Giunti, 2020
pp. 320
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Ci vuole coraggio, e grande generosità, da parte di uno scrittore (in questo caso una scrittrice) per mettere da parte i propri racconti, la propria fantasia sfrenata, in un certo modo anche le proprie parole, per lasciar spazio a ciò che è stato inventato e tramandato da altri. Ad altri racconti, quindi, ad altre parole, a un’altra forma di creatività, spesso generata da epoche lontane, anche se continuamente rinnovata, eternamente viva. Dunque, dicevamo, coraggio, e generosità: Paola Zannoner ci ha già dimostrato a più riprese di non mancare né dell’uno, né dell’altra. Ed è anche grazie a questo che stavolta, dopo aver scritto romanzi per ragazzi in grado di percorrere vie ambiziose e assolutamente non scontate (come Rolling Star, in cui porta in scena il ‘68, o Il bardo e la regina, in cui affronta addirittura l’intoccabile mito shakespeariano), prende un’altra strada e si dedica alle fiabe, cioè a quelle forme narrative che sono per definizione antiche e sempre nuove. Lo fa perché la fiaba non smette di parlare all’uomo e dell’uomo, non smette di aiutarci a riflettere su ciò che è importante, forse vitale. “La fiaba ci guida in un inesorabile cammino umano”, ci spiega l’autrice, e poi aggiunge: “non in una incontrollabile corsa sfrenata”; lo fa per ricordarci che un racconto che ha attraversato tanto tempo adesso il tempo lo reclama. Ecco perché è fondamentale mettersi nelle giuste condizioni per leggere, o narrare, o semplicemente ascoltare. Ecco perché serve un ambiente protetto, una penombra che svuoti l’anima dai tormenti della giornata o dalle preoccupazioni che ci affliggono, una pausa dalla frenesia del quotidiano. Mentre dà ospitalità tra le sue pagine a storie più o meno celebri (da “Cappuccetto Rosso” o “Cenerentola” fino ad arrivare a testi poco conosciuti ma non meno suggestivi, come “Prezzemolina” o “La sposa che viveva di vento”) Paola Zannoner non perde tuttavia la sua voce, che ritorna nel modo in cui le vicende vengono attualizzate, nel linguaggio che si fa più vivace e moderno, o negli intervalli in cui, confrontandosi con i nipotini, lei stessa riflette su quanto narrato, sondandone la ricezione, facendo ricadere le vicende sull’esperienza reale, riportando lo spazio condiviso del racconto a un momento di confronto attivo tra il novellante e il suo pubblico. Proprio nell’ottica di questo scambio, di cui la fiaba in qualche modo si alimenta, abbiamo voluto rivolgerci direttamente all’autrice, per farci – ancora una volta – raccontare qualcosa di più sul suo progetto.
In questo periodo, in cui la parola è sempre più indiretta, sempre più mediata dagli schermi, la fiaba ci riporta alla dimensione del contatto personale, della reciprocità... in questo senso trovo molto significativa l’idea di alternare alla narrazione episodi di vita “famigliare”, legati al momento del racconto, che consentono di rivelare come la storia della buonanotte sia anche il luogo di una relazione, nonché di una riflessione sulla quotidianità. Quali valori le fiabe portano con sé? In che modo possono contribuire alla formazione e alla crescita emotiva del bambino o del ragazzino?
Le fiabe sono racconti sedimentati nel tempo, appartengono al patrimonio umano e hanno una struttura simile in tutte le culture, sono perciò multiculturali e condivisibili da tutti. La fiaba contiene tracce dei miti, è una rielaborazione popolare che sa esorcizzare soprattutto le grandi paure degli umani: la fame e la morte, perciò i suoi personaggi partono sempre dalla miseria per accedere al soddisfacimento materiale. Ma proprio per la sedimentazione nei secoli, le fiabe sono divenute racconti senza tempo, astratti, dove i personaggi sono figure generiche, spesso senza nome, e gli scenari simbolici: palazzi e castelli indicano il potere, non ci sono città se non come punti di partenza, i boschi sono magici, abitati da creature fantastiche, luoghi di trasformazione. I personaggi delle fiabe sono di origine umile, se sono principesse seguono comunque un percorso di umiltà (Cenerentola, Pelle d’Asino, Biancaneve…) e se sono principi devono mettersi alla prova: perché la fiaba mette in scena qualità umane come la compassione, l’arguzia, l’umorismo, il coraggio, la gentilezza. Non ci sono battaglie né eroi, tantomeno supereroi, ma esseri umani che accettano sfide e superano prove grazie a intuizione, buon cuore, e astuzia. La fiaba, nella semplicità strutturale, nella linearità della narrazione, mette in scena sentimenti che ci trapassano ma che non riusciamo o non vogliamo riconoscere o ammettere: gelosia, invidia, rabbia, superbia, sono incarnate in doppi dei personaggi (le sorelle, i fratelli), che diventano riconoscibili, e dunque ammissibili, per i bambini che imparano a distinguerli, gestirli. La fiaba a volte è stata giudicata sorpassata perché riporta modelli superati o addirittura cliché, in realtà abbiamo a disposizione un mondo simbolico, che dialoga con il nostro paesaggio psichico. In questo senso la fiaba è formativa e possiede valori eterni.
