"L'ultimo marinaio": una storia di mare, amicizia, abissi e bellezza.


L'ultimo marinaio
di Andrea Ricolfi
Garzanti, 2020

pp. 168
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Rifletto su questo libro appena concluso dalla mia isola – che non è un’isola – finalmente spopolata a metà settembre, udendo chiaro anche durante il giorno lo sciabordio del mare, l’odore salmastro che entra dalla finestra. È un borgo ligure, di pescatori – e un anziano palombaro, uno dei primi in Italia a scendere con lo scafandro, di cui starei per ore ad ascoltare i racconti – , ed è da qui che leggo L’ultimo marinaio, il romanzo d’esordio di Andrea Ricolfi e mi scopro a immedesimarmi con una certa facilità nelle atmosfere e negli stati d’animo di cui si compone la storia, nonostante l’enorme differenza che intercorre fra questo angolo di Liguria e l’isola immaginaria di Noss, nel mare gelido della Norvegia. L’odore di salsedine, lo sciabordio, l’incanto del mare, sono però molto simili, e non riesco a pensare a molti altri posti dove potrei calarmi in questa storia con la dovuta pace, cercando di riportare qui sulla pagina qualche considerazione e spunto derivato dalla lettura.

Un esordio, si diceva, di cui ho avvertito talvolta la narrazione un poco incerta, ma subito dopo compensata dalla profondità degli spunti, dalla scrittura pulita, dalla cura della parola, dalle immagini vivide. La narrazione ancora un po’ acerba non rovina la sensazione generale di avere tra le mani un buon romanzo dentro cui intuiamo esserci prima di tutto un buon lettore, l’eco distinguibile di storie affini per tematiche o ambientazione, e la sensibilità con cui certi scrittori riescono a raccontare l’animo umano, interpretare i silenzi, tratteggiare diverse forme di solitudine. Andrea Ricolfi dona al lettore una storia di mare, amicizia, silenzi, un romanzo di formazione tenero e brutale come Tomas, il misterioso marinaio appena arrivato sull’isola, tra i protagonisti della vicenda. Un uomo silenzioso, forte, arrivato a Noss per insegnare alla “Casa del vento”, la nuova scuola di vela che Matias – protagonista e voce narrante della storia – ha avviato insieme all’amico d’infanzia Jonas, un sogno condiviso che diventerà qualcosa di importante per entrambi, il mezzo per mantenere viva la grande casa di famiglia ereditata da Jonas dopo la prematura scomparsa dei genitori e anche il Marlin, la barca in legno che è l'unico legame rimasto a Matias con il padre scomparso in mare. In quella dimora affacciata sul mare, ragazzi, uomini, donne, arrivano un po’ da ogni dove per seguire gli insegnamenti di Tomas e degli altri eccezionali maestri giunti sull’isola, scoprendo il rispetto per il mare e la sua forza, ma anche il pericolo che sempre si annida tra le onde, con l’augurio che quanto appreso durante la permanenza alla casa del vento venga portato anche nella vita di ogni giorno.

Perché, forse, è proprio questo in fondo il senso di quella scuola: preparare alla vita, alle sfide che ognuno di noi è chiamato ad affrontare, conoscere noi stessi e capire quale sia la nostra strada, per mare o per terra. È grazie all’incontro con Tomas che anche Matias impara davvero a vivere il mare e, forse, proprio a vivere. Ascoltando i silenzi di quest’uomo schivo, imparando la collaborazione e il lavoro di squadra, rispettando il mistero che ogni essere umano si porta dietro, Matias abbandona un pezzo dopo l’altro le incertezze dell’adolescenza, scoprendo la bellezza, l’armonia, la forza e la tenerezza che sono le due anime di cui si compone l’essere umano. Il racconto di Matias è il ricordo di quella stagione, ripercorso nella memoria di un uomo adulto e con la consapevolezza di quanto significativi siano stati quegli incontri, quel momento relativamente breve nello spazio di una vita ma assolutamente fondamentale.

Penso di aver capito che ci sono creature destinate a passare nella nostra vita quasi di soppiatto, a dispetto della profondità che riescono a toccare nella nostra anima. Possono essere persone, gatti, forse anche cose. Sentiamo di essere legati a quella creatura, percepiamo che una possibilità di noi stessi vive in lei, ma siamo destinati a farla scorrere via come scorre via una foglia d’acero, rossa e sottile, caduta in un torrente di montagna. (p. 78)

Sono due, a mio avviso, i perni fondamentali di questo romanzo, su cui la narrazione si apre a numerose riflessioni e spunti con cui confrontarsi anche oltre la pagina scritta: la profondità e il potere salvifico dell’amicizia e la ricerca della bellezza. Intorno ad esse si diramano innumerevoli altri spunti, tematiche, tra cui l’amore, il senso di comunità, l’incanto della natura e di una vita a misura d’uomo, il mistero dell’animo umano, il confronto con la perdita e il dolore. C’è nel racconto di Ricolfi il desiderio di narrare non tanto una vita intera, ma una stagione precisa e il senso che ha avuto nel determinare tutto il resto. L’amicizia tra Matias e Tomas dura un istante eppure ha valore per tutta la vita, tanto profonda è stata l’influenza che ha esercitato e poco importa se Tomas resterà in fondo un mistero mai del tutto svelato. Con lui Matias – e il lettore insieme – impara a conoscere le sfumature dell’animo umano, gli abissi che ci portiamo dentro, la complessità di essere capace di tenerezza e brutalità, di cogliere la bellezza e di provare furia violenta.

