di Amélie Cordonnier
Gremese Editore, 2020
Traduzione di M.S. Tataranni
pp. 172
€ 16 (cartaceo)
Quando l'amore perde le connotazioni di "sentimento di viva affezione verso una persona che si manifesta come desiderio di procurare il suo bene e di ricercarne la compagnia" (definizione tratta dal Dizionario Treccani)? Se lo domanda l'autrice francese Amélie Cordonnier nel libro, che rappresenta il suo l'esordio letterario ed affronta il tema dell'amore malato. Un concetto di complessa natura, che sottende diversi interrogativi concatenati, tra cui la necessità di far chiarezza intorno al peso attribuito alle parole, che analogamente ai gesti possono ferire a morte l'animo umano. Non accade spesso di imbattersi in un libro in cui la protagonista non ha un nome, ma ruoli sociali di moglie, mamma, figlia, sorella ed infine amica. Amélie Cordonnier utilizza questo fine espediente per raccontare la violenza domestica: un delicato problema, che affligge milioni di persone nel mondo. L'amore malato è un lungo flusso di coscienza dal ritmo sincopato, ansiogeno, a tratti inquietante. Lo stile diretto e senza fronzoli della narratrice entra nel vivo della situazione fin dalle prime battute, risucchiando il lettore all'interno di una spirale di serpeggiante angoscia, mista a terrore.
La trama è semplice e, per certi aspetti, è il perno stabile intorno al quale ruota l’indecifrabile follia.
Una coppia sposata affronta momenti di crisi e per loro si tratta della seconda volta, dopo un periodo di qualche mese di rottura. I coniugi hanno due figli piccoli, che vanno a scuola e di cui si conosce poco, se non il grande attaccamento alla madre e una sana, lucida, capacità di osservare la situazione deteriorata tra i genitori, prendendo quel giusto distacco, che preserva la loro incolumità psichica, fino al momento in cui nemmeno loro sono più in grado di far fronte all’esondante violenza. Quest'ultima è la vera protagonista della vicenda: a tratti è espressa in modo fisico, ma più spesso viene sfogata verbalmente, senza preavviso, senza senso, come uno schiaffo in faccia, che lascia tramortiti al suolo.
Ed è proprio questa violenza ad azzerare i contatori di una vita intera, alienando la protagonista, trascinandola all’interno di un buco nero da cui non scorge più la luce. Perdendo il contatto con sé stessa, la donna si piega sempre di più alla situazione, che non comprende, ma che accetta per il bene dei figli.
Ma è veramente questa la motivazione? Diversi dettagli della vicenda, ad esempio la mania della protagonista di creare liste di parole, annotando aspetti delle situazioni più disparate, suggeriscono sottilmente un desiderio di controllo degli eventi, nello sforzo di incapsulare nella memoria dettagli e connotazioni. Dall’altro lato, questo gesto potrebbe rappresentare il disperato tentativo di creare una presenza all’interno di una vita che il dolore rende vuota, in cui le emozioni sono ormai distaccate, perché l’anima è inquieta e si nasconde in zone distanti dal presente vissuto. Amélie non si sobbarca dell’onere di stilare una descrizione precisa delle dinamiche che sottendono l’intricata vicenda, né spende parole per giudicare o etichettare i personaggi della vicenda. La scrittrice costruisce una tessitura lessicale convulsa, che si placa solo nei capitoli finali. La semantica dei vocali è spesso analizzata nei minimi dettagli, ricorrendo a pretesti aneddotici. È questo l’unico e vero istante in cui Cordonnier, giornalista e responsabile della sezione Cultura della rivista Femme Actuelle, spiega al lettore alcuni concetti-chiave dei disturbi di personalità descritti nella vicenda.
Aurélien, il marito, è in cura da uno psicologo, vomita frasi violente nei confronti della moglie, scene di collera che si materializzano apparentemente dal nulla, abbattendosi sulla sciagurata con la stessa forza di una tromba d’aria. Ma Aurélien, a tratti, sembra essere anche il più docile e affettuoso dei mariti. Quale sia il suo disturbo non ci è dato sapere, la moglie formula qualche ipotesi, ma tutto si spegne nell’agognato desiderio di poter entrare nella sua mente, per leggerne i pensieri, comprenderne i gesti. È questo fattore, ovviamente, a rappresentare la mela che invoglia la protagonista a cadere in tentazione, volta dopo volta, dopo volta… Il prezzo da pagare è altissimo. Il patrimonio di energie assorbite è infinito. La vita le viene succhiata letteralmente di dosso.
Questa lunga discesa verso gli inferi si colora dell’altalena emotiva di speranza e disperazione, croce e delizia di una dipendenza affettiva o forse della pura e semplice paura di restare sola. Aurélien è bello, assomiglia a un angelo e non è crudele, di sicuro non lo è tutti i giorni. Così la protagonista lo assolve nel suo cuore, confessando ai figli che Papà è meschino “suo malgrado”.
Tuttavia, se la sua vista è offuscata, se la sua mente vacilla, i bambini e la loro apparente ingenuità sono lo specchio in cui gli incantesimi si dissolvono. Lo sguardo sul reale si affianca ad un amore genuino e forte per la donna, quella mamma che i figli ricordano felice, forte, incrollabile. Tutt'altro che ingenui, i piccoli spettatori hanno osservato, filtrato, raccolto ed infine emulato la violenza messa in scena nella loro sconquassata famiglia. I campanelli d'allarme suonano nella mente della donna come sirene senza tregua.
Restare o andarsene? Questa è la domanda che pervade tutto il libro, mentre la scelta é la barra lungo la quale ruota la narrazione, nel tentativo di mantenere un asse di coerenza e sanità mentale...
La nostra protagonista inizia un conto alla rovescia, raccoglie le forze, parla ai figli, si prepara a risalire la lunga scala, che porta fuori dall'incubo. L'adrenalina si mischia alla rabbia e all'eccitazione, un flipper impazzito tra eros e thanatos, che cerca emozioni fisiche - dolore compreso -, pur di risalire in superficie, emergere dall’oblio e riconquistare quel barlume di coscienza necessaria ad agire.
L’epilogo è lo stesso di molte storie di questo tipo, vicende di attualità che coinvolgono un numero cospicuo di persone. La fine è il punto da cui partire per riflettere e per domandarsi in primis quale sia la nostra effettiva preparazione sulla materia, che, stando alle statistiche, affligge circa una persona su tre al mondo.
Elena Arzani
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