Le fiabe sono racconti sedimentati nel tempo, appartengono al patrimonio umano e hanno una struttura simile in tutte le culture, sono perciò multiculturali e condivisibili da tutti. La fiaba contiene tracce dei miti, è una rielaborazione popolare che sa esorcizzare soprattutto le grandi paure degli umani: la fame e la morte, perciò i suoi personaggi partono sempre dalla miseria per accedere al soddisfacimento materiale. Ma proprio per la sedimentazione nei secoli, le fiabe sono divenute racconti senza tempo, astratti, dove i personaggi sono figure generiche, spesso senza nome, e gli scenari simbolici: palazzi e castelli indicano il potere, non ci sono città se non come punti di partenza, i boschi sono magici, abitati da creature fantastiche, luoghi di trasformazione. I personaggi delle fiabe sono di origine umile, se sono principesse seguono comunque un percorso di umiltà (Cenerentola, Pelle d’Asino, Biancaneve…) e se sono principi devono mettersi alla prova: perché la fiaba mette in scena qualità umane come la compassione, l’arguzia, l’umorismo, il coraggio, la gentilezza. Non ci sono battaglie né eroi, tantomeno supereroi, ma esseri umani che accettano sfide e superano prove grazie a intuizione, buon cuore, e astuzia. La fiaba, nella semplicità strutturale, nella linearità della narrazione, mette in scena sentimenti che ci trapassano ma che non riusciamo o non vogliamo riconoscere o ammettere: gelosia, invidia, rabbia, superbia, sono incarnate in doppi dei personaggi (le sorelle, i fratelli), che diventano riconoscibili, e dunque ammissibili, per i bambini che imparano a distinguerli, gestirli. La fiaba a volte è stata giudicata sorpassata perché riporta modelli superati o addirittura cliché, in realtà abbiamo a disposizione un mondo simbolico, che dialoga con il nostro paesaggio psichico. In questo senso la fiaba è formativa e possiede valori eterni.
Una delle cose belle che emergono dal tuo libro, mi pare, è che le fiabe non siano una “terapia” solo per chi le ascolta, ma anche per chi le racconta. Nel momento della narrazione ci si riprende il proprio tempo, si torna alla memoria di quando si era bambini e magari si sentivano le stesse storie, si rivive e si ricrea quel senso di serenità, o di protezione. Ci si concede di uscire dallo stress del quotidiano per tornare a quel “c’era una volta”. Quindi il tuo volume ha un doppio destinatario, e forse in questo tempo particolare il destinatario adulto non è meno importante del più giovane... è solo una mia impressione?
Chi legge o racconta la fiaba si trova a sperimentare un doppio percorso interiore: un ritorno all’incanto dell’infanzia, all’affidamento al mondo della fantasia, e l’assunzione del ruolo di narratore, che per meglio trasmettere una storia cerca di animare le fiabe, leggendole ad alta voce, e interpretando i personaggi. Il libro l’ho pensato come un progetto che coinvolgesse adulti e bambini, le famiglie e la scuola, per una “relazione del racconto” che passa attraverso la lettura ad alta voce, il dialogo e il commento delle storie di cui offro un esempio con l’introduzione e il commento finale a cornice di ogni fiaba. Nel dialogo i bambini e i grandi si commisurano, si ritrovano. In queste fiabe antiche ci siamo anche noi contemporanei che le riscopriamo, le rileggiamo, le carichiamo di maggiore ironia rispetto alla drammaticità in cui erano avvolte nel passato, offriamo un linguaggio più moderno rispetto a quello di un tempo. Questa operazione è una riscoperta che coinvolge adulti e ragazzi, che spesso conoscono le fiabe per le loro numerose traduzioni in cartoni animati o film, più raramente attraverso la narrazione verbale che spinge all’immaginazione e all’apprezzamento di un linguaggio dal sentore arcano.
