di Guadalupe Nettel
La Nuova Frontiera, settembre 2020
Traduzione di Federica Niola
pp. 224
€ 16,90 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)
«Be', a me ha insegnato molte cose. Tra le altre che l'amore arriva nei modi più inattesi, e che tutto può cambiare da un momento all'altro. In bene e in male.» (pp. 204-205)
Luminosa voce della letteratura latinoamericana contemporanea che i lettori italiani hanno già potuto leggere nelle raccolte di racconti pubblicate da La Nuova Frontiera (Petali e altri racconti scomodi e Bestiario sentimentale) e in due dei suoi romanzi editi da Einaudi (Il corpo in cui sono nata e Quando finisce l'inverno), Nettel propone in questo libro un'indagine emotiva della maternità in tutte le sue sfaccettature. E con essa, come conseguenza, indaga anche le tante forme possibili di famiglia, le nuove frontiere della famiglia. La figlia unica racconta la storia di Laura e Alina, due amiche che si sono conosciute a Parigi quando avevano vent'anni. Anni dopo si ritrovano a Città del Messico dove entrambe sono tornate per portare avanti i propri progetti di studio e di famiglia. Laura lavora alla tesi di dottorato e un giorno si presenta nello studio del proprio ginecologo per chiedere di sottoporsi alla legatura delle tube. Non vuole avere figli, fermamente convinta del fatto che quando una donna diventa madre finisca per annullare se stessa e ogni possibilità di futura libertà.
Alina, invece, ha incontrato Aurelio e ha deciso di volere un figlio. Rimasta incinta, tutto sembra procedere per il meglio quando le comunicano che la figlia che aspetta soffre di una malformazione genetica che con ogni probabilità non la farà sopravvivere al parto. Cercando di prepararsi al lutto più atroce ancora prima di aver messo al mondo la sua bambina, Alina non sa cosa la aspetta: la piccola Inés riserverà loro delle sorprese e metterà tutti, non solo i genitori, di fronte a domande profonde a cui spesso non riusciamo a rispondere.
"Madre" non è solo chi mette al mondo un altro essere vivente, ma anche chi se ne prende cura, vi si dedica, lo accoglie, lo comprende. In nessuna delle femmine di questo libro c'è remissività e passività di ruolo, al contrario ognuna dà prova di un'incredibile forza trainante. La loro maternità sa di sangue e di denti stretti, anche quando è fragile. Muovendosi tra una vita e l'altra, il romanzo parla sia della maternità naturale che delle tante forme di ricerca di maternità acquisita. Non basta procreare: i nidi vanno sempre costruiti e protetti perché vi cresca l'amore.
La figlia unica è come un giro sulla giostra dell'esistenza femminile, tra corpi che cambiano, sorellanza, condivisione, lotta. È un romanzo che tutte le donne (e non solo) dovrebbero leggere perché vi ritroveranno i grandi temi con cui la vita ci pone a confronto, primo tra tutti il mistero dell'amore, così illogico, incomprensibile e rischioso eppure così vitale per andare avanti.
Nettel ci regala personaggi che si bruciano a contatto con l'amore ma che decidono di non fuggire perché "è vero che esiste il destino, ma c'è anche il libero arbitrio, e consiste nel modo in cui prendiamo le cose che ci tocca vivere." (p. 205).
La voce della scrittrice si nasconde mirabilmente in quella dell'io narrante Laura e suona apparentemente semplice, verticale, tagliente. In realtà la sua dote principale è la profondità, la capacità di raccontare il caos della vita dipingendo il reale eppure portandoci in mondi altri e bellissimi.
Anche la sua Città del Messico, così tentacolare e fatta di quartieri che a loro volta sembrano città, racchiude in sé le stesse contraddizioni: a volte è la metropoli infernale delle disuguaglianze e del dolore incomunicabile, altre ci appare sognante, con le vie coperte dalle jacarande dai fiori viola.
È la città del traffico e dei clacson ma è anche musicale e lieve, e sa lasciare lo spazio necessario al silenzio e alla contemplazione dell’esistere. Il suo cielo è mutevole come i destini dei personaggi.
Claudia Consoli