Foto di Laura Torre |
Milano, inizio 2012. Mia moglie (all’epoca fidanzata convivente) entrò in casa con un piccolo volume giallo tra le mani. Me lo porse e mi disse di averlo trovato nella piccola redazione dove lavorava. Era un romanzo poliziesco, di cui aveva letto la trama e aveva pensato che potesse interessarmi.
Lo presi in mano e lo scrutai come se fosse un oggetto raro. Non nascondo che ero abbastanza perplesso: l’autore, Dario Crapanzano, non mi diceva nulla. Il protagonista, il commissario capo Mario Arrigoni, ancora meno. Stavo facendo il dottorato, la mia tesi verteva sulla letteratura della Guerra Civile Spagnola e in 29 anni di vita non avevo letto più di due o tre gialli. Non ero un appassionato del genere, anzi. In quel caso ciò che mi spinse a leggere quel libro fu il suo titolo, Il giallo di via Tadino, e l’ambientazione: non solo la Milano degli anni ‘50, ma proprio il quartiere nel quale vivevamo (il Lazzaretto, Porta Venezia). E via Tadino era lì a un passo.
Mi immersi nella lettura e in poche ore lo finii. Qualche mese dopo decisi di scriverne e mi convinsi a mettermi in contatto con l’editore dell’epoca di Crapanzano, la Fratelli Frilli (che ha il grande merito di averlo scoperto e lanciato), per provare a intervistarlo. Ci riuscii una prima volta, per e-mail, e una seconda, in occasione dell’uscita del suo terzo romanzo con protagonista Arrigoni, al sole non troppo caldo del dehors della Cremeria Buonarroti di Milano. Quella mattina parlammo quasi due ore e, come spesso succede, l’intervista non rese piena giustizia a quella chiacchierata: off the records, Crapanzano era soprattutto un uomo d’altri tempi, estremamente cortese, e con un acuto senso dell’ironia. Ricordo, tra le altre cose, che lo spronai a dare maggiore visibilità all’ispettore Giovine, uno degli uomini della squadra di Arrigoni, fino a quel momento rimasto appartato dalle indagini principali. Eppure, a parer mio, aveva tutte le carte in regola per diventare l’erede del già mitico commissario capo del Porta Venezia. Crapanzano rideva, ma ascoltava, perché era cosciente del fatto che quel personaggio aveva un gran potenziale. Qualche tempo dopo, infatti, in occasione dell’uscita del primo Arrigoni con Mondadori mi disse: “Spero che apprezzi il protagonismo che ho dato a Giovine, l’ho ascoltata!”.
Quella chiacchierata alla Cremeria Buonarroti rappresentò per me una svolta. Crapanzano mi fece capire che il poliziesco aveva un potenziale che andava ben oltre i confini del genere. Da dottorando con ambizioni accademiche, un po’ snob nelle letture e nei gusti, fu come una lezione che non dimenticai e cercai di mettere in pratica da subito. Tornai a casa e ripresi tra le mani un tentativo di romanzo che avevo iniziato durante uno dei tanti viaggi in treno da Milano a Pisa (vivevo all’ombra della Madonnina, ma è presso l’Università di Pisa che sono diventato dottore di ricerca). Si trattava di uno dei primi capitoli di Omicidio in Piazza Sant’Elena, che venne pubblicato proprio dalla Fratelli Frilli, nel 2016, quando ormai vivevo già lontano da Milano, ma con Crapanzano ci sentivamo ogni volta che usciva un suo romanzo.
In queste settimane ho pensato a lui, ripromettendomi di leggere il nuovo Arrigoni in arrivo il 12 novembre e mandargli la mia solita e-mail di commento. Non ho fatto in tempo. L’ultima volta che ci eravamo sentiti è stata la scorsa primavera. Gli scrivevo per dirgli che stavo cercando di far pubblicare un nuovo progetto. Lui se ne dimostrò felice e mi disse di tenerlo aggiornato. Anche su questo non ho fatto in tempo, ma spero che tra qualche settimana il mio primo noir ambientato a Milano possa avere come vicino di scaffale un’indagine di Arrigoni. Crapanzano chiuse quell’ultima mail che mi spedì con il suo consueto stile da gentiluomo di altri tempi: “Saluti a lei e alla sua bella moglie”. Anche se mia moglie l’aveva conosciuta solo attraverso le nostre chiacchierate.
La traiettoria letteraria di Crapanzano, per i lettori di polizieschi, è arcinota: dalla Frilli passò a Mondadori, per poi approdare a SEM negli ultimi anni. Una carriera breve come scrittore (meno di dieci anni), ma intensa, con una media di oltre un libro all’anno pubblicato. In questo lasso di tempo ebbe anche il coraggio di uscire dal rassicurante universo di Mario Arrigoni e tentare altre strade narrative. Al centro c’era sempre lei: la Milano del boom, con tutte le sue luci e le sue ombre. Spesso paragonato a Simenon, di sicuro il suo personaggio più noto, Arrigoni, è il più maigrettiano degli investigatori del giallo italiano. Ma ad avvicinare Crapanzano al grande scrittore francese (d'adozione) era soprattutto quella capacità di far confluire qualità e quantità. Se invece di iniziare a pubblicare a 72 anni lo avesse fatto a 30, non ho dubbi sul fatto che sarebbe diventato un vero e proprio monumento del poliziesco italiano.
È facile intuire da queste righe che Dario Crapanzano è stato, per me, molto di più di uno scrittore di cui ho apprezzato i libri. Al di là delle qualità letterarie, era anzitutto una brava persona. Modi cortesi, ironia, disponibilità, una cultura letteraria sterminata e una traccia appena percettibile di quella impetuosità che fa di molti milanesi persone estremamente dinamiche. Con discrezione e senza pretese, com’era nel suo stile, contribuì nel suo piccolo a dare al giallo del nostro Paese una cifra diversa, elegante e discreta, della quale c’era e c’è un disperato bisogno.
Alessio Piras
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