di Edoardo Albinati
Rizzoli, 2020
pp. 416
€ 20 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Quando una metropoli vive il suo apogeo, la sensazione di trovarsi al centro vorticoso degli avvenimenti fa sentire importante persino il disgraziato. La città divenne una miniera d'oro, un giacimento immaginario i cui riflessi illuminavano i palazzi, dando un tocco romantico e una specie di accelerazione visiva a quelle facciate fuligginose. Allungandosi all'improvviso, le prospettive dei viali suggerivano una frenesia non solo di lavoro, non esclusivamente legata alla sopravvivenza, bensì un'atmosfera di gioco e fatalità, come se quei vialoni fossero elastici tirati per scherzo da ragazze su di giri. (pp. 14-15)
"Malgrado io sia considerato uno scrittore tendenzialmente realista, amo le leggende e le storie mitiche." Ci tiene a ribadire questo aspetto di sé, Edoardo Albinati, per chiarire quanto la sua profonda osservazione della realtà si nutra anche di una spinta mitica che con il realismo entra in relazione in un unico grande controcanto letterario.
È quello che si ritrova in diversi testi della sua produzione, uno su tutti l'acclamato La scuola cattolica (Premio Strega 2016), e anche in Desideri deviati, il suo nuovo libro e secondo capitolo dell'ideale trilogia "Amore e ragione" avviata con Cuori fanatici.
Se il romanzo precedente ci aveva condotto in una Roma indolente, acciambellata su se stessa, pervasa dalla precarietà e dalla sfiducia, con questa nuova storia siamo invece in una grande città del Nord che si è conquistata lo statuto di capitale economica e morale. Non viene mai nominata direttamente ma ha i contorni e l'anima della Milano di ieri e anche di quella di oggi, figlia delle imponenti trasformazioni che l'hanno attraversata negli ultimi decenni.
Siamo all'inizio degli anni '80, alle feste i dj suonano Just can't get enough, Genius of Love e Rapture, mentre si balla cercando di sembrare sempre più de-umanizzati, uomini artificiali in una società che procede a grandi falcate verso il futuro con tutto l'ottimismo di chi si è lasciato alle spalle anni di buio. Attraversata da una vera e propria trasmutazione alchemica che la sta cambiando nella forma esteriore come nel cuore, la città da minerale, ferrea e reale sta diventando sempre più immateriale, mitica, sognante. Alle grandi fabbriche su cui erano edificate le fondamenta del concreto - quelle dove si recava in marcia nella nebbia del mattino il popolo operaio - si vanno sostituendo le passerelle di moda, le case editrici, le agenzie di pubblicità, gli studi degli illuminati architetti e i templi della finanza.
La città si trasforma una miniera d'oro mentre uomini e donne lavorano instancabili a sogni e possibilità lasciandosi alle spalle quelli che erano stati e fantasticando su cosa potrebbero diventare.
È quello che si ritrova in diversi testi della sua produzione, uno su tutti l'acclamato La scuola cattolica (Premio Strega 2016), e anche in Desideri deviati, il suo nuovo libro e secondo capitolo dell'ideale trilogia "Amore e ragione" avviata con Cuori fanatici.
Se il romanzo precedente ci aveva condotto in una Roma indolente, acciambellata su se stessa, pervasa dalla precarietà e dalla sfiducia, con questa nuova storia siamo invece in una grande città del Nord che si è conquistata lo statuto di capitale economica e morale. Non viene mai nominata direttamente ma ha i contorni e l'anima della Milano di ieri e anche di quella di oggi, figlia delle imponenti trasformazioni che l'hanno attraversata negli ultimi decenni.
Siamo all'inizio degli anni '80, alle feste i dj suonano Just can't get enough, Genius of Love e Rapture, mentre si balla cercando di sembrare sempre più de-umanizzati, uomini artificiali in una società che procede a grandi falcate verso il futuro con tutto l'ottimismo di chi si è lasciato alle spalle anni di buio. Attraversata da una vera e propria trasmutazione alchemica che la sta cambiando nella forma esteriore come nel cuore, la città da minerale, ferrea e reale sta diventando sempre più immateriale, mitica, sognante. Alle grandi fabbriche su cui erano edificate le fondamenta del concreto - quelle dove si recava in marcia nella nebbia del mattino il popolo operaio - si vanno sostituendo le passerelle di moda, le case editrici, le agenzie di pubblicità, gli studi degli illuminati architetti e i templi della finanza.
La città si trasforma una miniera d'oro mentre uomini e donne lavorano instancabili a sogni e possibilità lasciandosi alle spalle quelli che erano stati e fantasticando su cosa potrebbero diventare.
La letteratura di Edoardo Albinati si nutre di momenti di transizione perché sono quelli che gli permettono di raccontare come l'uomo e la storia entrano in relazione e soprattutto sono quelli che gli danno la possibilità di creare personaggi sfaccettati e plurimi, ricchi di contraddizioni.
Desideri deviati ne è pieno: una grande orchestra di uomini e donne che si muovono nel perimetro della città incrociandosi lungo le direttive dei propri desideri che sono impossibili, indefiniti, potenti, pressanti e soprattutto devianti come in fondo sono tutti i desideri.
Desideri deviati ne è pieno: una grande orchestra di uomini e donne che si muovono nel perimetro della città incrociandosi lungo le direttive dei propri desideri che sono impossibili, indefiniti, potenti, pressanti e soprattutto devianti come in fondo sono tutti i desideri.
Dopo il fanatismo del cuore che animava i protagonisti del primo libro dando loro una smania di vivere, di intrecciarsi e di parlare, qui lo scrittore riesce nell'intento di sondare i tanti significati dei nostri desideri, "deviati" non perché necessariamente morbosi, ma perché conducono sempre altrove rispetto alla meta, in un eterno peregrinare. È l'eterna ricerca di un Graal che può essere l'amore, il sesso, la cultura, il successo, la ricchezza, la giustizia politica...