Attraverso i suoi occhi e i racconti di Tomas, l’isola di Noss prende forma davanti a noi diventando più vera del vero. Ne intuiamo i contorni, le case coloratissime, la fauna che ne popola le coste, lo spettacolo del cielo del Nord:

[…] mi commuove ripercorrere quanta bellezza sa dispensare questa mia terra. Chi la vede nel suo stato di buia malinconia per la prima volta non può immaginare di quali magie sia capace. Come il saluto delle pulcinelle di mare che tornano dalla pesca per sfamare i loro piccoli e iniziano a far sentire il loro verso dal mare avvertendo il nido che il cibo è in arrivo. O la danza sregolata delle luci del Nord, quando il cielo della notte polare è libero e l’interazione delle particelle solari con l’atmosfera colora il cielo di sfumature irrequiete che rammentano alla fauna artica l’esistenza del sole. O il tramonto d’estate, che pare senza fine, incendia le case d’arancio e rende i lastricati lucenti fino a mezzanotte, come oro battuto nella fucina di un fabbro. (p. 24)

Non è soltanto la capacità dell’autore di restituire sulla pagina luoghi reali o immaginati in descrizioni vividissime, bensì la sensibilità con cui osserva il mondo, l’attenzione alla bellezza che ci circonda, una qualità rara che dobbiamo assolutamente preservare. Guardare davvero e prestare ascolto, a quel canto sconosciuto che corre attraverso l’isola come portato dal vento e di cui solo dopo molto tempo Matias svelerà il mistero.

Il mistero dell’uomo è molto più complicato da svelare, gli abissi che ci portiamo dentro molto più difficili da interpretare. Di Tomas conosciamo i silenzi, le poche parole scelte con cura, mai banali, il rispetto per il mare e il vigore con cui conduce la barca anche nell’uscita più pericolosa, l’attenzione verso gli altri. Ma è un essere umano e come tale capace di ferire gli altri, di mettere distanze, più bravo ad osservare la vita che a parteciparvi fino in fondo. Un uomo del mare, che resterà sempre un po’ un mistero:

La verità è che Tomas era un esemplare unico. Non saprei dire se l’ultimo di una specie estinta o l’unico mai esistito. (p. 127)

Ma che quando apre uno spiraglio sulla propria vita, sul proprio animo, rivela inquietudine e ci spinge a interrogarci sulla natura dell’uomo, su quello che è «l’animale più feroce di tutti» in fondo:

Non c’è eccezione: anche se siamo brave persone, abbiamo tutti scritto nella carne, pur se latente o geneticamente in via di scomparsa, l’istinto di schiacciare il più debole e farne scorrere il sangue per affermare la nostra supremazia; è questo il lascito dei tempi, non così lontani, in cui dovevamo combattere per sopravvivere. Alcuni di noi si camuffano meglio, mimetizzati alla perfezione nella civiltà delle buone maniere e della cortesia, ma siamo tutti lo stesso grande animale, ossessionato dall’egemonia della specie. (p. 39)

Ecco, Andrea Ricolfi costruisce un romanzo stratificato, lanciando al lettori diversi spunti con cui confrontarsi e senza intenti moralistici. Un romanzo in cui lontano ho avvertito l’eco di Paradiso e inferno di Stefànsson nel desiderio comune di raccontare il potere salvifico di un’amicizia e luoghi dalla bellezza brutale, regalando al lettore abissi di non detto, di indefinito, spazi vuoti da colmare con le proprie personali riflessioni. E, ancora, quella capacità di vedere la bellezza, riconoscerla, tentare di preservarla.


Di Debora Lambruschini

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L’odore di salsedine, il vento, il borgo finalmente spopolato dalla ressa estiva che riscopre il silenzio. Dalla sua isola che non è un’isola, la nostra @deboralambruschini si è immersa nelle atmosfere de #LUltimoMarinaio, il sorprendente esordio di @andrea_ricolfi. Una storia sugli abissi che ci portiamo dentro, sul potere salvifico dell’amicizia, sulla profondità di certi legami che poco hanno a che fare con la durata temporale. Una storia di mare, ovviamente, ricca di spunti interessanti appena sotto la superficie. Pronti a partire insieme a noi per l’immaginaria isola di Noss, nel mare di Norvegia? Nei prossimi giorni la recensione sul sito! #CriticaLetteraria #book #bookstagram #booklover #bookstagramitalia #bookaddict #bookaholic #instabook #instalibri #libri #libridaleggere #mare #amicizia #garzanti

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