Rispondere a questi interrogativi non è cosa semplice e, allo stesso tempo, questo spazio non sarebbe quello opportuno per farlo. Tuttavia, la riflessione del Papa mi ha spinto a ritornare sul titolo di un film uscito qualche anno fa: Dickens – L’uomo che inventò il Natale. La pellicola ricostruisce in maniera fantasiosa la genesi di uno dei racconti natalizi più noti in Occidente, Il canto di Natale di Charles Dickens, pubblicato nel 1843. Complice una fortunata versione Disney, la maggior parte di noi conosce la storia del vecchio avaro Ebenizer Scrooge e della sua redenzione, avvenuta grazie alla visita di tre spiritelli durante la notte del 24 dicembre.
Il cartone animato della Disney, molto più noto del racconto di Dickens, raccoglie in effetti alcuni archetipi del Natale. Il più evidente è quello che vuole questo periodo dell’anno come un momento di riflessione e ripensamento, nell’ottica di lasciar prevalere sentimenti positivi come la solidarietà, l’affetto e l’amore. Questi elementi sono ben presenti anche nella narrazione originale di Dickens, che sicuramente ebbe un impatto molto forte nella società inglese dell’epoca, vista anche l’enorme popolarità dello scrittore inglese.
Tuttavia, non è Il canto di Natale l’unica narrazione che Dickens dedicò alla festività più importante del mondo cristiano, né fu la prima. Già qualche anno prima, incluse ben due capitoli sul Natale ne Il circolo Pickwick, il suo primo romanzo [1]:
Vivaci come api, se non proprio agili come folletti, i nostri quattro pickwickiani si radunarono il mattino del ventidue dicembre dell’anno di grazia in cui si svolsero e si conclusero queste loro avventure qui da noi fedelmente trascritte. Si avvicinava il Natale con tutta la sua lieta e sentita cordialità, la stagione degli inviti, dell’allegria e dei rapporti generosi. (Il circolo Pickwick, cap. XXVIII)
Alla fine del capitolo, il narratore lascia spazio a un lungo racconto di uno degli ospiti della locanda e che occupa il capitolo XXIX. Qui si narra la storia di Gabriel Grub, uno scorbutico e avaro becchino comunale, portatore di tutti gli stereotipi che accompagnano la sua professione. Durante la notte di Natale, mentre finisce di scavare alcune fosse, Grub riceve la visita di una serie di spiritelli che gli fanno vedere alcune scene terribili. Il vecchio becchino si risveglia la mattina seguente nel cimitero, frastornato. Si guarda intorno alla ricerca di alcune tracce che provassero le avventure della notte appena trascorsa. Ma, al suo fianco, c’è solo una fiaschetta vuota e la vanga. La visita degli spiritelli riesce a convertire l’avaro becchino e a redimerlo. Ma è tale la vergogna che Grub provava nei confronti degli abitanti del paese che decide di andarsene e trovare un’occupazione in un altro luogo.
Il racconto contenuto ne Il circolo Pickwick è solo un bozzetto, più comico e ironico che istruttivo, ma costituisce il precedente sul quale Dickens costruì il famoso Canto di Natale. Anzi, potremmo affermare che buona parte della sua narrativa natalizia, che lo scrittore inglese lega con doppio nodo ai grandi temi sociali che attraversano la sua opera, discenda in una certa forma da questo breve racconto incluso nel suo primo romanzo.
Il secondo racconto che vorrei menzionare, «Fantasmi di Natale», ha un incipit che, credo, riassume ancora oggi quello che per noi tutti i significa il Natale, e ancora di più in questo balordo 2020:
Mi piace tornare a casa per Natale. A tutti succede o, almeno, così dovrebbe essere. [1]
Il racconto riunisce, in realtà, una serie di brevissime storie di fantasmi. Il narratore comincia descrivendo il ritorno a casa una notte del 24 dicembre e da qui inizia a incatenare una storia dietro l’altra. Il racconto, forse, può apparire incompleto, visto che il narratore non ritorna mai sul piano della storia principale, lasciando il dubbio che lui stesso sia un fantasma. Detto questo, le prime pagine nelle quali narra l’allegria e l’emozione del ritorno a casa per il Natale acquiscono un sapore agrodolce in questo 2020, almeno per tutti coloro che non hanno potuto fare le valigie e varcare il confine municipale delle città in cui vivono.
La narrativa dickensiana sul Natale ci offre un punto di vista diverso sul Natale che, forse, è anche più adatto delle esortazioni di Papa Francesco. Il vero spirito natalizio lo dobbiamo trovare in noi stessi e, poi, lasciare che invada l’ambiente in cui siamo. La scena contenuta ne Il circolo Pickwick e Il canto di Natale sono esempi di come la serenità familiare sia solo una delle tante componenti che caratterizzano quest’epoca dell’anno. Se manteniamo intatta la propensione ad appartare i conflitti e concentrarci su ciò che ci lega gli uni agli altri, ecco che anche un Natale come quello di questo 2020 può diventare a suo modo speciale. La tecnologia, poi, può aiutare ad accorciare le distanze fino a darci l’illusione di stare tutti insieme. E cos’è il Natale se non la temporanea illusione del fatto che il mondo possa essere un posto migliore?
Non ci sono dubbi sul fatto che Dickens non sia l’uomo che inventò il Natale. Ma sicuramente contribuì come pochi (senza volerlo) alla creazione di uno spirito e una disposizione d’animo che, durante qualche giorno, dovrebbero farci vedere quello che di buono c’è in questo mondo. Indipendentemente dalla nostra fede religiosa, dalla nostra classe sociale e dal nostro ambiente famigliare. E, in questo 2020, indipendentemente dal luogo in cui ci troviamo.
Alessio Piras
[1] Com’è noto Il circolo Pickwick venne pubblicato a puntate prima di uscire in volume nel 1837. I due capitoli qui menzionato sono gli episodi pubblicati in occasione del Natale 1836.
[2] Purtroppo non dispongo dell’edizione Einaudi di questi racconti. Traduco dalla versione spagnola, Para leer al anochecer (Impedimenta). Il corsivo è presente nell'originale.
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