di Franz Kafka
Newton Compton Editori, 2019
Traduzioni di Luigi Coppé e Giulio Raio
pp. 448
€ 9,90
Franz Kafka scrive La metamorfosi, il suo più celebre
racconto, presente in tutte le antologie di Letteratura del ventesimo secolo, nel 1915 a trentadue
anni. Si tratta dunque di un prodotto dell’età adulta che solleva ed
espone agli occhi del lettore una molteplicità di temi caldi e questioni
irrisolte su cui spesso i giovani adulti si interrogano una volta superata la
boa dei trenta. Per questa ragione, mentre lo leggevo mi sono spesso domandata
cosa può comprendere un adolescente, nella sua felice incompletezza, del dramma
di Gregor Samsa: umano, familiare, e in definitiva soprattutto sociale.
Ecco che appare lampante l’utilità di leggere, o meglio rileggere, i classici in età adulta: andare alla ricerca dei vari livelli di lettura, scoprire le interpretazioni possibili, permette quasi di mettere ordine – a posteriori – in quella felice incompletezza adolescente che rischia di trasformarsi, in età adulta, in annaspante baratro, incertezza dolorosa.
Un libro ti salva da qualsiasi cosa, diceva Pennac, persino da te stesso. È in quest’ottica che
va letto il dramma di Gregor: un giovane commesso viaggiatore, che fa un
lavoro che non ama solo per compiacere i genitori e saldare i debiti contratti
dal padre con l’azienda di famiglia, una mattina si sveglia e scopre di non
avere più sembianze umane.
Quando Gregor Samsa si risvegliò una mattina da sogni tormentosi si ritrovò nel suo letto trasformato in un insetto gigantesco.
Questo è l’incipit del racconto. Kafka ci presenta così la
metamorfosi di Gregor, senza prepararci all’evento: tutte le informazioni che
abbiamo sul protagonista sono successive alla trasformazione. Per noi lettori, Gregor
è di fatto un insetto, non un essere umano. Il suo passato da umano è ricostruito
attraverso i suoi pensieri e ricordi, ma appare fin da subito una realtà
lontana, nello spazio e nel tempo, a cui Kafka non ci permette di affezionarci.
Ed è qui il primo scollamento dalla realtà: fin da subito,
il lettore non trova incredibile la metamorfosi di Gregor, bensì la vive con
naturalezza, come un processo spontaneo e assolutamente realistico. Da ciò
deriva che le reazioni della famiglia e di chiunque incontri Gregor nelle nuove
sembianze (il suo capo, la cameriera, gli ospiti che circolano per casa) appaiono
immediatamente esagerate, terribili e ingiuste.
Trasformato in scarafaggio “immondo”, Gregor vive l’onta
della vergogna e il rifiuto da parte di chi gli vuole più bene: padre, madre e
sorella lo relegano nella sua stanzetta e lo costringono a vivere nella
sporcizia e nella trascuratezza perché la sua vista provoca in loro ribrezzo e paura.
Viene da chiedersi, quindi, quale sia la metamorfosi che dà
il titolo al racconto. I processi di metamorfosi presentati nella storia sono,
infatti, svariati. All’apparenza è Gregor a subirla, trasformandosi in un
insetto. Ma la famiglia segue la sua trasformazione, mutando a sua volta: se
prima Gregor rappresentava il figlio perfetto, devoto e ubbidiente, con la sua
mutazione diventa il reietto della casa: il padre tenta di ucciderlo, la madre
sviene ogni volta che lo vede, la sorella lo nutre con disgusto… la sua trasformazione
fisica porta la famiglia a cambiare non solo l’atteggiamento nei suoi
confronti, ma anche il modo di vivere: il padre, che prima appariva vecchio e malato,
ora torna in forze e trova un nuovo lavoro. La sorella, fragile e troppo
giovane per diventare autonoma, prende le redini della casa e gestisce i lavori
domestici e la cura del fratello… Nel proseguire la lettura, dunque, ci si
accorge che la metamorfosi da uomo a insetto è solo la più piccola e
trascurabile trasformazione descritta nel racconto. Ciò su cui va posta l’attenzione
è, invece, quanto le metamorfosi di Gregor si riflettano sul cambiamento
della sua famiglia.
Improvvisamente appare chiaro che la prima e più malsana
metamorfosi del protagonista è avvenuta quando, nel passato non narrato, egli
si è trasformato in ciò che la sua famiglia desiderava: un figlio ubbidiente, impegnato
in un lavoro monotono e faticoso, con l’unico obiettivo di portare il denaro a
casa e sostenere l’intera famiglia. Un uomo senza altri interessi se non il
benessere dei suoi, senza ambizioni, senza sogni per sé. La metamorfosi in
insetto è, quindi, per Gregor, un sollievo, un moto di fedeltà alla propria
anima e al suo sentire.
Ed è quando egli, con accettazione rassegnata e persino
curiosa, si presenta alla sua famiglia dicendo “sono questo, ma sono sempre io,
Gregor, vostro figlio e fratello”, che scoppiano i problemi: è evidente allora
che l’integrità famigliare è solo apparenza; l’affetto dei genitori non è
disinteressato, ma vincolato a rigidi canoni da rispettare.
I conflitti del ventesimo secolo e dell’uomo che lo abita
sono quindi tutti qui, persino molti decenni prima che altri ambiti di studio
li affrontino in maniera esplicita – la psicologia, la sociologia, la medicina:
la diversità come valore, come sfida da accettare e non criterio di rifiuto per
ogni novità che si incontra.
L’incomunicabilità familiare: dal momento della sua
trasformazione, Gregor comprende ciò che i suoi dicono, ma loro non comprendono
più lui: è come un filo spezzato, lui li capisce ma non può parlare; loro
parlano ma non possono comprendere lui. E dando per scontato che non comprendendolo,
nemmeno lui li capisca, le loro parole diventano crudeli e feriscono nel
profondo.
Il conflitto tra padri e figli (tanto caro all'autore, che ebbe sempre un rapporto difficile con il proprio padre): questo desiderio perpetuo di volere dei figli a propria immagine, l’incapacità di accettarli per quello che sono, di superare la vergogna sociale (il ribrezzo del superiore di Gregor, la curiosità perversa della cameriera, la vergogna negli occhi degli ospiti) in nome del bene e del rispetto che si deve ai figli, qualunque originalità e particolarità essi custodiscano.
Era appena entrato nella sua stanza, che la porta fu chiusa immediatamente con la chiave e il catenaccio. L’improvviso rumore spaventò talmente Gregor da fargli piegare le zampe. Era stata la sorella che aveva agito con tanta furia. (…) “Finalmente!” gridò verso i genitori mentre girava la chiave nella serratura. “E adesso?” si chiese Gregor scrutando il buio.
Il racconto, che non può avere finale diverso da quello che
Kafka sceglie, diventa quindi la denuncia più efficace dell’inestimabile danno
provocato dal valore sociale delle apparenze.
Barbara Merendoni
Dello stesso autore, leggi anche la recensione a Il Processo.
Sul tema dei conflitti famigliari, la recensione a "La figlia sbagliata" di Raffaella Romagnolo.
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