Shunga
direzione artistica e editoriale di Kazuya Takaoka
testi di Ishigami Aki e Yamamoto Ukari
dialoghi di Ito Nobukazu e Saito Yoshiki
traduzione di Lucia Corradini
L’ippocampo, 2014
pp. 586
€ 39,90 (cartaceo)
Che le “immagini di primavera” siano state tra quelle di maggiore successo nell’ambito della produzione di stampe ukiyo-e, di per sé dedicate “alle immagini del mondo fluttuante”, è un dato che conferma l’intenzione celebrativa dei piaceri della vita di questa specifica produzione artistica. La gradevolezza dei sensi, difatti, vi risulta esaltata in ogni aspetto: da quello in senso lato epidermico a quello più prettamente estetico, con un’impostazione descrittiva che si esprime ora con esuberanza dei dettagli (ciò che fa degli shunga anche validissimi documenti di costume) ora con essenzialità e sintesi (un giapponismo altrettanto autentico ma a tutti gli effetti spogliato dagli eccessi di quel decorativismo che avrebbe sedotto la vecchia e pur viziosissima Europa). Così è come se la resa in volume di questi capolavori, che pretenderebbero a prescindere l’esperienza di un’osservazione dal vivo, intendesse ispirarsi a un approccio garbatamente voyeuristico. Difatti, per ciascuno dei dieci incisori selezionati (nomi eccellenti quali Kitagawa Utamaro, Katsusika Hokusai, Torii Kiyonaga, Suzuki Harunobu, Isoda Koryusai, Shiba Kokan, Katsukawa Shunsho, Katsukawa Shuncho, Utagawa Kunisada e Utagawa Kuniyoshi) viene adottata una molteplice impostazione grafica che, ai fini di farle apprezzare al meglio, mostra le tavole con varietà di scala e di formato: ora in minore e decentrate su fondo monocromo, ora su due pagine, ora solo su mezza pagina, ora con focus di ingrandimento su determinati dettagli; una scelta che conferisce vivacità e dinamicità all’insieme, e che nel tentare, così facendo, di riprodurre il movimento curioso degli occhi, suggerisce allo sguardo di posarsi su immagini che appaiono sempre identiche eppure sempre nuove, riuscendo a fare in modo che chi legge si soffermi, sì, sull’azione in sé, ma anche sugli aspetti più tecnici e artigianali dell’arte in oggetto. Un libro simile, d’altra parte, va sfogliato senza frenesia alcuna, e ogni tavola chiede di essere apprezzata tanto per il tema quanto per la sua sublimata e sofisticatissima resa.
A fare di Shunga un volume importante e imponente non sono di certo (o non sono soltanto) le sue quasi seicento pagine. Anche se le dimensioni, inutile negarlo, contano (e ciò sia detto con tutta la consapevole malizia nel riferirsi a un genere di stampa che vanta tra le sue caratteristiche distintive proprio l’intenzionale esagerazione nella resa dei genitali maschili e femminili, direttamente proporzionale, a sua volta, all’esasperazione delle pose e degli atteggiamenti degli amanti). Per chiunque non abbia mai avuto modo di ammirare dal vivo questi lavori, la pubblicazione L’ippocampo rappresenta un’occasione eccellente per apprezzare una produzione esemplare per origine, evoluzione e declinazioni autoriali. Lungi dal farsi semplicisticamente assimilare al repertorio pornografico di una nazione, queste tavole dei maestri incisori appariranno in tutta la loro complessità espressiva e culturale, anche grazie ai testi illuminanti e disambiguanti di Ishigami Aki e Yamamoto Ukari e ai contributi di Ito Nobukazu e Saito Yoshiki (peraltro riportati sia in traduzione italiana sia in versione originale giapponese, con un gradevolissimo effetto di “straniamento linguistico-decorativo”). Di sicuro gradimento da parte degli appassionati di incisione (giapponese e non), Shunga promette di aprire un mondo anche ai più profani in materia, seducendoli e conquistandoli per sempre con l’eleganza e l’audacia delle più memorabili tra le “immagini di primavera”.
Cecilia Mariani
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