#CriticaLibera - "Un mese con Montalbano" e "I tacchini non ringraziano": i racconti brevi di Andrea Camilleri alla ricerca di una narrazione possibile
Una storica prima edizione mondadoriana di Un mese con Montalbano in compagnia di un modo nuovissimo di fruizione letteraria, le app di audiolibri
Sarò onesta, fino alla morte di Andrea Camilleri non mi ero mai dedicata alle opere di un grande scrittore che conoscevo e stimavo solamente come intellettuale di rilievo. Avevo fatto, in precedenza, un tentativo con Il re di Girgenti, abbandonato con troppa facilità per il siciliano un po’ ostico, e consideravo il mondo di Montalbano come un universo dedicato ad altri, agli estimatori, in cui forse, da profana, non ero degna di entrare. La strada che mi avrebbe condotto alle opere di Camilleri, tortuosa come spesso sono i sentieri che ci portano a certi libri e autori, era destinata a essere un’altra.
Dapprima, una vecchia edizione ritrovata nella libreria di un’amica, grande fan delle opere di Camilleri, che, mentre le parlavo di questa mia grande lacuna, mi ha suggerito e prestato la sua copia di Un mese con Montalbano, nella prima edizione del 1999, che secondo lei sarebbe stato un ottimo ingresso a Vigata e negli altri luoghi del commissario; poco dopo, in un viaggio in macchina da condividere con altri, la scelta di un audiolibro, selezionato tra tanti altri per un titolo particolarmente divertente, I tacchini non ringraziano. Ad accomunare queste due casualità, la forma del racconto breve.
Anche nella copertina dell'audiolibro rimangono le bellissime illustrazioni di Paolo Canevari
Ogni qual volta mi imbatto in raccolte di racconti oggi, mi viene sempre in mente la prefazione di una delle opere di Niccolò Ammaniti che amo di più, Il momento è delicato, in cui l’autore ne spiega il titolo riportando una conversazione avuta col suo editore, che aveva tentato di dissuaderlo dal pubblicare una raccolta di racconti in quanto, secondo lui, non sarebbe stato un genere in grado di interessare ai lettori d’oggi. Eppure le due raccolte di Camilleri hanno in comune un gusto di raccontare che è difficile da trovare persino nei romanzi veri e propri, quelli che Ammaniti descrive come “storie d’amore”, mentre invece i racconti sarebbero “passioni di una notte”. E se esistono quei racconti che, invece, non riescono ad apportarci alcun piacere, e che, finiti, ci abbandonano in fretta così come ci hanno trovati, la narrazione scarna e semplice di Camilleri riesce ad appagare in tre, quattro pagine. Tanto che, se nella Nota di Un mese con Montalbano Camilleri descrive la sua opera come un insieme di trenta racconti che “a leggerne uno al giorno ci si impiega un mese paro paro”, leggerne uno e basta è impossibile, un racconto tira l’altro e non è facile godere della compagnia di questo libro per un mese intero. Ma dopotutto, non possiamo considerare tale Nota come un’indicazione di metodo al lettore, essendo posta a fine libro; i racconti di Camilleri non hanno la velleità dichiarata di insegnarci qualcosa, né tantomeno di imporci niente, ed è così che riescono a camminare sul filo sottilissimo che separa l'intrattenimento da letteratura. Se è vero che, in I tacchini non ringraziano, la motivazione che ha portato Camilleri a comporre e raccogliere tante piccole storie a tema animale nasce dall’attualità, e nell’atteggiamento di lepri, tacchini e pappagalli è riscontrabile la tenerezza di un codice etico che va oltre l’umano, la seconda fonte d'ispirazione narrativa che Camilleri postpone alla prima è semplicemente quella dei suoi due pronipoti, che hanno concimato la fantasia dello scrittore, e ai quali l’opera è dedicata.
Il sapore di case vissute e campagne familiari di I tacchini non ringraziano e gli indimenticabili personaggi che attorniano il commissario in Un mese con Montalbano, tra osterie, piazze di paese e caserme; non importa il campo su cui la narrazione si applica, non importa il grado di fantasia o, in alternativa, di sentimento, conta solo il gusto di raccontare, di sfogare per necessità una fucina prodiga di idee, facendo spazio affinché altre possano nascervi in gran numero, sempre di più. Ed è proprio questo gusto della narrazione piana, salda e costante che costituisce il nucleo dei racconti di Camilleri. Leggere un suo racconto e poi provare a raccontarlo ad un amico consente di usare le stesse parole che si sono lette, la prosa di Camilleri si presta a questo citazionismo involontario; parole comuni, generose, attraversate da lampi di genialità lunghi una riga al massimo. Che siano racconti fatti per tenerci compagnia per trenta sere di fila, da pregustare nel corso della giornata e da godersi la sera in poltrona come un cioccolatino, o che siano racconti portati in vita dalla voce di un attore fenomenale come Paolo Calabresi, i racconti di Camilleri ci parlano della gioia del raccontare e ci spingono a condividerli con altri. Nel segno di una letteratura che non sia un insieme di singoli volumi intesi come oggetti materiali a sé stanti, ma intesa come quello di immateriale che i libri lasciano, una volta prestati, ascoltati, raccontati, riassunti, consigliati o sconsigliati; una galassia di immagini che esplode dal testo, fruibile in mille modi diversi, che si ampia e si dilata nel momento in cui riesce a connettere non solo autore e lettore, ma vari autori e vari lettori. Accomunati e avvicinati dal piacere purissimo della lettura.
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