L'ultimo lenzuolo bianco
di Farhad Bitani
Neri Pozza, 2020
Prefazione di Domenico Quirico
pp. 208
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
«Chi è buono, e chi è cattivo?»Mia madre si avvicinò, scostandomi i capelli dalla fronte.«Non esiste il buono e il cattivo, Farhad. Esiste il cuore dell'uomo. Se hai il cuore buono, non diventerai mai del tutto cattivo. E se anche il cuore più buono dovesse diventare nero a causa della violenza in cui ha vissuto, ricorda, c'è sempre un punto bianco in esso. Quel punto bianco che permette all'uomo di recuperare la sua bontà.» La mano di mia madre scese sino a posarsi sul mio petto, là dove batteva il mio cuore.
«È a questo che devi pensare, quando sei in dubbio. Al punto bianco nel tuo cuore». (pp. 67-68)
Quando Farhad Bitani parla degli afghani, la sua gente, dice che nel loro cuore c'è un grumo nero di dolore. Lo si percepisce quando li si guarda negli occhi e si avverte una tensione costante che non è aggressività, come può sembrare, ma paura. È il frutto di un veleno che hanno inghiottito per troppo tempo e che ha un gusto talmente familiare che ormai pare acqua corrente.
Lui lo conosce questo sapore perché l'empietà a cui ha assistito da bambino l'ha avvelenato per anni, fino a quando non ha trovato il coraggio di liberarsene. Ora racconta tutto questo in un libro: L'ultimo lenzuolo bianco.
Ex-capitano dell’esercito afghano e figlio di un generale dell’esercito, Bitani ha vissuto la guerra prima sotto il regime dei mujaheddin e poi dei talebani. È il fondatore del GAF (Global Afghan Forum) e Vicepresidente di Hands for Adoptions.
Non è uno scrittore - ci tiene a ribadirlo più volte - ma ha scritto un libro pieno di memoria e di anima.
L'ultimo lenzuolo bianco non è un romanzo, non cede a facili sentimentalismi e soprattutto non racconta nulla che non sia realmente successo. È il memoir di una vita vera sopravvissuta alla devastazione morale del fondamentalismo, alla guerra - che anche lui, come tutti nel suo paese, ha combattuto - e alla visione dei suoi resti.
Lui lo conosce questo sapore perché l'empietà a cui ha assistito da bambino l'ha avvelenato per anni, fino a quando non ha trovato il coraggio di liberarsene. Ora racconta tutto questo in un libro: L'ultimo lenzuolo bianco.
Ex-capitano dell’esercito afghano e figlio di un generale dell’esercito, Bitani ha vissuto la guerra prima sotto il regime dei mujaheddin e poi dei talebani. È il fondatore del GAF (Global Afghan Forum) e Vicepresidente di Hands for Adoptions.
Non è uno scrittore - ci tiene a ribadirlo più volte - ma ha scritto un libro pieno di memoria e di anima.
L'ultimo lenzuolo bianco non è un romanzo, non cede a facili sentimentalismi e soprattutto non racconta nulla che non sia realmente successo. È il memoir di una vita vera sopravvissuta alla devastazione morale del fondamentalismo, alla guerra - che anche lui, come tutti nel suo paese, ha combattuto - e alla visione dei suoi resti.
Nel libro il lettore che non ha ancora un'idea precisa di quali siano stati e siano i problemi della storia afghana potrà trovare delle risposte: sono problemi legati a fattori culturali, politici, militari, religiosi. E sono endemici, completamente radicati.
Come scrive Domenico Quirico nell'introduzione al volume, è in atto una guerra che dura da più di un secolo e che ha conosciuto delle pause brevissime; uno scenario che sembra non cambiare mai.
L'Afghanistan è sempre sfuggito alla presa dell'Occidente che l'ha illuso di nuovi venti di democrazia ed è sempre stato stretto in una morsa asfissiante, quella dei mujaeheddin, poi dei talebani, poi della nuova al Qaida. Cambiano i nomi, non la sostanza.
Tutte le volte che in ogni parte del mondo si è investito economicamente sull'Afghanistan, il paese non ha fatto altro che affondare. I milioni sono stati intascati dai gruppi fondamentalisti al potere, mentre la gente comune non li ha mai visti rimanendo subordinata e impaurita perché del tutto priva di mezzi.
La ripetizione ossessiva e strumentale del Corano, la spettacolarizzazione delle esecuzioni pubbliche, l'accesso negato a fonti di informazione e di divertimento hanno privato del tutto un popolo di capacità e libertà di giudizio fino a farne un'ombra di se stesso.
Questo è quello che Farhad Bitani racconta, ma non lo fa come in un trattato sociologico e politico, bensì portando sulla pagina la sua storia e quella della sua famiglia.
L'ultimo lenzuolo bianco è in sostanza la vicenda dell'educazione di un bambino che diventa ragazzo e poi uomo in una terra dove la democrazia è solo una facciata e dopo le sei del pomeriggio non si può uscire da Kabul. A venti chilometri dalla città comandano i talebani con la loro bandiera bianca che non vuol dire pace, ma distruzione.
Scritto con la potenza drammatica del dolore, e in molti punti anche del rimorso, il libro di Bitani racconta il cammino di una persona che si è nutrita del male che ha respirato e che per non essere emarginato ha finto da ragazzo di appassionarsi alle pubbliche lapidazioni o ha accettato, impassibile, di passare davanti a una bambina che viene stuprata in pieno giorno per la strada dai talebani.
Mentre la sua anima incamerava tutto questo, annerendosi sempre di più, c'era comunque quel piccolo puntino bianco dentro il cuore che restava lì a ricordargli che, anche di fronte al male più assoluto, può esserci sempre possibilità di bene e che al buio si può sopravvivere.
Solo allora è cominciata la sua seconda vita, quella di un uomo che oggi non si è certamente liberato dei ricordi, ma della paura sì. E questa liberazione è passata attraverso la scrittura dolente, faticosa e dal tratto rapido di questo libro.
Mentre la sua anima incamerava tutto questo, annerendosi sempre di più, c'era comunque quel piccolo puntino bianco dentro il cuore che restava lì a ricordargli che, anche di fronte al male più assoluto, può esserci sempre possibilità di bene e che al buio si può sopravvivere.
Solo allora è cominciata la sua seconda vita, quella di un uomo che oggi non si è certamente liberato dei ricordi, ma della paura sì. E questa liberazione è passata attraverso la scrittura dolente, faticosa e dal tratto rapido di questo libro.
Claudia Consoli