di Benito Pérez Galdós
Elliot, 2020
Traduzione di Carlo Alberto Montalto
pp. 64
€ 7,50 (cartaceo)
€ 4,99 (ebook)
Il pellegrino appassionato. È cosi che Carlo Alberto Montalto, traduttore e curatore di La casa di Shakespeare per Elliot edizioni, riassume la disposizione di uno dei maggiori scrittori spagnoli del Diciannovesimo e Ventesimo secolo: Benito Pérez Galdós. A ragione, direbbe il lettore, perché difatti si tratta di un vero e proprio pellegrinaggio verso quei luoghi sacri, un tempo vissuti e consumati dal grande drammaturgo inglese e universale, William Shakespeare.
Andare in giro in compagnia dello spiritoso e appassionato scrittore spagnolo sarebbe di certo un privilegio, poiché Galdós aveva la vocazione del viaggiatore: «La passione per i viaggi per lo scrittore canario aveva a che fare con una sorta di affanno dell’animo: era, per lui, il farmaco contro la fatica della mente e del cuore, l’elisir che scorre e salva le pagine della vita» (p. 13). Tuttavia, tra un affannoso viaggio e l’altro, l’autore stesso confessa di essere «stato tormentato dall’ansia di vedere l’illustre cittadina di Stratford-upon-Avon, patria di Shakespeare» (p. 25).
Le deliziose pagine di La casa di Shakespeare sono parte degli ego-documentos, cioè tutti quegli scritti, lettere private, racconti basati su ricordi e memorie che denudano la soggettività dell’autore, la sua personalità, i suoi progetti, persino le sue preoccupazioni, e «in cui lo scrittore spagnolo racconta senza alcuna rete di protezione le sue esperienze personali» (p. 7).
Per sempre grati alla penna privata di Galdós e alla sua “ninfa”, compagna e incarnazione letteraria della sua memoria, arriviamo a Londra, «malfatta, sproporzionata, smisurata nelle sue bellezze, così come nelle sue bruttezze; la compongono magnifici sobborghi, angoli deliziosi ed estensioni esasperanti, come fantasie da incubo» (p. 18).
Siamo nel 1889, in piena Rivoluzione industriale, dove i cieli opacizzati dai fumi delle fabbriche dominano una chiassosa e dinamica realtà e «dove gli stantuffi delle macchine a vapore s'alzavano e si abbassavano con monotonia come teste di malinconici elefanti», scrive Charles Dickens in Hard Times (Tempi difficili), scrittore tanto caro a Galdós. A questo punto, il lettore non può fare altro che godere dell’esilarante raccolta di emozioni dell’autore, che oltre a una dettagliata descrizione delle caotiche città fumose, ci racconta anche della sfibrante ricerca del booking office per acquistare un biglietto del treno da Birmingham a Stratford: «Dov’è possibile acquistare un biglietto per Stratford? È questa l’ansiosa domanda del pellegrino shakespeariano nell’immensa stazione di Birmingham. Non crediate però che a tale domanda corrisponda una risposta chiara. Molti impiegati ferroviari di solito rispondono con un certo laconismo: “Dall’altra parte”» (p. 29).
Finalmente Stratford, dove l’immensa merlatura di ciminiere fumanti è scomparsa.
L’appassionato e convinto pellegrino prende alloggio presso lo Shakespeare Hotel, oggi Mercure Stratford upon Avon Shakespeare Hotel, dove ogni stanza porta il nome di un’opera del «supremo fautore di vite umane sempiterne» (p. 22). «A me è toccata la Pene d’amor perdute» (p. 33), specifica lo scrittore, oltre a elencare l’ossessiva presenza «di stampe e incisioni poste in vistose cornici, tutte riferite ai celebri drammi» (p. 35). Nonostante una notte di riposo in compagnia delle tragiche immagini, a Galdós basta una passeggiata per le strade di Stratford per vivere la calma e la semplicità rurale, «simile al profumo dei panni stirati che fuoriesce dagli armadi patriarcali (p. 37)» delle case, quelle di campagna però.
L’incontro con il luogo che ha dato i natali a William Shakespeare è il culmine della devozione dello scrittore spagnolo, che loda con sincera passione, ma descrive con leale curiosità.
«L'entusiasmo letterario e la fervente ammirazione che le opere di un ingegno superiore suscitano in noi acquisiscono, in un posto simile e davanti a quella tomba, il carattere del fervore religioso che ravviva la nostra immaginazione, che assottiglia e sconvolge i nostri sensi, che ci porta ad entrare in empatia con lo spirito dell’essere umano lì rappresentato e a sentirlo dentro di noi, come se lo stessimo assimilando per mezzo di una misteriosa comunione» (pp. 49-50).
Dinanzi a tali parole, si può scegliere di scorrere gli occhi su quelle che arriveranno, o chiudere per un attimo il libro e riflettere sull'assimilazione dell'altro, colui (o colei) che è stato dato alla luce a propria immagine e somiglianza - verrebbe quasi da dire - dato il fervore religioso di poc'anzi.
Galdós si schiude come un fiore alimentato dalla luce che si irradia su di noi, illuminandoci di un sentimento di cui godiamo raramente.
«La visita si è conclusa, rimangono solo spazio e tempo per le riflessioni suggerite dalla contemplazione degli interessanti oggetti legati alla vita terrena del drammaturgo, che è stato e sarà sempre meraviglia dei secoli» (p. 52).
Olga Brandonisio
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