della città.
Se, quindi, ideologicamente Oggi è già domani funziona alla perfezione, a livello narrativo la scrittura di Kobek merita una riflessione più approfondita. Le voci di Baby e Adeline, così come quelle di tutte le comparse della storia, sono abbastanza convincenti, sebbene non manchino di rado le incursioni dell’autore che si staglia nitido non solo nelle frequenti digressioni da lui compiute sulla cultura pop di quegli anni, ma anche quando a parlare son i personaggi, diminuendo quindi di molto la carica letteraria che questi avrebbero potuto possedere se lasciati liberi di vivere la loro storia senza lo spettro dell’autore su di loro. Temo, tuttavia, che questo mio giudizio sia dettato dall’aver letto prima il suo testo più ideologico e poi quello più spiccatamente letterario; se anche gli altri avvertissero la stessa sensazione, non credo questa scelta di scrittura sarebbe per forza da vedere in chiave negativa: è un piccolo prezzo da pagare per un romanzo che non solo seziona con consumata abilità il patrimonio culturale e la vita della New York fin-de-siècle, ma vi trova con lucidità i primi sintomi dei mali de nostro tempo.
Federica Privitera
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