Curon. Il paese sommerso
di Georg Lembergh e Brigitte M. Pircher
Edition Raetia, agosto 2020
Traduzione di Duccio Biasi e Cernusco Lombardone
pp. 256
€ 24,90 (cartaceo)
Anno Domini 1950, l’anno dell’annientamento del mio amato paese natale e della mia casa paterna per mano di capitalisti avidi di denaro, io Josef von Moos, in qualità di ultimo discendente della mia famiglia di contadini e di mastri carpentieri ho costruito qui questa casa. Scritto il 23.11.1950. (p. 234)È il 26 luglio del 1949 quando sui prati di Curon si svolge l’ultima processione di Sant’Anna. Ed è il 16 luglio del 1950 quando le campane della vecchia chiesa parrocchiale suonano per l’ultima volta.
In
pochi conoscono la storia della diga costruita per sbarrare i laghi naturali di
Resia e di Mezzo (o Curon), siti in Alto Adige, in alta Val Venosta, quasi al
confine con l’Austria. È strano perché è una tragedia talmente grande, una
ferita tutt’ora aperta e sanguinante, che sembra quasi impossibile sia rimasta praticamente
sconosciuta per settant’anni. Il luogo, oltre agli appassionati di sport
acquatici e invernali come il kitesurfing o il pattinaggio, attira più
di un milione di turisti l’anno, grazie al particolare campanile che spunta dal
lago, ghiacciato in inverno, e specchio delle magnifiche cime dei massicci dell'alta Val Venenosta d’estate. Ma
i turisti sono consapevoli dei tragici avvenimenti storici che avvennero
all’ombra di quel campanile?Nel
1937 l’azienda chimica Montecatini presenta il progetto per la costruzione di
una diga destinata a sbarrare i laghi di Resia e di Curon, con conseguente
innalzamento del livello dell’acqua di ben 22 metri. Ciò significava che il
paese di Curon sarebbe stato totalmente sommerso dall’acqua, insieme a una
parte del paese di Resia. Fu letteralmente l’acqua a cacciare gli abitanti, ed
è per questo che vengono chiamati col termine dialettale venostano di
“Aussigwassrtn”.
La crisi identitaria che ne conseguì fu terribile: gli abitanti avrebbero dovuto iniziare altrove una vita nuova, chi in Trentino, chi in Austria, chi, più fortunato, nel paese di Resia nuova, costruito poco più sopra di Resia vecchia, annegata insieme ai suoi ricordi. Una nuova vita lontano dalle loro radici, dalle tombe dei loro padri, dai rigogliosi campi che li avevano visti crescere e avevano dato loro di che vivere, e lontano dal verde di quelle montagne che li aveva protetti così a lungo. Ora erano anime perse, senza patria né identità.
La nostra casa era già stata svuotata e aveva un’aria tetra e desolata. Naturalmente i nostri genitori non riuscirono a chiudere occhio. In quella tremenda nottata su Resia e sull’abitato di Pitz si abbatté un forte temporale. Un fulmine cadde su un trasformatore elettrico e pioveva a secchiate, come se si fossero aperte le cataratte del cielo. Come se la natura avesse voluto urlare al mondo in un modo impressionante e rumoroso il nostro silenzioso congedo dalla nostra amata e fidata terra. (p. 98)Questa preziosa testimonianza ripercorre la storia dei laghi di Resia e Curon e dei suoi abitanti, da prima della costruzione della diga fino a oggi, e sfogliandolo veniamo catapultati nel passato, percepiamo il dolore di quei luoghi, i pianti silenziosi che accompagnano i sopravvissuti e le nuove generazioni. È un peso che in qualche modo riguarda tutti noi, un dolore che condividiamo, che ci fa sentire parte di qualcosa di più grande, anche se lontano.
Attraverso questo volume costituito da ricordi scritti, fotografie di archivio, fotografie nuove e vecchi negativi restaurati, gli autori ci accompagnano in un viaggio nel passato, riportandoci sul luogo di una tragedia iniziata negli anni ’30 in Alto Adige, e purtroppo ad oggi ancora non superata. Un volume che vale la pena di leggere, che dà voce anche ai testimoni che per ragioni di sceneggiatura e contenuto non sono potuti comparire nel documentario che lo precede, “Il Paese sommerso. Curon” (2018), sempre del tirolese Georg Lembergh, e Hansjörg Stecher, vincitore di numerosi premi e distribuito con grande successo in vari paesi.
Da altoatesina nata e cresciuta a Bolzano questa storia mi ha toccato molto intimamente. Pur vivendo qui, non conoscevo quasi per nulla la storia dei laghi di Resia e Curon, e onestamente un po’ me ne vergogno. Qualche anno fa sono stata a visitare il lago di Resia, e anche io ho scattato delle fotografie per ricordo, senza neanche immaginare lontanamente la storia che vi fosse dietro. Quando tornerò in quei luoghi, lo farò, grazie anche a questo libro, con una consapevolezza maggiore, e invece di guardare il lago soltanto con occhi sognanti di turista, mi fermerò a pensare anche solo per un istante al dolore che hanno provato e continuano a provare gli abitanti che furono costretti a mettere in valigia le loro radici, emigranti nella propria terra natia, consapevoli che casa loro sarebbe scomparsa per sempre. Mi sento di consigliare caldamente questo volume, per ricordare che la Memoria è importante, e che prima di considerare il lago di Resia un luogo turistico in cui scattarsi selfie con una vista mozzafiato, andrebbe per lo meno conosciuta la storia per molti versi angosciante che si cela sotto lo specchio cristallino di quelli che un tempo erano i laghi naturali di Resia e Curon, ora diventati il lago artificiale più grande dell’Alto Adige.
Lidia
Tecchiati