Quori cuadrati
di Alessandro Turati
Neo edizioni, 2020
pp. 176
€ 14,00 (cartaceo)
Quando esco, lei non è più al tavolo. La vedo al di là della strada che sale sull’autobus. Mi chiedo se sia questa l’ultima immagine di lei e spero di no, perché è fin troppo patetica. Non è consentito tagliare il braccio di una persona, pena la prigione, ma è concesso comprimerle il cuore senza subire conseguenze: ecco cosa mi ha fatto. (p. 55)
Di Alessandro Turati ho letto tutto, in ordine sparso. Ho
cominciato nel 2016 con l’appena uscito Briciole
dai piccioni per poi tornare indietro fino al 2012, col suo esordio in
narrativa, sempre per Neo edizioni, Le 13
cose. Turati, a quanto pare, esce ogni quattro anni, come capita con le
Olimpiadi (salvo imprevisti). Mi aspetto dunque di rivederlo fra noi nel 2024
e, considerando l’anno che stiamo passando e lo stile che oltrepassa l’assurdo
dell’autore in questione, sarà un capolavoro.
A questo punto sarebbe opportuno dire “ma andiamo con ordine” e passare a parlare della trama, se non fosse che è molto difficile dire di cosa parla questo libro. Se in Briciole dai piccioni, infatti, potevamo quantomeno ricavare un quadro dalle pennellate più o meno nitide e dai contorni più o meno precisi, Quori cuadrati fa saltare anche questa minima speranza di coerenza.
Se volessimo banalizzare – e non vedo perché dovremmo, ma da
qualche parte bisogna cominciare – potremmo dire che Uno Marković, «di padre
serbo e madre italiana» (p. 9) – ma questa informazione, lo si vedrà, tornerà totalmente inutile
ai fini del romanzo – è un individuo fuori posto in qualsiasi luogo, a
cominciare dalla propria esistenza. E cosa c’è di peggiore dell’essere
fuori posto ovunque, se non incontrare l’amore della propria vita per poi
perderlo? Ecco allora che Uno parte per un viaggio, dove conosce Easter, una ragazza
più a pezzi di lui, e con la quale intrattiene una specie di relazione più o
meno fruttifera, prima di tornare nella provincia («La provincia dove vivo mi
demotiva», p. 118) da cui è venuto. Insieme a Uno, a casa, vivono la sorella e
una giraffa parlante di nome Ellis. Fra un omicidio poco vissuto, un delirio
forse causato da droghe o da alcol e giornate trascorse senza senso, il romanzo
volge al finale attraverso una parvenza di ritorno alla normalità.
La questione, qui, non è la trama che Turati mette nero su bianco sulle pagine, perché se volessimo dar credito agli avvenimenti dovremmo concludere che questo libro non significa nulla. La questione è, al di là dello stile sempre molto alto di Turati, la visione che l’autore vuole trasmettere. Il mondo di Turati è un mondo senza senso, in cui ad azione non segue necessariamente reazione, in cui eventi inutili sembrano assumere un ruolo capitale per poi tornare nel magma confuso della realtà:
Fuori smette di piovere e un albero gocciola in grande solitudine.
Torno a casa e tengo in mano il panno.
Che bel panno, mi dico, meglio dell’altr’anno. (p. 56)
Il nonsenso e l'inutile diventano rilevanti nel
momento in cui nessun motore dà la spinta all’azione. L’assenza del grande
amore, che solo sembra avere la potenza di smuovere Uno, comporta il fatto di
dover continuare a esistere pur senza uno scopo preciso. Nessuna ambizione,
nessun trofeo, nessun grande sogno catturano l’attenzione del protagonista: dunque – per sottrazione – ciò che resta è ciò che importante non è. Il fissare
un panno appena acquistato, il mangiare una noce, l’esistere nonostante tutto.
Ci sono poi gli eventi assurdi, come la giraffa parlante che
fa le valigie e se ne va, la nascita di un bambino a partire da un uovo e altre
cose che sembrano messe lì a caso e forse lo sono. Veramente, qui, un ordine generale sembra darlo l’abuso di alcol e sostanze psicotrope, tanto più che
spesse volte vengono richiamati in causa. Se c’è una ulteriore spiegazione, è tutta da
indagare.
Quori cuadrati,
molto più dei precedenti testi di Turati, spinge al limite il concetto di
straordinario. Da lettori, è una prova ardua da superare, nonostante il romanzo
consti di meno di duecento pagine. È un testo strano, inquietante, morboso e
nichilista. Le illustrazioni in bianco e nero di Stefania Dordoni, classe 1996,
alter ego della giovane Easter, nonché, per sua ammissione, «alter ego femminile, ventenne, senza gambe e con diastema di Alessandro Turati» (p. 170), contribuiscono fortemente ad aumentare il senso di estraneità e morbosità del
testo. Dire che sono azzeccate è poco.
David Valentini