George Simenon. La letteratura al cinema
A cura di Denis Brotto e Attilio Motta
Marsilio Editore, 2020
€ 16,00 (cartaceo)
Nel 2016 il Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari dell’Università di Padova ha dedicato il suo annuale convegno sui rapporti tra cinema e letteratura alla figura di Georges Simenon e gli interventi tenuti sono stati raccolti nel testo Georges Simenon. La letteratura al cinema, edito da Marsilio a cura di Denis Brotto e Attilio Motta. I contributi presentati non solo indagano l’ambito letterario dello scrittore, ma mettono in evidenza anche le relazioni tra la sua produzione e il mondo cinematografico, senza tralasciare i suoi interessi da antropologo e fotografo. Il testo infine si chiude con la filmografia e bibliografia essenziale a cura di Gianni Pigato e l’indice dei nomi.
Il primo nome che subito si lega all’opera di Simenon è il commissario Maigret, un esempio di figura letteraria trasportata in moltissime trascrizioni cinematografiche e televisive che sono state poi realizzate in diversi Paesi del mondo. In l’Italia ad esempio se ne ricorda la magnifica interpretazione di Gino Cervi, amata anche dallo stesso scrittore, per il pubblico italiano Maigret, come scrive Giovanni Borriero, possiede le fattezze e le movenze di Gino Cervi, un commissario metodico, ordinario, casalingo, amante del buon cibo, un fumatore di pipa, nervoso e facile all’ira con un fisico massiccio che attrae le simpatie degli spettatori che lo vedono accigliato e di cattivo umore quando inizia un’indagine.
«Nella mia lunga carriera non mi sono innamorato mai di un personaggio come questo. Io a Maigret voglio un bene dell’anima. Mi piace tutto di lui anche quello che mangia e quello che beve. Forse Maigret è un oriundo emiliano» (p.92).
Nonostante il più volte dimostrato disinteresse di Simenon per il cinema e di un personale rapporto controverso con tale arte, si dice amasse pochi film e autori – Chaplin Fritz Lang, Renè Clair – non va dimenticata la trentennale amicizia con il regista Federico Fellini, nata nel 1960 al Festival di Cannes, dove Fellini vinse la Palma d’oro per La dolce vita. Tra loro vi fu una lunga corrispondenza nella quale si trovano svariate riflessioni sul cinema e sulla letteratura: Fellini ringrazia Simenon per le idee che trae leggendo i suoi scritti e lo scrittore contraccambia elogiando film, come Casanova (1976) o la Citta delle Donne (1980).
Il professor Andrea Rabbito sottolinea come vi siano pellicole in cui appare particolarmente evidente la relazione tra la scrittura simenoniana e l’universo filmico, ne è un esempio l’opera del regista ungherese Béla Tarr L’uomo di Londra (2007), che si ispira all’omonimo romanzo pubblicato dallo scrittore nel 1934. Il connubio poetico e d’animazione si rintraccia nell’uso dei piani sequenza di lunga durata e della profondità di campo, nella fotografia in bianco e nero, nel surrealismo fenomenico e nell’organizzazione del tempo e del susseguirsi degli eventi.
Anche l’attore e regista francese Mathieu Amalric si cimenta con un’opera di Simenon e nel 2014 esce nelle sale La camera azzurra, un film nel quale, come ricorda Denis Brotto, si può “leggere” il racconto dove la camera diviene essa stessa una sorta di “sistema-racconto”.
Prosegue non a caso poi Brotto nella sua esposizione, individuando analogie tra i luoghi e la loro vocazione di esseri narranti con l’arte della pittura.
«Alcuni pittori, visti sotto la luce di Simenon, mostrano del resto una perfetta consonanza con i suoi romanzi: Léon Spilliaert, Vilhelm Hammershoi e Edward Hopper sono senza dubbio tra questi. Ma proprio Hopper rivela alcune affinità sorprendenti, e non solo con Simenon: l’osservare da vicino la provincia come luogo del mistero, della solitudine, della distanza tra individui, mariti e mogli soprattutto. E poi gli interni, le case isolate, le camere come luogo deputato al racconto di questi stati d’animo. E, non ultima, l’influenza franco-americana, con Hopper che rimase a lungo in Francia, e con Simenon che specularmente abitò negli Stati Uniti dal 1945 per circa dieci anni» (p.77).
L’intervento di Alessandro Perissinotto si concentra invece sul Simenon antropologo, scrittore e fotografo di viaggio. Noti sono i suoi viaggi in giro per il mondo, dall’Africa all’Australia e dall’America alla Nuova Zelanda, ed oltre ad una quantità di articoli, Simenon vi torna con una serie di racconti che pubblica per il Paris-Soir e che raccoglie poi in un unico volume nel 1938 dal titolo: La cattiva stella. Sono racconti eccentrici e singolari che vedono come protagonisti uomini prossimi al fallimento, avventurieri improvvisati, individui colpiti dalla cattiva sorte o nati sotto una cattiva stella. Efficace nel cogliere dettagli e veloce nella scrittura, Simenon fotografa nel suo quaderno di appunti luoghi e personaggi con una forma espressiva di straordinaria intensità. Le vicende sono bizzarre, storie di arti magiche e di un esotismo controcorrente, ben lontano dal quel sogno di fine Ottocento di vedere i luoghi esotici come paradisi perduti e di eterna felicità.
Dal 1932 anno in cui appare la prima trasposizione cinematografica di un racconto di Maigret con La notte dell’incrocio di Jean Renoir, molto è stato detto e scritto sulla contaminazione tra l’immagine visiva e la potenza della parola. Simenon, da attento osservatore e abile documentatore, con uno stile crudo, asciutto e con pochi fronzoli, ha saputo padroneggiare magistralmente inquietudini, sguardi e voci, molti dei quali tanti registi hanno poi riletto e filtrato in scene e atmosfere uniche e indimenticabili per un connubio speciale di parole e immagini.
Silvia Papa