di Olivia Laing
Il Saggiatore, 24 Settembre 2020
Traduzione di Francesca Mastruzzo e Giulia Poerio
€ 24 (cartaceo)
€ 11,99 (e-book)
Le opere di Olivia Laing stanno finalmente arrivando in Italia. E se in Gita al fiume, edito in Inghilterra nel 2011, la Laing ci narra del suo viaggio terapeutico a piedi dalla sorgente alla foce del fiume Ouse, il Saggiatore sta facendo il percorso inverso: dalla foce della scrittura dell’autrice, cioè da Città sola e Viaggio a Echo Spring, le sue opere più recenti, è arrivato fino alla sorgente, pubblicando questo potentissimo memoir di quasi dieci anni fa, in cui la Laing, parlandoci di luoghi e di scrittori a lei cari, ci parla in realtà anche di se stessa.
Eppure a quest’opera la definizione di memoir sta stretta e larga: Olivia Laing non ci narra nulla di più su se stessa di quella settimana passata a camminare lungo il fiume. Ci dice della crisi precedente all’inizio del viaggio, mesi di depressione e di reclusione in casa in seguito alla perdita del lavoro e della fine di una lunga relazione. E poi, per sette giorni, condivide con noi le sue riflessioni, le sue scoperte, i suoi ricordi. Fino alla fine del libro, dove, secondo le regole informali del genere del memoir, ci dovrebbe essere uno scioglimento finale, una riflessione conclusiva. Eppure, giunta lì dove le acque dell’Ouse si gettano nel canale della Manica, la Laing sale sul treno, poggia la testa sul finestrino e torna nella sua Brighton senza dirci nulla su di sé. Perché quello che doveva dire, ce l’ha già detto.
Narrandoci i boschi e le piante in cui si perde, gli animali che incontra, i luoghi più o meno antropizzati che attraversa nel suo lento cammino con lo zaino in spalla, l’obiettivo della Laing è contestualizzare la vita umana in un sistema naturale più grande di lei, anzi, più grande di ciascuno di noi. In questo è fondamentale la sua scelta di intraprendere il suo viaggio nei giorni che segnano l’inizio dell’estate, ciò che per noi è il solstizio, ma che nel nord dell’Europa viene chiamato Midsummer, giorni speciali in quanto il mondo terreno e l’aldilà sarebbero più vicini che mai. Eppure, nelle parole della Laing, non c’è alcun aldilà ad aspettarci, dopo la materialità della vita terrena: se dopo la morte tutti noi torniamo alla natura, alla terra e all’erba, immergerci nella natura come fosse una vecchia amica può aiutarci a capire la brevità della nostra vita, e l’enormità della quantità di vite che il terreno su cui camminiamo ha sostenuto.
Letteratura e vita umana sono strettamente legate all’acqua, e la Laing cita infinite personalità appartenenti ai campi più disparati dello scibile, quasi a voler sottolineare le molteplici vite che ci hanno preceduto, poiché «il passato non è dietro di noi ma davanti, e la terra su cui camminiamo non è più che un fossato pieno d’ossa, da cui l’erba cresce rigogliosa» (p. 171). Kenneth Grahame, autore di Il vento tra i salici; Gideon Mantell, scopritore dell’iguanodonte; Charles Dawson, paleontologo truffaldino; e ovviamente Virginia Woolf, che sull’Ouse visse e morì. Tutte le loro vite si intrecciarono in qualche modo all'acqua, e tutti loro morirono lasciando qualcosa a metà, morirono di morti improvvise e forse ingiuste. Ma nel racconto della Laing, tutto è giusto, tutto si tiene. C’è un numero limitato di giorni che abbiamo sulla terra, e noi non abbiamo voce in capitolo sulla loro quantità: possiamo solo decidere cosa fare del tempo che abbiamo.
Io resterò qui, per quanto mi riguarda, e quando morirò sarò finita, carne per i vermi, e le erbe intricate potranno fare quel che vorranno sopra di me, verde e blu-verdastro e a volte oro. (p. 274)
E in fondo, la terapia operata dalla natura è proprio questa. Ricordarci che siamo transeunti, che siamo solo una piccola parte di qualcosa enormemente più grande di noi, esteso nel tempo e nello spazio a perdita d’occhio. Non abbiamo la vista dei falchi, quella vista potentissima che la Laing invidia loro. Non possiamo conoscere niente del futuro di fronte a noi, ma in fondo non è così importante. Possiamo solo tirare fuori le nostre mappe e camminare fiduciosi verso un obiettivo, fermandoci ogni tanto sotto un nocciolo ad osservare gli aironi sopra il fiume e ad ascoltare il rumore delle api.
Marta Olivi