In questo libro il girovagare è tutto urbano. I cavalieri erranti di Edoardo Albinati, tutti orfani di qualcosa, ci portano nelle sale riunioni delle case editrici, nei saloni delle feste, allo sferisterio dove ci si sfida all'allegro gioco della pelota, nei backstage delle sfilate di moda.
Personaggio connettore di questi numerosi incontri è Nico Quell, il "ragazzo dorato" che avevamo già conosciuto in Cuori fanatici. Sempre in bilico tra azione e contemplazione, è l'uomo pieno di qualità che in realtà non ne ha nessuna, colui che ha tutto e a cui manca tutto. Impegnato nella sua scalata editoriale, vive immerso dentro le parole. E quante parole!
Attorno e insieme a lui, si muovono gli altri personaggi: l’editore Minaudo che porta giacche tanto rigide che sembrano di cartone (come il suo carattere); il deforme direttore editoriale Coboldo che nella vita non cede (quasi) mai ai sentimenti; la modella Sheila B., talmente bella da sembrare un'idea; gli ambigui architetti Igor e Vera Macchi che fanno a pezzi frammenti di città per poi in realtà lasciarli come sono; Irene, la sorella ritrovata, che per ritrovare se stessa si perde dentro le mani degli sconosciuti; il maestro Chirone, alfiere dell'idea del fabbricare, in lotta con l'astratto:
Dà voce alle diverse anime di una città plurale (come plurale è il montaggio strutturale del libro, fatto di episodi che si rincorrono e di personaggi che si alternano sulla scena) confermandosi come lo scrittore che spesso parte dai luoghi per ritrovarvi dentro le storie, i caratteri e le trame.
Nella sua operazione c'è l'eco della calviniana spinta a scrivere le città per dare loro forma attraverso la parola, per contrapporci "allo sfacelo senza fine né forma" e salvarci dall'inferno.
In questa città che non è più operaia ma non è ancora diventata troppo glamour e arrogante, la malinconia si mescola con l'ardore, l'ironia con l'epica in un effetto complessivo straniante e coinvolgente perché ci include, parla anche di noi e del nostro modo di lavorare, di crescere e di amare.
Desideri deviati sembra dirci infatti che dei nostri desideri - così come della vita - non abbiamo nessun controllo e che se nel tentativo di contrastare l'erosione della realtà ci affidiamo alla ragione credendo che sia sempre la scelta più ragionevole, beh, potremmo sbagliarci.
Personaggio connettore di questi numerosi incontri è Nico Quell, il "ragazzo dorato" che avevamo già conosciuto in Cuori fanatici. Sempre in bilico tra azione e contemplazione, è l'uomo pieno di qualità che in realtà non ne ha nessuna, colui che ha tutto e a cui manca tutto. Impegnato nella sua scalata editoriale, vive immerso dentro le parole. E quante parole!
Attorno e insieme a lui, si muovono gli altri personaggi: l’editore Minaudo che porta giacche tanto rigide che sembrano di cartone (come il suo carattere); il deforme direttore editoriale Coboldo che nella vita non cede (quasi) mai ai sentimenti; la modella Sheila B., talmente bella da sembrare un'idea; gli ambigui architetti Igor e Vera Macchi che fanno a pezzi frammenti di città per poi in realtà lasciarli come sono; Irene, la sorella ritrovata, che per ritrovare se stessa si perde dentro le mani degli sconosciuti; il maestro Chirone, alfiere dell'idea del fabbricare, in lotta con l'astratto:
«E comunque, sai qual è il bello imperdonabile di questa città? Dover sempre e comunque fare i conti con la realtà, col dato nudo e crudo, il fondamento delle cose: economia, potere, industria, rapporti di forza. In questa città la gerarchia esiste, altroché, esiste per davvero, ed è quella del denaro. Senza compromessi o camuffamenti. Esplicita, comprensibile a tutti. Violenta com’è sempre violenta la chiarezza. Per questo, dopo l’incidente, ho preferito trasferirmi qui, volevo sentirmi addosso il peso della concretezza, l’elemento minerale, il fervore del sottosuolo invece che l’inganno della superficie. Eppure anche qui pare che la superficie stia per prendere il sopravvento. (p. 312)Attraverso i destini di tutti loro Albinati ci racconta Milano come emblema e come parte di un tutto - quello che lui preferisce chiamare "Stivale" e non "Italia" - che cambia.
Dà voce alle diverse anime di una città plurale (come plurale è il montaggio strutturale del libro, fatto di episodi che si rincorrono e di personaggi che si alternano sulla scena) confermandosi come lo scrittore che spesso parte dai luoghi per ritrovarvi dentro le storie, i caratteri e le trame.
Nella sua operazione c'è l'eco della calviniana spinta a scrivere le città per dare loro forma attraverso la parola, per contrapporci "allo sfacelo senza fine né forma" e salvarci dall'inferno.
In questa città che non è più operaia ma non è ancora diventata troppo glamour e arrogante, la malinconia si mescola con l'ardore, l'ironia con l'epica in un effetto complessivo straniante e coinvolgente perché ci include, parla anche di noi e del nostro modo di lavorare, di crescere e di amare.
Desideri deviati sembra dirci infatti che dei nostri desideri - così come della vita - non abbiamo nessun controllo e che se nel tentativo di contrastare l'erosione della realtà ci affidiamo alla ragione credendo che sia sempre la scelta più ragionevole, beh, potremmo sbagliarci.
Claudia Consoli