La donna degli alberi
di Lorenzo Marone
Feltrinelli Editore, novembre 2020
pp. 224
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Lascio dietro di me le cose che non comprendo, quelle che non posso cambiare, lo sguardo ostile di chi non ti conosce, le bottiglie di plastica, la città piena di assenza, i cellulari che rubano il tempo. Lascio il mondo dei vincenti, di quelli che si sentono tali, il frastuono dei loro bolidi, la televisione dell’apparire, le cartacce per terra, l’auto davanti alla discesa dei disabili, il menefreghismo diffuso. Lascio l’idea che non ci si debba annoiare, e chi non mostra dubbi, chi non ha tempo per salutare, i ripetitori della telefonia mobile sui tetti. Lascio le urla di prevaricazione, e quelle che fanno spettacolo, le ricorrenze che mi rendono più sola, e l’idea di profitto. Lascio il convincimento che la vita sia prendere sempre un pochino di più, l’indifferenza verso il mondo animale, la paura di ciò che non si conosce, lascio i muri che soffocano, chi salta la fila, le cicche per strada, la condivisione di ogni cosa, l’idea di fare prima degli altri, la ricerca dell’affare, che è approfittare, l’afa delle notti estive di cemento, il cielo senza stelle. (pp. 13-14)
L’incipit de La donna degli alberi di Lorenzo Marone ricorda quello di una fiaba o di un mito: la giovane eroina che abbandona tutto e tutti per cercare un posto migliore e più giusto, in cui possa ricominciare daccapo e possa sentirsi libera. Dalla selva cittadina, la protagonista senza nome, una donna inquieta, lacerata dal dolore, dalla solitudine e dalla colpa di un passato che non viene riesumato, si ritira nella vecchia baita dell’infanzia, sul Monte, per dimenticare sé stessa e per trasformarsi in qualcosa di nuovo. Il nuovo romanzo di Marone è allora degno di essere annoverato tra le varie metamorfosi ovidiane, in cui la protagonista si tramuterà da statua di asfalto incatenata al mondo urbano in un'altra entità.
Il ritiro sul Monte e la permanenza nella baita risvegliano antichi fantasmi. La casa le parla dei suoi genitori, della sua infanzia trascorsa tra quei boschi. Gli insegnamenti del padre e della madre riguardo i mestieri boschivi e i segreti della foresta riaffiorano come i ricordi che riemergono dopo una lunga amnesia. Lentamente, la donna entra a far parte della stagionalità e della ciclicità della vita vegetale, organica e animale dei pendii del Monte. Una Volpe le diventerà amica, visitandola costantemente. Un Gufo reale riposa sotto il suo tetto e bubola sul far della notte. Il Cane sarà il suo fedele compagno di vita. Le creature del bosco la osservano durante le sue faccende quotidiane. I rumori del sottobosco si trasformano in ninna nanna che la fa sentire protetta durante il sonno. Al regno vegetale e animale, si aggiunge quello dei pochi uomini e donne che popolano quella parte del monte. Gente diversa, che vive in simbiosi con il mondo della natura che, in cambio della loro gentilezza, ricambia con la fertilità del terreno e dei suoi prodotti. Dall’altra parte del pendio vive lo Straniero dal giaccone rosso, il cui sogno è quello di piantare abeti sul versante nord della montagna, per aiutarla a resistere e a tornare fertile; nel fitto del bosco c’è la casa della Guaritrice, muta dalla nascita ma che parla la lingua della foresta e conosce i misteri del ciclo della vita umana; nel piccolo paese, la Rossa gestisce la locanda in cui si prende cura delle persone di passaggio e delle loro sofferenze; nella fattoria, la Benefattrice insegna ad assaporare il gusto della terra fertile e dei suoi frutti, sfamando chi ne ha bisogno.
La donna impara con loro ad entrare in sincronia con la natura, a scorrere insieme al ruscello, a farsi leggera insieme al vento, a correre con gli stambecchi, a cacciare come i cinghiali e a essere paziente come l'abete. Comprende che la differenza tra uomo, animale e pianta non esiste, che tutti hanno lo stesso diritto alla vita e all’esistenza. Che una vita umana vale tanto quanto quella di tutti gli esseri che compongono il nostro macrosistema organico che avvolge la terra. In questo divenire vegetale e animale, la donna impara a dimenticare chi è stata per poter rinascere. Dimenticare, in questo caso, non significa sprofondare nell’oblio. Significa donarsi al mondo naturale per riscoprire sé stessi come un’altra potenzialità esistenziale, differente da quella che credevamo di essere. Il monte trasforma simbolicamente la donna in natura pura. Il sangue è linfa, il cuore è quello palpitante del cinghiale, gli occhi quelli notturni del gufo. I piedi si fanno radici.
Ma per poter rimanere a vivere tra i monti, per poter chiamare quel luogo “casa”, per riuscire a piantare finalmente le sue radici tra i fianchi del Monte e diventare tutt’uno con il mondo naturale che la circonda, la donna deve trovare una cosa importantissima, ovvero, un nuovo nome. Ed è in questo momento che la metamorfosi si compie: la statua di asfalto scappata dalla città si tramuta in quella stessa “Donna degli alberi” che, in tutto il tempo trascorso tra i monti, ha curato (e si è lasciata curare da) quel mondo vegetale che la circonda. La donna degli alberi, in questo senso, è un romanzo organico, un manifesto ecologico, una dimostrazione di empatia con il mondo animale, una poesia che ci insegna il rispetto, una preghiera laica al santuario che è il mondo vegetale, una decostruzione del concetto di identità e del senso di appartenenza, una dolce pillola contro le cattiverie del presente. È una pianta che cresce nel nostro cervello e che permette di far prendere aria alla nostra claustrofobica concezione di libertà.
Nicola Biasio