pp. 529
€ 20 (cartaceo)
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Non è che sia passato molto dalla sua trilogia, dal terzo migliaio di pagine de Il confine che ha sigillato l’epopea gravitante attorno alla sfida tra Art Keller e Adan Barrera. Ricordo, giusto per inciso, gli altri due titoli, in ordine cronologico: Il potere del cane e Il cartello. Don Winslow, con questa capacità di appassionare grazie alla proposta di una letteratura commerciale di qualità, s’inserisce a pieno titolo nei primi posti, diciamo pure nel podio, di quel filone gringo-latino-criminale che imperversa nel romanzo, in molte serie televisive, nei film. È il trend attuale, magari passerà, e le storie americane torneranno a proiettarci su altre latitudini: dal confine sul Rio Grande dove imperversa la cocaina a… che ne so… l’affarismo di Wall Street o l’integrazione, più o meno sofferta, degli ebrei.
Improvvisamente, a distanza di un anno dall’epilogo di quelle tremila pagine, frutto di un lavoro ventennale – sì, avete capito bene, 20 anni – arrivano sei racconti, o romanzi brevi, ma non starei a sottilizzare come peraltro fa la prima pagina interna di questa edizione. Chiamateli come meglio credete, dopo averli letti sia chiaro.
Il problema credo che possa ricondursi alla domanda: possiamo definirci fan di Winslow? Beh, se siamo arrivati in fondo a quel po’ di malloppo, se abbiamo seguito per filo e per segno le vicende della guerra alla droga, spesso di facciata, che si combatte fra le agenzie statunitensi e i cartelli messicani, è inevitabile una fidelizzazione forte con lo scrittore newyorkese. Possiamo perdonagli anche certe sbavature all’interno delle trame, l’inserimento di storie di contorno che sanno di forzatura. Insomma, gli vogliamo bene comunque, da bravi fan. Se poi alla trilogia si aggiungono altri romanzi il gioco è fatto. E maturando questa immedesimazione, ci aspettiamo sempre qualcosa di gigantesco, di portata spropositata, che abbandoniamo la sera, con fatica, perché è difficile staccarsene, e riprendiamo con frenesia il giorno dopo.
Allora, in questi sei racconti, dallo stile inconfondibile, viene inevitabilmente a mancare quel respiro. Dice: ma sono racconti. Mica sto criticando la scelta di genere. Se Winsolw ha deciso di tirare un po’ il fiato, di prendersi una pausa e sostanzialmente divertirsi con quello che sa trattare meglio, ha fatto proprio bene. Tuttavia dalla forgia sono usciti dei ninnoli. Graziosi quanto ti pare ma ninnoli. Il tesoro della corona è un’altra faccenda. Si percepisce quando i racconti maturano la svolta e si avvicinano al punto. Ho notato, in alcuni di più e in altri di meno ovviamente, un’accelerazione repentina necessaria a rispettare il numero di battute quando, magari, l’intima pretesa spingeva a strabordare.
Di sicuro in Paradise, dove peraltro Don Winslow, a dimostrazione del fatto che in qualche modo voleva rilassarsi, recupera personaggi di altri romanzi e li propone in spin-off: sto parlando di Ben, Chon e O, protagonisti de Le belve e I re del mondo. E vi appare perfino un Frankie Machine in versione splendido isolamento (ma guardate di non farmi arrabbiare). Direi che è facile imbastire una storia… giocando in casa.
L’ultima cavalcata mi è invece suonato subito familiare e mentre leggevo mi chiedevo il motivo: beh, somiglia come un cugino minore, non un fratello perché lì siamo ad altri livelli, a quel romanzo nel romanzo che Winslow dedica al piccolo guatemalteco in fuga, poi schiacciato dalla burocrazia dell’immigrazione americana, ne Il confine. Come dire: anche qui ci si limita a restaurare materiale pregresso. E che dire di Sunset? Se siete amanti del vecchio Boone Daniels è il giallo che fa per voi. Onde, surf e spiagge del Pacifico.
Rapina sulla 101 resta il migliore, per la sua raffinatezza. E perché sussurra ciò che altrove viene gridato: restiamo esseri spregevoli ma per fortuna capaci di tirare fuori dei guizzi di generosità. Siamo dunque dinanzi a un libro utile per chi vuole, ed è ancora alle prime armi, avvicinarsi a Winslow. Una menzione di merito al coraggio della casa editrice per avere accettato la sfida di questa proposta minore.
Marco Caneschi