L’amore ai tempi del petrolio
di Nawal Al-Sa’Dawi
Fandango, 2020
Traduzione di Stefania dell’Anna
pp.176
€ 16,15 (cartaceo)
L’amore ai tempi del petrolio è un libro che la scrittrice Nawal Al-Sa’Dawi, di cui abbiamo già recensito Memorie di una donna medico, ha pubblicato per la prima volta nel 2001, in Egitto. Ora Fandango lo ripubblica in italiano (una prima pubblicazione nel nostro paese è del 2008) nella traduzione di Stefania Dell’Anna, che è anche la curatrice e ce ne fa rivivere il surrealismo e l’atmosfera esasperata e di denuncia.
La storia racconta di una donna, un’archeologa emancipata, che non porta il velo e non si sottomette alle condizioni di un regime fortemente patriarcale e che all’improvviso sparisce. A partire da questo episodio di cronaca che farebbe pensare ad un giallo, inizia una parabola discendente dentro gli abissi di una società che da un lato è fortemente condizionata dai suoi diktat fondamentalisti e per i quali la donna è proprietà del padre prima e del marito poi, e dall’altra è piegata alle logiche economiche del potere in cui sono altri Stati a decidere le sorti di intere popolazioni, soggiogate attraverso accordi dei loro leader a dinamiche capitalistiche e di sfruttamento.
Lo stile è essenziale, le frasi si articolano in periodi brevi, con un uso ritmico della punteggiatura, quasi ad evidenziare una sorta di cantilena, una nenia rituale che ci conduce dentro un mondo caotico e cupo, da cui anche le parole fanno fatica a liberarsi.
La protagonista non ha nome, nessuno all’interno del libro viene mai “nominato”, probabilmente per rendere meglio il concetto di sovrapposizione tra genere maschile e femminile e anche per una chiara volontà di generalizzare una condizione comune a molte donne, nell’Egitto dell’epoca di Mubarak, contro la cui politica la scrittrice polemizza apertamente, e non solo, come sappiamo dalle cronache non solo mediorientali che ascoltiamo ogni giorno; e nello stesso tempo per far capire che queste persone sono categorie, non esistono, perché nessuno esiste senza un nome.
C’è una voce narrante che si riconosce sempre nella prospettiva della donna, ma qui non c’è una denuncia molto semplicistica delle condizioni delle donne secondo una sottomissione religiosa, c’è la denuncia di un sistema che è piegato alla logica capitalistica delle donne come motore della famiglia e della casa, donne che non devono lavorare e non hanno diritto ad un salario, e che nel loro essere brave casalinghe devono trovare la loro dimensione. C’è anche un chiaro riferimento alla Guerra del Golfo e alla corsa al petrolio, che ha relegato alcune società alla funzione di schiavi asserviti al potere delle potenze mondiali, per mero interesse economico.
Il rischio, se non lo fanno, come la protagonista e come la stessa scrittrice, è la sconfessione, lo spettro della follia, la condanna a nascondersi pubblicamente, come la stessa Nawal ha dovuto fare per anni.
La colpa di essere donna va cancellata in questo abisso in cui precipitiamo con la protagonista, un abisso nero come il petrolio in cui si resta invischiati, da cui si fa fatica a liberarsi, un abisso di costrizioni, di abusi e diritti negati, in cui anche le donne sono nemiche delle donne, perpetrando a loro stesso danno, delle errate convinzioni sull’essere delle brave mogli e sul piegarsi al volere degli uomini
Quella notte il vento era impetuoso e la polvere nera velava il cielo e la terra. Rimase seduta al suo posto ad aspettare. Si fece mezzanotte e lei ancora aspettava. Era certa che le donne fossero lì, dietro le nubi, e che sarebbero apparse come ogni notte. Vedeva le nuvole che si muovevano, presto si sarebbero spostate e le donne sarebbero comparse, sicuramente sarebbero comparse. Iniziò a cantare per calmarsi. Sentiva sempre la zia e le vicine che cantavano alla Signora immacolata, o al sole quando sorgeva, o al grano alla mietitura, o alle acque del Nilo quando straripavano, o alla luna quando diventava piena. I suoi occhi si persero nell’oceano di oscurità nera e si riempirono di lacrime. Le donne non comparvero come ogni notte. (p. 134)
La logica della sottomissione è anche politica ed economica e investe come un’onda nera di petrolio, metafora magnifica e potente, tutti gli esseri viventi e non di queste società, che hanno coi potenti un debito che non riescono a saldare.
Ma questa negazione dei diritti e della libertà femminile per certi versi ma individuale per altri, si estende allo stesso passato, di cui si arriva a mascherare le tracce e di cui si cambiano le testimonianze, per mortificare l’essenza femminile e in generale la terra madre, la nascita, la rinascita, ogni traccia che potrebbe ricordarci che abbiamo un debito di riconoscenza verso le nostre madri e verso noi stessi, e che solo rievocandolo, in un’archeologia dello spirito, possiamo rivendicarlo e riaffermarlo a gran voce, prima che il nero petrolio ci ammutolisca per sempre.
Samantha Viva
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