Nozze sul Delta
di Eudora Welty
Minimum Fax, 2020
di Eudora Welty
Minimum Fax, 2020
Traduzione di Simona Fefè
pp. 360
€ 18 (cartaceo)
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
La prima volta che ho sentito parlare di Eudora Welty è stato durante un corso di letteratura angloamericana all’università: un corso bellissimo, che mi ha spalancato mondi, ma nel caso della Welty si era trattato di una breve menzione come esponente di spicco della Southern Literature.
La prima volta che ho sentito davvero parlare di Eudora Welty, che ho avvertito tutta la maestosità della sua voce, è stato qualche anno dopo, in occasione di un’edizione molto speciale de La Grande Invasione di Ivrea, quell’anno con un programma dedicato alla forma breve: fra i tanti incontri che stavo seguendo per lavoro, mi sono ritrovata ad ascoltare Rossella Milone che leggeva brani da Una coltre di verde, la prima raccolta di Welty pubblicata in Italia per merito di Racconti Edizioni, e raccontava con profonda ammirazione di questa scrittrice immensa, della sua passione per l’oralità, la tradizione, l’appartenenza a quella Southern Literature appunto che era parte del suo essere, dei numerosi riconoscimenti alla sua opera, dal Pulitzer ai tre premi O. Henry, della spiccata vena realistica in cui si inseriscono accenni alla mitologia del Sud. E della forma letteraria da lei prediletta, il racconto, con cui si impose sulla scena letteraria statunitense a partire da 1936, anno della pubblicazione di Morte di un commesso viaggiatore, alternando storie più introspettive ad altre in cui lo sguardo si fa più ampio, la dimensione colloquiale.
Da allora Welty è diventata una delle mie scrittrici di racconti di riferimento, in un personale Olimpo a prevalenza femminile. Come capita quasi sempre però, allo scrittore che si afferma pubblicando racconti, presto o tardi viene chiesto di scrivere un romanzo, a quanto pare ancora la forma narrativa predominante. È così anche per Welty, che cede alle richieste dei suoi editori e si confronta con una narrazione lunga, articolata, dalla dimensione universale. Welty, penna raffinatissima e acuta osservatrice di quanto la circonda, riesce nel piccolo miracolo di “tradire” la forma a lei più congeniale e scrivere romanzi di indubbio valore letterario. Per me, che sono innamorata della forma breve, la scrittura e la sensibilità artistica di Welty è nel racconto che si esprimono al loro massimo, ma è innegabile che romanzi come Nozze sul Delta, pubblicato per la prima volta nel 1946 e da poco in libreria per Minimum Fax, siano un tassello immancabile nella costruzione della bibliografia dell’autrice.
In questo romanzo è come se Welty riversasse tutta la vita e le microstorie che non era ancora riuscita a imbrigliare, un’abbondanza di voci, personaggi e digressioni da cui il lettore viene avvolto; una ricchezza che Welty – e qui risiede appunto il talento – domina perfettamente, poco importa se poi il lettore non ricorderà tutti i personaggi o le loro storie, la bellezza di questo romanzo sarà appunto nel rincorrere le loro voci, soffermarsi con maggior attenzione su alcune di esse, toccati da una tematica più di un’altra, scalfendo solo la superficie del complesso e ricchissimo universo narrativo di Welty. E, in fondo, Nozze sul Delta si riduce a due elementi essenziali, due perni su cui ruota l’intera narrazione e che sono il cuore tutto della produzione letteraria di Welty: la famiglia e il Sud. È appunto da una riunione di famiglia che prende avvio il romanzo ed è dei Fairchild, proprietari di una piantagione sul Delta del Mississippi, che l’autrice compone il mosaico di storie e voci che costituisce la storia.
