di Saro Trovato
Newton Compton Editori, 2020
pp. 288
€ 10,00 (cartaceo)
€ 4,99 (ebook)
Ci sono rimasta di sale. E allora le ho detto che aveva preso fischi per fiaschi e che poteva andare a ramengo. Non ero mica lì per farmi infinocchiare da lei.
Se rileggete le frasi qui sopra, vi accorgerete che sono composte da ben quattro modi di dire. Espressioni che abbiamo sempre sentito, magari alcune più vetuste e utilizzate dalle nonne, ma che fanno parte del nostro modo di parlare quotidiano. Le usiamo senza pensare a cosa vogliono effettivamente dire, da dove nascono e quali sono le loro radici storiche. Sappiamo che con la loro veracità e, talvolta, il loro regionalismo sono in grado di esprimere alla perfezione un concetto, un'emozione o una situazione. E proprio perché sono bagaglio comune, si prestano a comprensione trasversale anche tra interlocutori di diversa provenienza e registro linguistico.
Insomma, sono un significante fisso abbinato a un significato non composizionale, per dirla, in maniera più corretta, alla Treccani.
Perché diciamo così di Saro Trovato, che nasce da una rubrica del sito Libreriamo, si propone di fare le pulci alle origini dei nostri modi di dire, dai più comuni ai più misteriosi: cosa vorrà mai dire "essere come il latte di gallina"
Questo agile e divertente manuale si può leggere in più modi. Lo si può scorrere di capitolo in capitolo, orientandosi sui modi di dire in base alle divisioni dei capitoli: i modi di dire sono raggruppati in base alla loro origine, sia essa storica, legata al cibo, alla religione o alla vita quotidiana. Oppure lo si può prendere come un testo di consultazione, una piccola enciclopedia da utilizzare alla bisogna.
Perché ci può capitare di usare dei modi di dire che sembrano avere un'origina ovvia e deducibile, ma che invece nascondono radici inaspettate.
Per esempio, pare ovvio il perché si dica "c'è un sole che spacca le pietre".
Secondo alcuni studiosi, però, questa locuzione popolare potrebbe fare riferimento agli antichi metodi minerari che erano usati in passato per frantumare le pietre. Il sistema era semplice e si basava sostanzialmente sui bruschi cambi di temperatura. Le pietre venivano arroventate con grandi fuochi e subito dopo freddate con l’acqua gelata. Tale operazione veniva ripetuta più volte fino a quando le pietre non mostravano le prime crepe. (p.104)
L'espressione "farci una croce sopra", che sembra essere lampante, ha ben due possibili origini alle sue spalle.
La prima richiama il segno della croce che fanno i sacerdoti quando danno l’estremo saluto a un defunto; la seconda, la più accreditata, fa risalire questa espressione agli antichi registri contabili
in uso presso i Romani. Un tempo, infatti, sui registri, le partite e i crediti non esigibili venivano segnati proprio con una croce a margine. (p. 53)
Oppure può capitarci di sentire espressioni che, anche se non lo sappiamo, hanno origine dalla letteratura. Per esempio il "piove sul bagnato" ha niente meno che natali pascoliani.
«Piove sul bagnato: lagrime su sangue, sangue su lagrime» è quanto scriveva infatti Giovanni Pascoli nelle sue Prose. Nel linguaggio comune questo diffuso modo di dire sta a significare che gli eventi piacevoli capitano a chi è già baciato dalla buona sorte e, per converso, le avversità si abbattono contro
chi sta soffrendo ed è tormentato dalla sfortuna. (p. 48)
La spiacevole situazione di insonnia che ci costringe a passare "le notti in bianco" si ammanta di avventura alla corte di Re Artù.
L’origine deriva da un’usanza che riguardava nel Medioevo gli uomini che stavano per diventare cavalieri: la notte prima dell’investitura e della consegna delle armi essi venivano fatti vestire di bianco e costretti a passare la notte in una chiesa, in preghiera, a riflettere su come sarebbe cambiata la loro vita. Il vestito bianco e il fatto di non dormire hanno così dato origine alla celebre espressione. (p. 59)
Ma può anche succedere di incappare in modi di dire così antichi o più chiusi nei confini regionali da aver bisogno di una traduzione immediata. A quanti di voi è capitato di "perdere la sinderesi"?
Questa voce è un prestito del linguaggio filosofico e significa “capacità di connettere”. La sinderesi nella filosofia medievale indicava la capacità di saper distinguere il bene dal male. La parola deriva dal greco syntèresis (vigilanza), un derivato di synterèin [custodire (nel proprio “io”)], quindi “buonsenso”, “discernimento”. In senso figurato, pertanto, perdere la sindèresi significa perdere la bussola, il controllo dell’“io”, il senno. (p. 28)
Se dovessero invece appellarvi come "mangia noci", siete autorizzati a offendervi.
Si dice di persone che sono sempre mal disposte e di animo cattivo nei confronti di tutti quelli che, al contrario, cercano di assecondarle in tutto e per tutto. Mangia noci, insomma,colui che parla sempre male di tutti. La locuzione è chiaramente una metafora, vale a dire un modo figurato: le noci, è noto a tutti, fanno l’alito cattivo e di conseguenza anche le parole che escono dalla bocca di coloro che le hanno mangiate. (p. 116)
Aldilà della curiosità e delle chicche informative che spaziano dalla società, alla storia, alla filosofia, questo volume ha il grosso pregio di volersi ergere a salvaguardia del nostro idioma. Non per partito preso o per bieco campanilismo: la lingua evolve con estrema rapidità ed è riflesso delle esigenze della società che la utilizza e, a tal proposito, la conclusione del volume analizza la questione in maniera accurata. Proprio per questa stretta interconnessione, i nostri modi di dire sono un accesso alla struttura, alle basi della nostra società e del nostro modo di vivere e ragionare. E sono un modo anche per combattere gli anglicismi che ormai si inseriscono nel nostro parlato a volte anche a sproposito.
Parlando di evoluzione del linguaggio, pensate che tra cinquant'anni, magari, si userà l'espressione "sei un 56k" per indicare qualcuno che non afferra al volo i concetti. Le nuove generazioni avranno bisogno di un volume così per andare alla ricerca del significato nascosto di questa criptica frase.
P.S. Cosa vuol dire "essere come il latte di gallina"?
In senso figurato, si definisce latte di gallina un cibo o una bevanda squisita e molto rara.
Il modo di dire era già in uso nel mondo classico; lo si trova, infatti, in Aristofane che definisce latte di gallina (c’era anche la variante latte di pavone) una cosa molto ambita, rara e preziosissima. (p. 170)
Giulia Pretta
Social Network