Il celebre frontespizio di Theodore von Holst del romanzo di Mary Shelley, nell'edizione del 1831. Holst rappresenta una delle scene più significative: il risveglio della creatura. |
Figura interessante quella di Jeanette Winterson. Nativa di Manchester e figlia adottiva di una coppia pentecostale che la cresce con il sogno di fare di lei una missionaria, Jeanette inizia a sedici anni una relazione con un’altra ragazza. Quando lo racconta alla madre, dice semplicemente che la fidanzata la rende felice. I “genitori” le indicano la porta. Prima di andarsene di casa, la madre adottiva le chiede: «perché essere felice quando puoi essere normale?» (frase che diventerà titolo dell’omonimo libro, edito in traduzione italiana da Mondadori nel 2014). Di questa normalità prescrittiva, Jeanette Winterson non sapeva che farsene, e la sua letteratura ce lo fa ben capire. Autrice di romanzi pluripremiati come Non ci sono solo le arance (Mondadori, 1999), Il sesso delle ciliegie (Mondadori, 1999) e Scritto sul corpo (Mondadori, 1992), la Winterson torna nel 2019 con il suo ultimo e accattivante libro Frankissstein. Una storia d’amore (Mondadori), opera che dialoga con l’eterno classico di Mary Shelley. Lontano dall’essere una rivisitazione o una riscrittura in chiave contemporanea della storia del mostro più famoso di tutti i tempi, il romanzo di Jeanette Winterson parte dalla grande opera di Shelley per riflettere sulle attuali questioni di genere, sull’egemonia culturale, sulla cultura di massa e sullo sviluppo tecnologico che stiamo affrontando nella nostra società. Ma soprattutto, è un romanzo che ha il coraggio di ascoltare la voce del grande classico per poter riflettere su quello che, oggi, la storia di Frankenstein ci può ancora insegnare.
Frankissstein. Una storia d’amore è un romanzo che si dilata temporalmente e spazialmente. Nel 1816, Mary Shelley trascorre un’estate sulle rive del lago di Ginevra, in compagnia di Percy Bysshe Shelley (suo marito), Lord Byron, John William Polidori e Claire Clairmont. Tra le notti passate a fare l’amore con Shelley mentre fuori infuria la tempesta e le giornate immerse nel tedio della pioggia che cade e che costringe la combriccola a discussioni inebrianti riguardanti il tema della “non-morte”, Mary Shelley viene fecondata da un’idea, o forse perseguitata dalla presenza di un’oscura creatura. In ogni caso, l’autrice inizia un lungo travaglio, che darà alla luce la sua creazione: un mostro orripilante che insegue il suo creatore, che lotta contro la solitudine e che cerca l’amore. Mentre la voce in prima persona di Mary Shelley ci racconta nella maniera più intima e sofferta della genesi del suo romanzo, la narrazione si apre ad un’altra storia che, da qui in avanti, scorrerà parallela alla prima.
Nella Gran Bretagna di oggi, alle prese con le difficoltà della Brexit, Ry Shelley è giovane medico transgender che in un viaggio di lavoro si innamora di Victor Stein, un eccentrico professore che di giorno dà conferenze in tutto il mondo sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale e che di notte, in un bunker sotterraneo, lavora ad una creazione che superi i limiti della fisicità e della mente umana. In un presente fantascientifico, alla storia d’amore tra Ry e Victor si alternano figure che fanno da contraltare contemporaneo ai poeti della storia parallela in ritiro a Ginevra: Ron Lord, impresario che vuole mettere in commercio le XX-Bot, bambole del sesso progettate per gli sfizi e le fantasie sessuali umane, per sostituire la donna in carne ed ossa e per alleviare la solitudine degli scapoli; Polly, giornalista che pedina ossessivamente Victor per conoscere i suoi esperimenti; Claire, devota che crede in un disegno divino più grande di noi.
Con una prosa vertiginosa che si spinge dalla comicità più pungente e alla profonda introspezione, Jeanette Winterson riprende la storia dietro alla storia del mostro più famoso del mondo per parlare del nostro presente e del prossimo futuro. Dalla carne putrida con cui il Dottor Frankenstein crea il corpo sessuato del suo mostro, si passa ad un presente in divenire in cui i corpi si trasformano (come quello ibrido che Ry si è volontariamente creato), si fanno macchine di piacere e, addirittura, intelligenze artificiali, sfidando il potenziale umano e mettendo in crisi le nostre certezze. Mary Shelley inverte il corso della vita umana. La bara diventa la culla, il soffio divino si tramuta in scintilla elettrica. Dalla morte nasce la vita. La provvidenza lascia spazio alla scienza e a tutte le sue potenzialità, ma anche ai suoi limiti e alle sue conseguenze più tragiche. Jeanette Winterson invece riflette sui poteri che la chirurgia, gli ormoni, la tecnologia e, in generale, le macchine hanno oggi nel definire, ricostituire e ricreare il corpo, il genere, la sessualità e l’identità personale. Come afferma Donna Haraway in Manifesto Cyborg (Feltrinelli, 2018), la nostra realtà post-moderna è caratterizzata dalla cibernetica unione tra carne e tecnologia, la quale arriva a strutturare un nuovo ordine ontologico per l’umanità. Come ci viene mostrato in un’ottima illustrazione di Paul Paetzel, Jeanette Winterson descrive in Frankissstein una prossima e possibile società ipertecnologica che permette ai suoi individui di scegliere, costruire, modificare e alterare il proprio corpo e la propria individualità attraverso la tecnologia. Il quesito che la Winterson ci pone è, dunque, il seguente: e se le macchine fossero il mezzo utile per liberarci dai nostri pregiudizi sul genere, sul corpo, sull’identità e sul sesso? Se attraverso il cyborg e l’intelligenza artificiale potessimo finalmente mettere fine alla solitudine e a quelle violenze che il nostro corpo e la nostra soggettività subiscono ogni giorno?
Il punto nevralgico del romanzo sta proprio qui: sia Mary Shelley che Jeanette Winterson usano le tecnologie del proprio presente (la rivoluzione industriale, da un lato, e la svolta delle biotecnologie e l’avvento dell’intelligenza artificiale, dall’altro) per immaginare, progettare e assemblare una nuova forma di vita che sia in grado di darci più risposte riguardo alla comune domanda: che cosa siamo noi? In una strabiliante unione tra passato remoto e futuro prossimo, Jeanette Winterson recupera l’eredità ideologica conservata e trasmessa dal classico intramontabile di Mary Shelley e indaga i labili confini tra l’umano e il non-umano, tra carne e macchina e tra vita e morte, lasciandoci uno spazio temporale di riflessione e di rielaborazione di ciò che già è stato e di ciò che sarà l’umanità. Questo spazio temporale è il presente.
Nicola Biasio
Social Network