di Valentina Notarberardino
pp. 336
€ 9,99 (ebook)
Secondo la definizione di Gérard Genette, ispirazione e nume tutelare dell’autrice, l’articolo che voi state leggendo in questo momento fa parte del paratesto del libro Fuori di testo di Valentina Notarberardino. Fa parte cioè di quell’immensa categoria di testi… sui testi: parole spese sui libri, che li circondano e li complementano. Perché un libro non è solo la narrazione che inizia a pagina uno e si conclude con la parola fine: se l’articolo che state leggendo, infatti, rientra in quella categoria di testi che esistono grazie ai libri, la Notarberardino vuole invece attirare la nostra attenzione su quei piccoli e spesso bistrattati testi che consentono l’esistenza dei libri. Il titolo, la copertina, l’indice, la quarta di copertina: tutto ciò che circonda, avvolge, abbraccia il testo, senza cui i vostri romanzi preferiti non arriverebbero nelle vostre mani. Ponendo l’accento su questi elementi, la Notarberardino ci fa distogliere lo sguardo dalle pagine della narrazione che tendiamo a considerare di solo appannaggio dell’autore (e forse di qualche editor), svelandoci che in realtà i libri sulle nostre mensole e sui nostri comodini sono il frutto di un enorme lavoro di gruppo: moltissime figure professionali diverse, gli ingranaggi che compongono i meccanismi dell’editoria. Tramite un gran numero di interviste a grafici, editor, ma soprattutto a scrittori del calibro di Roberto Saviano, Nicola Lagioia e Melania G. Mazzucco, i libri italiani più amati dai lettori degli ultimi decenni prendono vita e originano un’implacabile rassegna di aneddoti gustosi e inaspettati. Il tutto condito dall’ironia nonché dalla grande professionalità dell’autrice. Mettetevi comodi, e fate il vostro ingresso - o la vostra uscita - in tutto ciò che è «fuori di testo»:
L’abito che fa il monaco – la copertina:
Jhumpa Lahiri ha avuto modo di riflettere e far luce su una pratica sicuramente ignota ai più, e cioè sul fatto che gli scrittori non entrano quasi mai nel processo creativo della copertina: piuttosto, lo subiscono. L’autrice sostiene che solo in rari casi gli autori vengono chiamati direttamente a dialogare con gli art director e a suggerire idee, immagini e suggestioni per le copertine delle proprie opere. Lahiri ne parla come di un limite frustrante, ragionando al contempo sul significato emotivo che una copertina definitiva provoca nell’autore: la fine del sogno della scrittura, l’inizio del processo commerciale. (pp. 60-61)
Il nome dei libri – il titolo:
Per Melania G. Mazzucco il momento in cui il titolo ‘si rivela’ è quello in cui si raggiunge la vetta creativa, e da lì in poi la scrittura è in discesa assoluta. Assicura di essere stata molto fortunata perché ha sempre avuto facoltà di scelta. Definisce l’attimo in cui ha l’intuizione del titolo come «il momento epifanico in cui capisco esattamente come sarà il libro, ma non succede mai all’inizio» (pp. 79-80)
Fascette per le allodole – la fascetta promozionale:
«Dal più premiato degli autori italiani, che ha conquistato oltre un milione di lettori in vent’anni»: così la fascetta de Il romanzo della nazione (Feltrinelli, 2015) di Maurizio Maggiani, di cui un po’ lo scrittore parrebbe vergognarsi. Lo racconta in un’intervista con Vittorio Zincone pubblicata su Sette del Corriere della Sera. Stuzzicato dall’intervistatore, si schermisce: «Il più premiato… Ma come gli è saltato in mente di scrivere quella roba? È un po’ come se fossi la Scavolini della letteratura» (pp. 109-110)
Parole in prestito – l’epigrafe:
Edoardo Albinati racconta che agli esordi della sua carriera di scrittore amava molto inserire e pensare le citazioni. Quella del suo primo libro Arabeschi della vita morale (Longanesi, 1988) è stata un gioco che contiene un deliberato depistaggio sull’identità del suo autore. Una citazione usata per creare un equivoco. La frase «Corri a casa, i tuoi pappagalli stanno preparando la cena, i gatti stanno apparecchiando la tavola» era firmata E. A. La scelta di indicare solo le iniziali, identiche a quelle dell’autore, è stata fatta volutamente perché i lettori potessero pensare che è fosse un megalomane che si autocita, e invece sta per Edward Albee, scrittore e drammaturgo statunitense, autore della celebre pièce teatrale Chi ha paura di Virginia Woolf?. Un vero e proprio gioco, quello di Albinati, un inganno celato. Non male per un autore al suo libro d’esordio. (p. 218)
Gratitudine d’autore – i ringraziamenti:
Quella di ringraziare gli editori è un’abitudine che non piace a tutti. «Non ho mai capito gli scrittori che ringraziano l’editore, o l’editor, o l’agente, o l’ufficio stampa, quasi che si vivesse in una industria di mutuo soccorso». Luca Ricci è molto definitivo su questo punto: «Non amo i ringraziamenti finali. Mi paiono sempre un’ostentazione fuori luogo, volgare».Di sicuro non piacciono neanche a Nicola Lagioia che ci ha confidato che quando lavorava come editor in minimum fax era una pratica che a volte lo ha fatto molto arrabbiare. «Se c’era un autore che mi voleva ringraziare io mi opponevo, mi irritavo: avevo semplicemente fatto il mio lavoro. Per me non era un hobby, ma il mio dovere». (p. 268)
Cappello introduttivo e selezione dei passi a cura di Marta Olivi
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