«Sfrutto l'opportunità che questa città mi dà di raccontare storie»: con Maurizio De Giovanni per il suo "Troppo freddo per Settembre"
Troppo freddo per Settembre
di Maurizio De Giovanni
Einaudi, settembre 2020
pp. 255
€ 18,50 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)
- E che si deve fare, nonno, per capire se una disgrazia è una fortuna e una fortuna è una disgrazia?
- Piccolina, si deve fare una cosa che quasi nessuno sa fare. Una cosa difficilissima, che si impara con fatica e sofferenza.
- Cioè?
- Aspettare, amore mio. Si deve aspettare. (p. 6)
Da pochi giorni è arrivato in libreria un nuovo caso per Mila Settembre, l'assistente sociale che ha appassionato tanto i lettori da far sì che Maurizio De Giovanni decidesse di dedicarle una nuova storia. Troppo freddo per Settembre ci porta nella Napoli dei Quartieri Spagnoli, piena di contraddizioni e di vicende intricatissime: nel sottotetto di un palazzo viene rinvenuto il corpo del pensionato Giacomo Gravela, ex professore di Lettere. Inizialmente, tutti pensano che a causare la morte sia stata la stufa che l'anziano usava per scaldarsi, visti i giorni particolarmente freddi; poi, però, qualcosa attira l'attenzione del maresciallo Gargiulo e del magistrato De Carolis: Gravela giace sulla sua branda completamente vestito e con le scarpe! Per di più, la porta è stata chiusa dall'interno e il canale della stufa risulta ostruito. Che si tratti di omicidio?
Quando si scopre che anche un ex studente del professore, Rosario, è appena uscito di prigione, dove era stato mandato proprio da Gravela, anni prima, ecco che spunta l'ipotesi di una vendetta d'onore. Che Rosario, erede di un importante ramo della malavita perché figlio di un camorrista e sposato con la figlia di uno degli camorristi più influenti, abbia eliminato il professore facendo sembrare il tutto una disgrazia? La madre di Rosario, ormai vedova, non ci crede e, non sapendo a chi rivolgersi - tutti a Napoli non vedono e non sentono, quando si tratta di famiglie così "delicate" -, piomba con tutta la sua disperazione nell'ufficio di Mina Settembre. E Mina, manco a dirlo, desidera scoprire la verità e aiutare così la madre affranta. Nessuno sembra capire la sua scelta: tutti, compreso il suo collega Domenico ("Mimmo") Gammardella, il ginecologo del centro, pensano che sia una follia lasciarsi invischiare in questioni che riguardano la camorra e attirarsi l'odio dei concittadini! Giorno dopo giorno, tuttavia, risulta palese sia a Mina sia a Mimmo che è impossibile ormai non lasciarsi coinvolgere dal caso...
Con Mina, De Giovanni sperimenta un tipo di storia diversa, che racconta un mondo pieno di stratificazioni, contraddizioni, ma anche pieno di vita. Le vicende che si intrecciano sono moltissime, i personaggi hanno tutti un doppio fondo, che li rende molto più profondi e stratificati di quanto potremmo pensare. La stessa Mina, ad esempio, ha un corpo fin troppo avvenente, in cui non si sente a suo agio; Rosario pare segnato fin dalla nascita ad accettare l'eredità paterna di camorrista, lui che invece ama studiare e in galera ha trovato un modo per laurearsi e insegnare l'italiano a due compagni di cella. Allo stesso modo, potremmo analizzare il personaggio di Enrico, un ex medico di grande talento, che si è però abbrutito allo stato di barbone per un dramma accaduto nel suo passato.
Enrico, fidato amico del defunto Gravela, sapeva bene che cosa succedeva in quella famiglia disastrata: il vecchio professore, relegato al secondo posto e visto come un peso da tutti, si era trasferito a dormire nella soffitta per lasciare libera la casa di sotto alla sua famiglia. L'unica a soffrire per la lontananza del nonno era la nipotina, Fabiana: fin dalle prime pagine, la bambina ha rivelato una saggezza straordinaria e accetta di nascondere qualcosa per il nonno (ma cosa?) e lo sprona a raccontarle ancora una storia. E Gravela non manca mai di addolcire la realtà a Fabiana, raccontandole storie che trasfigurano la loro singolare esperienza familiare e che ribadiscono l'amore di un nonno per sua nipote.