Le fiabe sono sempre “vive” in virtù del loro valore universale, per questo continuiamo a raccontarle, quasi sempre con le stesse parole, e continuano a funzionare, a suggestionare. Qual è la tua preferita?
Le fiabe scelte le ho riscritte, non le ho riportate com’erano in forma originale nelle versioni dei Grimm, Calvino o Afanasjev. La trama, la struttura sono quelle, ma i dialoghi, gli atteggiamenti dei personaggi sono leggermente differenti: ho scelto un taglio più ironico, che porti i lettori a ridere di alcune situazioni paradossali. Ho selezionato storie dove non ci sono i celebri malvagi delle fiabe, l’orco e la strega divoratrice, ma quelle in cui i personaggi superano prove, affrontano situazioni insolite, persino spaventose, con un pizzico di scetticismo, e con empatia. Una delle mie preferite è “Tremotino”, in cui una ragazza viene imprigionata dal re perché fili l’oro dalla paglia. La poveretta non ha alcuna colpa: è stato suo padre a vantarsi che abbia questa dote straordinaria. Anzi, l’oro è filato da un ometto che compare nel nulla e si fa promettere di avere il primo bambino che nascerà una volta che la ragazza si sarà sposata. Come fa poi lei a cavarsela, quando l’ometto verrà a reclamare il bambino? La regina otterrà una proroga e cioè potrà tenersi il bambino se indovinerà il nome dell’ometto, che è Tremotino. Ora, credo che siano molti i significati, ma per me la faccenda divertente, quando racconto la storia alle mie nipoti, sta nel citare nomi assurdi, e vedere come le ragazze sono soddisfatte quando la regina indovina il nome e l’ometto sprofonda in un abisso di rabbia.
Un’ultima cosa. Molte delle tue fiabe rappresentano personaggi femminili forti, che vogliono creare un proprio percorso nel mondo, e non limitarsi ad attendere i capricci dei principi. Anche le tue giovani ascoltatrici sembrano percepire, e apprezzare, questo nuovo taglio. Come le fiabe riescono a rappresentare un cambiamento dell’immaginario che è tuttora in corso? Come possono diventare veicoli di un pensiero più consapevole anche sui rapporti sociali?
Nella selezione delle storie, ho scelto fiabe celebri ma le mie protagoniste sono senz’altro più attive, propositive, decise, non per una interpretazione al femminile, ma perché stavolta sono io a raccontarle e da scrittrice so cogliere e valorizzare aspetti censurati o messi in minore evidenza. Come abbiamo visto, in “Tremotino” una ragazza tiene testa a diversi uomini: il padre che se ne vanta, il re avido, un ometto che le vuol rapire il figlio, e lo fa senza per questo essere una guerriera! Ho cercato di evidenziare le doti femminili: nella fiaba “La sposa che viveva di vento”, l’idea di ingannare un avaro era affidata all’astuto cameriere, pur essendo una ragazza direttamente coinvolta, quella che lo sposa e lo inganna. Ho semplicemente restituito alla protagonista l’idea, il comportamento e la gestione della vicenda. Questa “operazione” è molto gradita alle mie nipoti e in generale alle lettrici di oggi che non possono identificarsi in ragazze senza iniziativa, relegate a ruoli di cameriere o manipolate da qualcuno, ma si immedesimano in eroine più intraprendenti, come sono oggi le protagoniste delle storie contemporanee. Ma anche nelle fiabe lo erano: Pelle D’Asino rinuncia a essere principessa e regina, lavora, si nasconde, e conquista un principe sotto mentite spoglie; la Fata Aquilina salva Liombruno; la Bella Addormentata deve vedersela con una suocera megera per salvare bambini nati da una convivenza segreta… Le fiabe con queste ragazze coraggiose, che affrontano situazioni “noir” sono le mie preferite. E come si vede, nel mondo meraviglioso della fiaba sono contemplati tantissimi aspetti umani. Sta a noi ritrovare connessioni sotterranee, legami con le nostre nonne e le nostre intelligentissime ave, per sapere che il nostro percorso ha una solidità, un sostegno che ci proiettano verso un futuro con più fiducia.
a cura di Carolina Pernigo
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