di Daniela Raimondi
Editrice Nord, agosto 2020
pp. 400
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Come spesso accade, il viaggiare indietro nel tempo comincia attraverso una storia che ci viene raccontata nei luoghi più disparati: davanti a un caminetto, durante un pranzo in famiglia, nella casa al mare o in montagna. In una veglia funebre. La storia che Daniela Raimondi ci propone viene narrata mentre la nonna di una delle protagoniste del romanzo si appresta a tirare la pasta all'uovo per fare la sfoglia. In questo modo, l’inizio del racconto delle vicende della famiglia Casadio diventa un po’ la storia di tutte quelle famiglie italiane che, generazione dopo generazione, hanno ascoltato nonni, prozii e genitori raccontare le proprie origini, tirando fuori qualche foto dal cassetto e cimeli di famiglia da scatoloni impolverati. Oggetti, fotografie, voci. Ricordi. Tutto parla e ci riporta indietro, fino alle radici ancestrali del nostro passato.
«È per colpa di una zingara se la famiglia si è imbastardita» (p. 11). Agli inizi del 1800, una pioggia torrenziale cade su Stellata, un piccolo paesino sulle sponde del Po, dove il fiume incrocia Lombardia, Emilia e Veneto. Una carovana di zingari, impossibilitata a continuare il viaggio a causa del diluvio, si ferma in città e da lì non si muoverà più. Giacomo Casadio, instancabile sognatore, si innamora perdutamente di Viollca Toska, gitana dalle gonne colorate e dai capelli pieni di penne di fagiano, la quale, attraverso la lettura delle linee della mano e dei suoi tarocchi, ha un dono nelle arti divinatorie. Dalla loro unione prende vita la saga famigliare dei Casadio, la cui discendenza si dividerà in due rami: i sognatori dagli occhi azzurri e dai capelli biondi, che raccolgono l’eredità di Giacomo, e i sensitivi, che hanno gli occhi e i capelli neri di Viollca, la veggente. In uno spazio temporale che si estende dall'Ottocento agli Anni di Piombo, le vicende private della famiglia si intersecano con i grandi eventi e personaggi della storia del nostro paese: l’unità d’Italia con Giuseppe e Anita Garibaldi, i due conflitti mondiali in cui spicca principalmente l’Italia fascista, il periodo delle grandi migrazioni all'interno e al di fuori del paese, per passare poi al boom economico del secondo dopoguerra, alle ribellioni sessantottine e agli anni del terrorismo, coronati dal tragico evento della strage di Piazza Fontana.
È in questo arco temporale che si muovono i (numerosi) personaggi delle varie generazioni dei Casadio. Grazie allo spessore psicologico che Raimondi ricerca in ognuno di loro, i protagonisti si fanno in carne ed ossa, man mano che il lettore prosegue con la narrazione: c’è Dollaro, che parla con i morti; Achille, genio della matematica, che si unisce alle brigate garibaldine; Edvige, che è un doppio letterario di Madame Bovary; Adele che, a causa di un amore impossibile, decide di sposare un proprietario di una piantagione di caffè in Brasile; Erasmo, che vedrà le atrocità della guerra; Neve, che quando è felice emana una fragranza di fiori e le api le ballano attorno; Radames, che si spingerà fino in Etiopia per mantenere la famiglia; Guido, che diventerà partigiano; Norma che, incapace di limitare la sua arte ai fogli di carta, dipinge tutte le pareti della casa; Donata, unica della famiglia a nascere con occhi azzurri e capelli neri, unendo assieme la stirpe dei sognatori a quella dei sensitivi.
In una narrazione così diversificata per via delle numerosissime storie che si intrecciano le une nelle altre, ci sono due elementi che ritornano costantemente. L’armonia della famiglia viene stroncata sul nascere, quando in una notte tempestosa la matriarca Viollca legge nei suoi tarocchi tristi presagi per le future generazioni: gli effetti della carta raffigurante il diavolo infestano tutti i Casadio. La prima vittima è Giacomo che, incapace di realizzare i suoi sogni, s’impicca. La (s)fortuna dei Casadio sarà dunque, paradossalmente, la loro innata capacità di sognare. Da quel giorno, la famiglia tramanda di generazione in generazione la nefanda profezia della capostipite gitana, assicurandosi che i propri figli, mano a mano, si tengano lontani da ogni tipo di sogno e forte passione. A proteggere la famiglia, tuttavia, ci sono i buoni serpenti dalla pancia bianca che, a metà tra spiriti e divinità fluviali, seguono di nascosto tutti i personaggi per proteggerli e portargli fortuna. In una sequenza narrativa in cui si alternano fantasmi, morti che parlano, santi che fanno miracoli, sogni premonitori, apparizioni profetiche e spettacoli della natura, la prosa di Daniela Raimondi si inserisce perfettamente in una sorta di realismo magico italiano, in cui l’ordinario e il sovrannaturale convivono senza contraddizioni, facendoci vedere che la magia intrinseca della famiglia Casadio è la stessa che regola le leggi del nostro mondo. Ma forse, quello che più conta è che questa magia decostruisce il concetto di “casa”: «la casa non è un luogo, ma un sentimento. Qualcosa che custodiamo dentro di noi, che creiamo giorno dopo giorno con fatica e molta volontà» (p. 158). La vera “casa sull'argine” è quella che i Casadio, in una diaspora per il Brasile, l’Africa e l’Europa, si portano dentro, vicino al cuore. Per questo motivo, si crea un eterno ritorno dei personaggi che, nonostante siano morti secoli prima, non abbandonano mai chi di loro è rimasto in vita e riemergono dalla tomba per vegliare sui propri cari.
Grazie a tutta la sua articolazione, La casa sull'argine di Daniela Raimondi riporta il lettore a confrontarsi, attraverso una nuova chiave di lettura, con grandi libri quali Il mulino del Po di Riccardo Bacchelli e La casa degli spiriti di Isabel Allende. E se in Cent’anni di solitudine Gabriel García Márquez afferma che “tutto quello che vi era scritto era irripetibile da sempre e per sempre, perché le stirpi condannate a cent'anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra”, Daniela Raimondi, ripercorrendo dalle origini la storia della famiglia Casadio, arriva alla seguente, e conclusiva, constatazione:
Ripongo il santino di mio padre nella scatola. Li guardo a uno a uno, i miei morti. Molti hanno gli occhi neri, la stessa espressione irrequieta nello sguardo; altri gli occhi chiari e lo sguardo inconfondibile dei sognatori. Ma in ognuno di loro vedo la stessa storia: una storia di terra. Mi sembra di scorgere ombre di terra sulla loro pelle; terra nei loro sguardi, polvere di campo nei capelli, sulla lingua, sotto le unghie. E so che, sotto le mie parvenze cittadine, me la porto dentro anch'io tutta quella terra, e lo stesso destino di questi sognatori sconfitti. (p. 379)
Nicola Biasio
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