Bambini e anziani, così come i barboni, sono esclusi dalla società, perché non sono consumatori: ce lo ha ribadito Maurizio De Giovanni ieri sera, durante l'incontro in diretta su Facebook (qui potete rivedere il video) con alcuni blogger.
Con il tono da commedia, tipico delle storie di Mina, perché «nessuno vieta di dire la verità col sorriso», Maurizio De Giovanni ha voluto «dare voce a una piccola coalizione tra un senzatetto, un anziano professore in pensione e una bambina, che è l'unica che cerca costantemente le storie del nonno e non si mette davanti alla televisione. La corrispondenza tra queste tre figure è il complotto dei silenziosi, la rivolta dei deboli».
Mina c'è, certo, ma spesso è il veicolo per raccontare un mondo, non è solo un personaggio; infatti, sono in molti a spartire con lei la scena. L'attenzione di De Giovanni si focalizza sui tanti personaggi che si sentono fuori posto, che non sono in sintonia con sé stessi, per via di come li emargina la società o di come si vedono. Ecco che emerge, così, la «profondità nera dell'animo umano». De Giovanni ci tiene a precisare che non si è mai soffermato direttamente sulla criminalità organizzata, ma anche in Troppo freddo per Settembre si è occupato della «contiguità di due mondi».
Quando gli domando come ha strutturato una trama tanto complessa, in cui i vari rivoli narrativi si intrecciano saldamente, De Giovanni ha risposto ricorrendo a due metafore particolarmente vivide. Eccone alcuni stralci:
«Uso i personaggi come le persone sane di mente usano l'armadio. Ho diversi vestiti a seconda del clima. Ho Sara che è nera, vive in un mondo ostile ed è portatrice di una serie di ricordi che non vorrebbe avere. I Bastardi sono caotici, mi consentono di suonare come una sinfonia di Stravinsky, [...] suonano in maniera dissonante. Ricciardi è sentimento, è intimo, è più dolce, è più delicato, più femminile nella tipologia di narrazione. Mina è colorata: con lei, con il tono di questo "vestito colorato" che prendo nel mio armadio mentale, mi diverto a mettere a confronto gli strati della nostra realtà urbana e della nostra società. Tutte le storie che vedi sono come questi dolci nuovi, come la pastiera scomposta: ci sono tutti gli ingredienti separati; poi, affondando il cucchiaio e prendendo tutto insieme, ritrovi il sapore del dolce a cui fai riferimento. Ognuno di loro, magicamente, insieme diventa qualcosa di divertente: qui abbiamo un magistrato e un carabiniere, che fanno la loro indagine canonica; c'è una storia d'amore, pazza, disarticolata, disarcionata; ci sono dei rapporti familiari difficilissimi, con una madre che spesso mi chiedono che sia la prossima vittima; [...] c'è anche la storia di un anziano e di una bambina in un posto che è un piccolo mondo, ma profondamente stratificato [...]. Nello stesso palazzo hai cinque, sei condizioni sociali diverse! Sfrutto l'opportunità che questa città mi dà di raccontare storie».
A sentirlo raccontare, pare proprio che De Giovanni non si affidi a fredde scalette: «Scelgo un sentimento, scelgo un'emozione o un oggetto e lo condivido con tutti quanti loro [n.d.r. i suoi personaggi] e mi godo la loro reazione. Spesso io non preordino quel che accadrà, decido l'oggetto, il sentimento e poi vedo che cosa succede».
Ecco perché, al di là della levità di tono o proprio anche grazie all'umorismo a tratti amaro, Troppo freddo per Settembre è ben più di un noir di grande piacevolezza: è un romanzo multi-strato, che vive della complessità della città che racconta, senza pregiudizi (in senso letterale), ma lasciandosi attraversare dalle storie; come ricorda De Giovanni alla fine dell'incontro, quando si cammina per Napoli bisogna passeggiare senza pregiudizi e guardandosi attorno: «ogni quartiere ha il suo doppio, ma bisogna tenere gli occhi aperti, perché le storie ti cadono addosso».