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#CriticARTe - Prima, donna. La fotografia esemplare di Margaret Bourke-White in mostra a Milano

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Prima, donna
di Margaret Bourke-White (a cura di Alessandra Mauro)
Contrasto Books, settembre 2020

pp. 184
fotografie: 124


35,00 €



Per anni, la fotografia è stata erroneamente posizionata tra le arti meno complesse, sia per la tecnica che per quello che lo scatto in sé veicola quanto a significato e per i vari campi in cui viene utilizzato, che spaziano dal racconto di guerra alla pubblicità. Un senso di pregiudizio snob rifiutava di porre la fotografia sul podio dei vincitori tra le arti figurative. Sbagliando, è ovvio. Probabilmente non immaginandosi nemmeno il destino florido che essa avrebbe avuto in seguito. La storia moderna ci insegna quanto fondamentale sia diventata la fotografia per testimoniare fatti e rendere il ricordo di momenti del passato più fervidi e meno dimenticabili, ma anche per ritrarre le emozioni più nascoste, quelle fugaci, di un momento, e che solo la trasparenza intrinseca della lente e la casualità dello scatto riescono a riprodurre così fedelmente. Partendo da questi presupposti, vorrei ripercorrere con voi la mostra della fotografa statunitense Margaret Bourke-White (1904 – 1971) attraverso lo splendido catalogo di Contrasto Books, allestita al Palazzo Reale di Milano e che ho fatto in tempo a visitare poco prima delle recenti chiusure. Scrivo oggi, infatti, nella speranza che presto musei e gallerie possano riaccoglierci tutti, ritornando a nutrire le nostre anime, per ora avide e aride di bellezza. 

La prima sala della mostra.
Foto di Lucrezia Bivona
Già dal titolo, la mostra e il relativo catalogo mi hanno da subito incuriosita: Prima, donna. Quella virgola che separa attributo e sostantivo rivela un’incredibile forza di significato; mi fa riflettere sulla potenza della lingua, su quanto significato possa veicolare quando si padroneggia con destrezza. Non appena ci si addentra nel percorso della mostra, la vita di Margaret Bourke-White si dispiega davanti agli occhi dei visitatori sala dopo sala e tutto diventa più chiaro. Ricordo di aver pensato: “questa donna è una di quelle persone straordinarie che ha vissuto mille vite nell’unica concessale”. Come i più grandi esploratori di terre e di mari, ma anche della mente, del cuore e dell’anima, Bourke-White è un’avventuriera temeraria, che porta avanti una missione alta: conoscere il più possibile e condividerlo.

Nata a New York nel 19 e cresciuta in New Jersey, frequenta vari college ma senza mai davvero dedicarcisi diligentemente, ma piuttosto imbattendosi in potenziali interessi da coltivare, come accade appunto con la fotografia. Si sposa un paio di volte, ma nessun marito sembra resistere a lungo. Ciò che sembra resistere saldamente è invece la sua temerarietà e desiderio di scoperta, che vanno a braccetto con il ritmo galoppante della sua ambizione; quella sana e ammirevole, che hanno coloro che passano alla storia per i motivi più giusti. Alessandra Mauro, curatrice del catalogo, scrive, a ragione, che Margaret è stata “una donna di primati” (p. 10). È stata la prima, infatti, a intraprendere missioni rischiose e intrepide al fine di documentare con la sua macchina fotografica il mondo intorno a sé e filtrare la grandezza di esso attraverso il suo sguardo personale: l’America industriale e della Depressione e, in seguito, il profondo Sud segregazionista; la Russia di Stalin; l’inferno in Terra dei campi di concentramento tedeschi; l’India del Mahatma Gandhi; le miniere del Sudafrica. Oltre al reportage, si approccia anche alla fotografia corporate e pubblicitaria, in particolare a seguito del fortunato incontro con Henry Luce, editore di Time, che la coinvolge prima nel progetto del magazine Fortune e nel 1936 nell’inaugurazione della rivista americana che ha fatto la storia del fotografia: Life. La prima copertina è infatti proprio di Margaret Bourke-White, che in quel momento è un vulcano di idee e energie. Una donna unica che, attraverso la sua arte e il suo strumento, ha saputo dipingere la realtà moderna del secolo breve, lasciando un’impronta indelebile sul modo in cui i posteri avrebbero letto la sua epoca e le dinamiche storiche e sociali che la hanno accompagnata. 

L’indipendenza e forza interiore di Bourke-White si avvertono nell’osservare ogni suo scatto, così come dalle pagine da lei scritte e che formano il corpo centrale del catalogo di Contrasto e i pannelli esplicativi della mostra. I ritratti di persone e paesaggi sono nitidi, reali, talvolta un pugno nello stomaco di chi guarda per la brutalità umana che testimoniano, come gli scatti che ritraggono i superstiti del campo di concentramento di Buchenwald. Sono opere artistiche profondamente complesse. Esempio profondo di questa complessità è il servizio sul Sud segregazionista, pubblicato in un’inchiesta di Life del settembre 1965, l’unico realizzato a colori in tutta la mostra. Scelta curiosa, dal momento che Bourke-White ritrae un’America che puntava ad uniformare il colore, dividere il colore “giusto” da quello “sbagliato”, il che viene rappresentato in modo straordinariamente antitetico con l’abbandono del bianco e nero.

Dopo aver testimoniato a due guerre e innumerevoli situazioni di rischio, la vita di Margaret cambia totalmente quando le viene diagnosticato il morbo di Parkinson. La malattia della paralisi motoria ma non cerebrale; situazione del tutto contraddittoria per la vita che fino a quel momento la fotografa aveva condotto. Convive per anni con la malattia, anche mostrando la propria vulnerabilità senza paura di rimanere ferita nella propria dignità. Le ultime foto della mostra sono infatti una meravigliosa retrospettiva della condizione in cui la fotografa si è ritrovata nei suoi ultimi anni. Un corpo indebolito da una malattia che non perdona, ma che mai le ha rubato la scintilla che sempre ha contraddistinto il suo sguardo.

La sorpresa finale del catalogo è uno splendido monologo biografico, scritto da Concita De Gregorio, contemporaneo nella sua poeticità, che ritrae con intensità e umanità la donna meravigliosa che è stata Margaret Bourke-White, ponendo l’accento sulle convenzioni maschiliste che per prima ha sdoganato nel suo ambiente e sulla forza che ha tratto dal suo lato più fieramente femminile, che ha saputo sfruttare a beneficio di lei stessa in quanto donna e dell’arte stessa (che, faccio notare, in italiano è un sostantivo femminile).

L’errore inammissibile è andare leggermente fuori fuoco. 
Il fuoco è esatto, Maggie. L’unica cosa da fare è trovarlo. 
La misura del fuoco.
Se non viene da re, vai tu. Trovalo, inventalo.
Vai e trova il tuo fuoco.
(Concita De Gregorio, p. 181)

Lucrezia Bivona

La mostra è aperta fino al 14/02/2021. Rimando al sito ufficiale di Palazzo Reale per saperne di più ed avere aggiornamenti sulla riapertura.