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Privati del fiore della giovinezza con l'inganno: "Soldati di sventura" di Luca Fregona

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Soldati di sventura

di Luca Fregona
Athesia Tappeiner Verlag, dicembre 2020

pp. 272
€ 12,90 (cartaceo)

 
Beniamino Leoni, Emil Stocker, Rodolfo Altadonna. Questi sono i nomi dei protagonisti dell’ultimo libro di Luca Fregona, nomi che rappresentano un’intera generazione dimenticata, una guerra che in pochi conoscono. Soldati di sventura è diviso in tre capitoli, ognuno dedicato alla personale storia dei tre protagonisti. Si presenta al lettore come un diario di guerra, in cui i protagonisti raccontano la loro esperienza in prima persona di quell’inferno che era la guerra in Indocina, catapultati a 10.000 chilometri da casa e avvolti da quella giungla che non li ha mai lasciati veramente scappare, neanche a distanza di settant’anni. Una giungla che ha soffocato la loro giovinezza, costringendoli a combattere una guerra non loro, spinti dalla fame e dalla necessità di sopravvivere. Sì, perché Beniamino, Emil e Rodolfo scappavano dalla miseria, dalla povertà, e gli sciacalli francesi, approfittando della loro disperazione, riuscirono a convincerli a combattere per la Legion Étrangère in Indocina, contro l’avanzata del Viet Minh, l’esercito di liberazione nazionale vietnamita. In cambio, a questi giovani ragazzi senza speranza, promettevano viaggi esotici e soprattutto una buona paga, vitto e alloggio dignitosi compresi. La ferma era di cinque anni, al rientro avrebbero ottenuto la cittadinanza francese. Quello che i tre ragazzi non sapevano, però, era che non c’era nessuna speranza, venivano semplicemente mandati a morire per una causa che non sentivano neanche come propria, spediti come bestie al macello. La storia di questi ragazzi è praticamente la stessa, stessi anni, stessa guerra, stessa provenienza, stessi viaggi, eppure non si incontrarono mai. Una storia condivisa, di cui Beniamino, Emil e Rodolfo sono i testimoni di morti dimenticati, di una guerra dimenticata. Sentiamo sempre parlare della guerra americana in Vietnam, ma quasi nessuno sa che prima c’è stata una guerra francese, e moltissimi italiani sono finiti a combattere per la Legione straniera. È stata anche una guerra nostra, che si è lasciata dietro fiumi di sangue e figli strappati troppo giovani alla vita e all’affetto dei loro cari. La guerra ha lasciato segni indelebili nella vita dei protagonisti, come se non fossero mai riusciti a far pace con se stessi dopo gli orrori subiti e commessi in Vietnam. La letteratura però, insieme allo stordimento dovuto all’alcool, riuscivano a infondere coraggio e a far recuperare un’umanità che sembrava perdersi sempre di più, inghiottita da risaie e foreste impenetrabili. Beniamino Leoni ricorda infatti che 
La biblioteca di Kummin è la mia salvezza. Ho 31 anni. Sono cresciuto in un orfanotrofio perché i miei nonni non potevano starmi dietro, non ho finito le scuole, a 12 anni lavoravo, a 18 ero in un lager, a 20 a Buchenwald con le SS, a 21 a combattere i fascisti, a 22 in miniera, a 23 nella Legione, a 24 in Indocina, a 25 sono stato catturato… Questo tempo è per me. I libri mi fanno recuperare l’umanità che credevo perduta. Il male che ho dentro si affievolisce. (p. 90).
Quello di Luca Fregona è un libro necessario, scritto in maniera chiarissima, scorrevole e toccante, che usando le parole di Alberto Faustini nella prefazione, serve proprio a “Dare voce ai ricordi. Di più: dare gambe alla memoria. Per farla correre nel presente. E dare voce ai morti. Ai dimenticati. A chi è finito nel buco nero della storia”.

All’autore va il merito di aver scritto un libro su questa storia, ormai dimenticata o sconosciuta. Il merito di essersi dedicato per moltissimi anni al lavoro di ricerca, consultando archivi storici e documenti, intervistando Beniamino, Emil e Willy, che in “Soldati di sventura” presta la sua voce al fratello morto nel ’54 nella battaglia finale di Dien Bien Phu. Come afferma Fregona nella sua introduzione, “Ogni vita è importante, non merita di svanire come una nuvola di polvere al primo soffio di vento. L’inchiostro rende le persone – in qualche modo eterne”. (p. 11.) E la forza di questo libro sta proprio nel fissare nero su bianco le storie raccontate in prima persona all’autore, tra lacrime e rimorsi, affrontando finalmente il proprio passato, che è anche il loro presente: da quella guerra il tempo sembra essersi cristallizzato, e loro non sono mai riusciti a fuggire dalla morsa del ricordo e del dolore. Un “dopo” forse non c’è mai stato.

Sono stata al cimitero militare di San Giacomo (BZ), per ritrovare la croce nera che porta la foto di Rudolf Altadonna, paracadutista morto in Indocina il 21 aprile del 1954, e fratello di Willy. Ho sussurrato una preghiera, affinché la sua storia e quella di tanti altri giovani non venga dimenticata, affinché le loro morti siano solo apparentemente vane: una promessa che spero venga mantenuta dalle generazioni a venire.


Lidia Tecchiati