Neri Pozza, 2020
pp. 304
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Titolo originale: Fall Back Down When I Die
Traduzione di Norman Gobetti
Traduzione di Norman Gobetti
Wendell ha ventiquattro anni e conduce una vita dura, essenziale, come scabro del resto è l’ambiente in cui è inserito: gli ultimi beni di famiglia sono stati ipotecati dopo la morte della madre, ha un lavoro come bracciante e un trailer come sola abitazione. Il padre è scomparso anni prima, tra le montagne, in seguito a un terribile fatto di sangue a cui lui preferisce non pensare. Adesso, come se non bastasse, gli viene affidato un bambino di sette anni, il figlio di sua cugina, con seri problemi di sviluppo e un mutismo selettivo che lo mantiene isolato nel suo mondo. Con una dedizione impensabile, Wendell cerca di fare del suo meglio, senza essere certo che sia abbastanza. A sua volta ancora inesperto dell’esistenza, cresciuto senza un modello maschile, il giovane prova però per il piccolo Rowdy un sentimento imprevisto di affinità, e riesce in un modo goffo, improbabile, a instaurare con lui una relazione basata su un’istintiva e reciproca comprensione: “erano soli su quel vecchio camion mezzo scassato che viaggiava attraverso le tenebre, una cosa piccola, vera, assolutamente inosservata in quell’universo di cose piccole e vere” (p. 25).
Alla storia di Wendell e Rowdy si alterna, con un cambio di voce, stile e focalizzazione, quella di Verl, che inizia in prima persona e in forma diaristica dalla prima pagina, e da un “secondo giorno”, che porta subito il lettore a chiedersi cosa sia successo nel primo; Verl è il padre in fuga, il padre che, mentre i ranger lo cercano tra i pendii impervi delle Bull Mountains e i lupi ululano in lontananza, si rivolge al figlio per trasmettergli il proprio ultimo insegnamento, sperando che attraversi lo spazio e il tempo. E poi c’è Gillian, vicepreside di una piccola scuola di provincia, donna colta a cui va stretta l’ignoranza dilagante, la brutalità dei locali per colpa dei quali ha perso un marito amatissimo. Ci vuole un po’ a capire come le storie di questi personaggi si intreccino, per svelare la violenza che lega i loro tre destini. Quel che appare chiaro fin da principio è che Verl e Gillian si fanno portatori di due contrapposti modelli educativi:
Questo è per mio figlio. Per te ragazzo. Adesso parlo a te. Ascolta. Ci vuole un addestramento per essere un uomo libero. Il tuo televisore e i tuoi insegnanti ti riempiranno la testa di stronzate. Devi saperle riconoscere le stronzate. Anche fra anni e anni devi sapere che tipo di uomo era il tuo vecchio. Un uomo libero. Un uomo di mani e di progetti. Un uomo di montagne. (p. 52)
L’uomo “di montagne”, che trova dopo Verl una lunga discendenza tra i locali, è un uomo contro, contro lo Stato-ladro, contro le terre espropriate, contro le leggi che impongono sacrifici, contro le recinzioni che si possono tagliare, contro i divieti che si possono violare. Contro i lupi che devono essere uccisi per dimostrare chi comanda. Questo pare essere il modello di virilità dilagante, forse l’unico possibile, nella asfittica realtà di Delphia, Montana.
Eppure nel prendersi cura di Rowdy, che assorbe tutto quel che lo circonda come una spugna, Wendell stesso inizia a mettere in dubbio il proprio stesso agire, il proprio essere punto di riferimento.
A fungere da fondale all’azione, ma vero e proprio comprimario, è il paesaggio del Montana, aspro, selvaggio, spesso crudele nelle sue intemperanze climatiche, e al contempo deturpato dall’uomo, dallo sfruttamento, dalla caccia di frodo, dal disboscamento e delle discariche a cielo aperto in cui si trasforma ogni crepaccio. Un paesaggio che contribuisce in maniera determinante a esacerbare il malcontento di chi lo abita:
La terra dove i fallimenti della nazione, i fallimenti del mito, incontravano i fallimenti degli uomini. Dove la storia andava a morire. Dove fiumi spumeggianti in aprile diventavano in agosto letti di ghiaia. Dove prima dell’aratura l’erba era dura e coriacea, e dopo l’aratura la polvere si sollevava dal crostone acido, alcalino, denudato dei solchi. Una terra devastata dai curculioni dei pini, da estati sempre più lunghe e inverni sempre più brevi e più secchi. Era la terra stessa a creare sofferenza e rabbia, a generare e alimentare ed esasperare il senso di fallimento e la paura, una violenza cruda e giustificata. (p. 232)
A metà tra il western e l’opera di denuncia, il romanzo di Joe Wilkins non perdona, e descrive in termini precisi i problemi che affliggono il Montana (lo strapotere dei grandi proprietari terrieri, l’inefficacia e lo scarso prestigio di cui godono le autorità, la scarsa istruzione e la disinformazione dilaganti, le idee politiche reazionarie, il fondamentalismo religioso...). La figura di Wendell, in particolare, viene descritta come figura in bilico: giovane di buona indole, ma provato dalle vicissitudini della sua vita, deve decidere se diventare l’erede di suo padre o intraprendere una via nuova. Messo alle strette, deve trovare il coraggio di fare quel che non ha mai fatto: provare a conciliare le due immagini coesistenti di Verl, quella del papà affettuoso, sorridente, e quella dell’assassino, del fuggitivo, dell’uccisore di lupi. Deve confessare a se stesso la verità per poter essere un adulto migliore per quello che inizia sempre più a considerare il suo bambino.
In una narrazione che procede sempre più serrata, il lupo diventa simbolo di ciò che è irriducibile all’uomo, della capacità di adattamento alla natura ostile, di una sacralità che non deve essere infangata. Persino Verl, nelle pagine sempre più stanche del suo diario, pare avvicinarsi a questa consapevolezza, che rimane invece estranea a tutti coloro che vedono in lui, anche a distanza di anni, un martire della ribellione, e per i quali l’uccisione del lupo è solo il segno della rivolta contro le leggi dello Stato (“Il lupo non è solo un lupo. Quando si parla di lupo si parla di leggi. Quello che odio sono le leggi che rendono schiavo un uomo sulla sua terra. La legge dice che non posso scegliere. Mi considera ignorante. Mi rende vile. La legge è un dannato crimine”, p. 140).
Mentre a Delphia un gruppo di fanatici della Resistenza delle Bull Mountains imbraccia i fucili per tentare una folle azione politica, le sorti dei protagonisti finiscono per incrociarsi definitivamente e per ognuno di loro arriva il momento del confronto, prima di tutto con se stesso e con la forza delle proprie convinzioni, o delle proprie scelte. Nella terra dei lupi, che traduce un ben più eloquente Fall Back Down When I Die, si rivela un romanzo durissimo, che conduce una spietata riflessione sul fallimento educativo, sul determinismo ambientale, sul pericolo degli estremismi che scaturiscono dall’ignoranza e dalla paura. Al contempo, però, nelle figure di Gillian, di sua figlia Maddy, di Wendell e del piccolo Rowdy si nasconde una speranza in una vita diversa, che sorregge la narrazione fino all’ultima pagina.
Carolina Pernigo