di Joann Sfar
Edizioni Clichy, ottobre 2020
Traduzione di Tommaso Gurrieri
pp. 200
€ 17 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)
Disegnare è una delle prime attività che impariamo già in tenera età. Disegniamo su fogli di carta, su cartoncini colorati, su pagine di giornale. Coloriamo le pareti di casa, i tasti di un pianoforte, le coperte sul divano. Quando siamo a gambe nude, i pennarelli solcano la nostra pelle creando geometrie astratte che diventano mappe interpretabili del nostro futuro. Poi, quando cresciamo, c’è chi continua con l’arte di riempire le giornate di colori, c’è chi invece mette i pastelli e le tempere in una scatola dei ricordi. Joann Sfar appartiene a quel gruppo che deve disegnare per capire il mondo: «Io disegno per capire, per tirare delle conclusioni, e per rendere ogni cosa sopportabile.» (p. 135) È dell’intersezione tra immaginazione e vita reale, tra rappresentazione e osservazione, tra modello dal vero e la sua risoluzione bidimensionale su un foglio bianco e di tutte le relative problematiche che Sfar ci parla in Modello dal vero.
Tutto comincia quando Joann Sfar, professore di disegno all'Académie des Beaus-Arts di Parigi, partecipa a un dibattito pubblico con la ministra della Cultura dedicato alle molestie sessuali. La rappresentazione dei corpi e tutto il lavoro che vi è dietro viene additato come parziale responsabile delle disuguaglianze di genere e, in extremis, delle violenze che i copri femminili subiscono nella nostra società. Allora questioni quali la relazione con il modello dal vero, lo sguardo per disegnarlo, l'etica della rappresentazione, le tecniche con cui vengono fotografati e disegnati i corpi, i mezzi attraverso i quali vengono diffuse le loro immagini, le reazioni che scatenano attraverso l'osservazione, la "moralità" dell'osservatore e il ruolo immaginifico del disegnatore iniziano a ossessionare Sfar. Modello dal vero si situa a metà tra romanzo, manuale di storia dell'arte e satira sociale e diventa un'occasione per riflettere sulla complessa concezione che il disegno dal vero ha assunto nel nostro contemporaneo.
Il disegno, come la letteratura, è uno spazio di rielaborazione del nostro quotidiano, è un luogo in cui, attraverso il filtro dell’immaginazione, possiamo aguzzare lo sguardo per penetrare in profondità la realtà che ci circonda. Per mezzo di china, penne, pastelli, colori a olio, tempere e acquerelli possiamo smembrare corpi e rimontarli. Possiamo dare vita a storie che non avrebbero un lieto fine nella realtà. Possiamo creare il mondo che non c’è, ma che vorremmo. Possiamo creare più uguaglianza, se la morale che accompagna la nostra illustrazione viene usata per una buona causa. Il modello dal vero, colui o colei che, prima, era rilegato/a a ruolo di musa ispiratrice per gli artisti, oggi richiede di entrar a far parte del processo creativo. Vuole essere uno specchio frantumato e che esplode in mille pezzi che vanno a conficcarsi dentro al disegnatore e all’opera, lasciando traccia di un’intima parte di sé. Sta all’artista saper usare artisticamente quel frammento che il modello dal vero lascia dentro al disegno. Ascoltando quello che il corpo del modello comunica silenziosamente al disegnatore, il disegno si avvicinerà a quello che il corpo in posa ha voluto trasmettere e che l’artista ricalca sulla carta:
Politicamente io voglio tutto per tutti. Voglio che il genere non sia un piccolo interruttore in cui possiamo scegliere rosso o verde. Possiamo romperlo con rabbia o metterci un cerotto per mendicarne le ferite oppure nasconderlo in un armadio giurando che non ha nessuna importanza. […] Vorrei vivere in un mondo in cui tutti possano decretare di essere maschio o femmina senza doversi battere contro la realtà del proprio scheletro. (pp. 123-4)
In questo modo, Sfar ci mostra che «disegnare con amore significa non mascherare niente del modello» (p. 126) e che «un disegnatore non deve mascherare né le ferite né i lividi. Non faccio un naso piccolo agli ebrei che disegno. Mi limito ad amarli anche se la loro protuberanza nasale nasconde il sole» (p. 127). Insomma, il corpo racconta segreti, e l’unico modo per rendere il disegno più sincero e fedele a quello che il modello esprime, è raccontarli. Ma com’è possibile realizzare ciò oggi, in una società dove ogni riferimento alla realtà dei corpi, alla verità della storia, alle colpe commesse da personaggi famosi, sono represse dalla censura e dai “diritti alla privacy”?
Oggi il ritrattista ha torto qualunque cosa faccia.Se inventa tutto o deforma la realtà nessuno ci crede, ma se dice quello che pensa senza trucchi arriva la lettera di un avvocato.No, prima non era così. Prima le menzogne romanzesche funzionavano. (p. 59)
È a questo punto che il libro passa da manuale di critica artistica a romanzo di denuncia sociale. Partendo dalla memoria sofferta degli artisti della comunità ebraica, a cui Sfar appartiene, per poter rappresentare i traumi subiti nella storia, Modello dal vero ci mostra le difficoltà attuali del fumettista, del regista, della scrittrice, del fotografo, della modella, dell'attore, della musicista e, più in generale, di tutti i tipi di artisti che oggi si trovano a dover fare i conti con una società che mette sempre più in discussione il valore e l'importanza del loro lavoro.
Non so come si sia fatto a riprendersi, a poter pensare che l’essere umano potrebbe forse uscire dal materialismo che comincia con i saponi di Auschwitz, prosegue sulle sedie di Beuys e finisce nei musei quando un urbanista ti parla di «flussi di popolazione» e della necessità di «non mettere troppo testo nelle targhette sennò il pubblico rischia di passare troppo tempo davanti alle opere». Vomito quando penso a queste cose. (p. 140)
Senza memoria artistica, non c’è memoria. Senza riconoscere la dignità di quegli artisti che, attraverso le loro opere rielaborano i traumi del passato, non c’è rispetto per le violenze che le vittime della storia hanno subito. Senza un disegno che mostri le ferite del corpo, questo rimane occulto. Se non ascoltiamo e valorizziamo quello che gli artisti impegnati di oggi vogliono trasmetterci, rischiamo di fare del nostro mondo un grande museo a cielo aperto, con tante targhette esplicative sulle quali non vale la pensa soffermarsi. Il libro di Joann Sfar ce lo dimostra, con tutta la sua ironia che si mischia a lacrime amare.
Nicola Biasio
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