La carne
di Cristò Chiapparino
Neo edizioni, 2020
pp. 163
€ 14,00 (cartaceo)
Mio padre oggi ha centoventisette anni ed è ancora lì a fare la fila per mangiare. Se fosse morto l’avrei saputo, sarebbe stato il primo di loro a stendere i piedi. Avrebbe avuto la prima pagina su tutti i giornali.
Nessuno sa spiegare come funziona.
Non interessa a nessuno. (p. 21)
Ci sono un paio di righe nella postfazione della Carne – in quel bellissimo endorsement di Paolo Zardi – che condivido appieno: «La carne, come spesso accade romanzi coraggiosi (o audaci, come è questo romanzo), potrebbe disturbare qualche lettore, perché non fornisce punti di riferimento noti, approdi sicuri» (p. 163). Condivido appieno queste righe, come ho detto, perché la verità che trasudano è lampante a chiunque abbia l’ardire di avvicinarsi a un romanzo come questo: è un testo audace, disturbante, che non solo non fornisce punti di riferimento noti o approdi sicuri, bensì spezza quei punti di riferimento noti e smantella ogni approdo sicuro.
Verrebbe da dire infatti che La carne sia un romanzo di genere, eppure non lo è. Gli zombie messi in scena da Cristò non sono quelli di The Walking Dead, né tantomeno quelli di Romero, o ancora – cambiando settore – quelli creati nei laboratori della Umbrella nella fortunatissima serie di videogiochi Resident Evil (sulla cui trasposizione cinematografica stendiamo un velo più che pietoso). I suoi zombie sono umani, fin troppo umani. Avendo perso quell’aggressività e quella ferocia tipica della tradizione, risulta tanto più difficile sbarazzarsene perché in loro i tratti mortali del fratello, del padre, dell’amico resistono ancora. Sono innocui eppure, vivendo accanto a noi, trasmettono un senso di perenne angoscia perché non sappiamo cosa farne. Sono estranei, stranianti, eppure fin troppo simili a noi. Il loro pensiero unico – «esiste solo la carne» – è il nostro pensiero unico, in qualsiasi forma lo vogliamo declinare. Esiste solo il denaro, esiste solo la merce, esiste solo il sesso. E poi? Cos'altro?
Molto ci sarebbe da dire sull’ambientazione creata da Cristò. Non facciamo fatica a ritrovare il nostro mondo per come lo conosciamo perché nessun’apocalisse zombie si è mai verificata: semplicemente, non ve n’è stato il motivo. Eppure, ancora una volta, tutto è al contempo diverso e uguale. Tutto è fermo a prima che la malattia – se di questo si tratta – apparisse. La tecnologia, gli spettacoli in tv, il modo di affrontare le giornate: tutto si ripete uguale da settant’anni a questa parte. Pochi ricordano il mondo com’era , e tanto più doloroso risulta per chi invece è vecchio abbastanza da riuscire a farlo.
Cristò, come detto, non offre chiavi di lettura. Il suo è un mondo senza coordinate, senza bussola morale, in cui bene e male hanno semplicemente cessato di esistere. Non c’è politica nel suo romanzo, nessuno Stato è presente e le poche cose che ancora funzionano sembrano andare avanti per inerzia e, soprattutto, ruotano intorno agli zombie e alla loro fame di carne. Esiste solo la fame, leggiamo in continuazione. Esiste solo la carne. L’uso di una punteggiatura e di dialoghi ridotti all’osso trasmettono in pieno questo senso di ineluttabilità, di sentenza che cala sull’umanità tutta come una fatale accettata. La storia è terminata, niente verrà dopo di questo punto. Nessuna prospettiva. Niente.
Altre poche righe della postfazione di Zardi voglio fare mie, le ultime quattro: «al di là di ogni considerazione, La carne ha emozionato, commosso e meravigliato, con la sua enorme bellezza, un essere umano; e questo è, in fondo, tutto quello che voglio dire» (p. 163). La carne è un capolavoro, un romanzo bellissimo, e questo è tutto ciò che c'è da dire.
David Valentini