La mente fu invasa dal paesaggio, i pensieri furono accantonati. Nel Delta pareva esserci quasi solo il cielo. Le nuvole erano grandi, più dei cavalli e delle case, più delle barche, delle chiese e delle sgranatrici di cotone, più di qualsiasi cosa, tranne le piantagioni dei Fairchild. […] La terra era perfettamente piatta e uniforme, ma scintillava come l’ala di una libellula luminosa. Vibrava come uno strumento a corda appena pizzicato. (p. 19)
È il settembre del 1923 e fervono i preparativi per le imminenti nozze della diciassettenne Dabney con Troy Flavin, sovrintendente della piantagione di famiglia, un uomo molto più vecchio di lei, brutale a tratti, inferiore di rango, ma a cui testardamente ha scelto di legarsi. La grande casa si riempie delle voci di ognuno di loro, a partire dalla piccola Laura, da poco rimasta orfana di madre e nel giro di poco fagocitata dallo spirito di quella «famiglia tumultuosa», dalle storie di quegli individui che lentamente impara a vedere e conoscere sempre meglio. La voce di Laura si alterna presto a quella degli altri Fairchild e di chi è entrato a far parte della famiglia, in una narrazione che si fa sempre più pulsante e ricca di vita, corale.
La grande casa è resa minuziosamente nei dettagli, ogni oggetto su cui Welty posa lo sguardo è raccontato al lettore con intima partecipazione e, di conseguenza, ogni storia appare importante, poco conta se nel caos qualcosa inevitabilmente ce lo perdiamo, resta però assolutamente importante per Welty, che tratteggia con la stessa premura ogni personaggio, ogni dettaglio della casa e della piantagione.
Eppure – ma sono convinta che sia stato proprio nelle intenzioni dell’autrice – pur nella ricchezza dei dettagli, nella generosità del racconto, resta in fondo la sensazione di aver appena scalfito la superficie e permane il dubbio di non riuscire a penetrare pienamente il mistero.
È sempre quella la domanda cui non possiamo dare risposta: conosciamo davvero le persone che ci stanno accanto? I Fairchild si osservano ogni giorno eppure l’impressione è che l’uno dell’altro conoscano solo una minima parte e questa sia per lo più l’immagine, l’idea che se ne sono fatti.
Se la famiglia è il perno centrale della narrazione, le donne rappresentano il cuore di tutta la vicenda: lasciato il mondo agli uomini, che fanno carriera, muoiono in qualche assurda guerra, si perdono, le donne dominano la casa e, in un certo senso, la vita intera. Sono donne che talvolta fanno scelte poco convenzionali, spinte dalla passione o da un'indole testarda, bambine che giocano come i maschi, promesse spose cui nessuno chiede veramente conto della propria scelta, mogli infelici che senza spiegazioni se ne vanno, ferite da un gesto mancato. Gli uomini, tanto quelli perduti in guerra quanto coloro che ancora vivono, sono idealizzati, creature mai davvero conosciute, imperscrutabili, divinizzate.
In questo grande affresco di vita e famiglia, Welty omaggia un luogo, una tradizione, che sono il cuore pulsante della sua produzione letteraria, di cui riesce a restituire al lettore le atmosfere, la quotidianità, la mitologia: siamo nel bayou, respiriamo i profumi della cucina dei Fairchild, distinguiamo perfettamente ogni oggetto su cui si posa lo sguardo dei personaggi e col loro il nostro, da una coperta ricamata come dono di nozze, ad una vecchia spilla a lungo dimenticata e poi perduta. I confini della narrazione si aprono ad accogliere storie di piccole miserie quotidiane, di legami famigliari assoluti, di gelosie tra sorelle che temono di perdersi, di difficoltà coniugali, di matriarcato e uomini sfocati o idealizzati, nella morte quanto nella vita. La morte è uno spettro che aleggia lungo tutta la storia, i fantasmi di chi si è perduto sono una presenza costante nel ricordo, per sempre cristallizzati in quell’attimo di gioventù diventato ideale.
La prosa di Welty, tuttavia, non fa sconti e nel tratteggiare la storia di una famiglia ne rivela anche le crepe, le zone più buie, i conflitti. Attimi di violenza e brutalità su cui lo sguardo corre veloce, forse, ma che nella loro improvvisa comparsa lasciano comunque un segno.
Un mondo e un’ambientazione riconoscibili, che Welty coglie in quel momento di sospensione tra immutabilità e cambiamento, restituendo la sensazione di qualcosa di antico che va inesorabilmente trasformandosi.
Eppure, come accennato, ne scalfiamo appena la superficie, come solo in superficie cogliamo il mistero della scrittura di Welty. E di questo mistero, lettori ci nutriamo, una storia dopo l’altra, un romanzo dopo l’altro.
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