#Sciascia100 - Il maestro di scuola e la lezione che non finiamo mai d'imparare

Sciascia maestro di scuola Barbara Distefano

Sciascia maestro di scuola
di Barbara Distefano
Carocci Editore, 2020

pp. 170
€ 19 (cartaceo)



In questo saggio, scritto in maniera precisa e puntuale ma nello stesso tempo fruibile, per l’uso chiaro e mai banale del linguaggio, senza cadute in facili compiacimenti da ricerca, l’intento dell’autrice è quello di restituirci una nuova visione del rapporto tra lo scrittore  Leonardo Sciascia e la scuola. 

Leonardo Sciascia insegnò nella scuola elementare del suo paese dal 1949 al 1957. Per farlo, oltre ad interviste, testimonianze e materiale classico della ricerca, la studiosa ha voluto colmare alcune lacune metodologiche, che vorrebbero escludere i registri scolastici dal lavoro del critico, perché considerati mero strumento didattico, se non addirittura burocratico, ignorando, forse di proposito, che proprio dalla sua aula Sciascia inizia la sua carriera di scrittore. 

L’indagine prende le mosse da una certa diffusa opinione, alimentata dalla stampa dell’epoca, che annovererebbe Sciascia tra gli insegnanti “fannulloni”, un topos che certa stampa continua, ahimè, ad alimentare anche oggi, relegando il ruolo degli educatori tra quello delle categorie privilegiate e nel contempo poco motivate. Non voglio certo indagare le ragioni sociologiche e spesso politiche di queste convinzioni, ma mi limito ad osservare, seguendo la linea della studiosa, che poco o nulla si mette in evidenza del lavoro immenso che molti insegnanti fanno, e di quanto pregiudizio ci sia attorno a certe tematiche, da parte soprattutto di non addetti ai lavori, ma spesso anche da parte di un ordine di scuola verso l’altro. E a tal proposito mi sembra utile mettere in evidenza come lo stesso Sciascia non volle mai laurearsi, preferendo restare un maestro, abilitato all’insegnamento delle scuole elementari:

“Maestro con la emme maiuscola è l’unica etichetta che Leonardo Sciascia sembra disposto a indossare e accettare di buon grado ancora dieci o vent’anni dopo il suo ultimo ingresso in un’aula scolastica.” (p. 39)

Ciò nondimeno lo stesso Sciascia ha contribuito inizialmente al mito dello stipendio fisso nel posto statale a lui più vicino:

“Un curriculum sovraccarico di onestà intellettuale, quello consegnato dall’autore in La Sicilia come metafora”. Una ricostruzione di carriera che esibisce il ripiego come motivazione iniziale, sussurra l’adattamento come unica forma di entusiasmo e addita la prima scappatoia disponibile come esito finale.” (p. 37)

 


Non è allergico al lavoro coi ragazzi Sciascia, al contrario è totalmente afflitto dai problemi di ingiustizia sociale che si scontrano con teorie troppo lontane dall’applicazione, soprattutto in un contesto di povertà, e spesso ci ripropone un personaggio-insegnante, che non può prestarsi ad essere un rappresentante di uno Stato che non tiene in conto le differenze sociali, la povertà e le difficoltà di un mondo oppresso, perché non accetta di divenire egli stesso oppressore.


Il valore che la scuola ha per i ragazzi, il suo preparare alla vita è esplicito solo in scritti successivi alla sua breve esperienza dentro un istituto scolastico, in quanto alcuni paradigmi dell’attivismo pedagogico non lo convincono e soprattutto non crede che il modello di scuola possa funzionare per tutti, perché si rischia l’appiattimento del sapere, con scelte assurde come l’esclusione dei Promessi Sposi dai percorsi scolastici, o al contrario una diffusa ignoranza che non terrebbe in giusto conto un valore importante come la meritocrazia. Apprendere è fatica, perché conoscere il patrimonio condiviso crea fatica e per questa ragione bisogna cimentarsi in letture impegnative, e non si può prescindere da Manzoni.


Quali fossero queste letture lui stesso volle indicarle nell’Antologia per le scuole medie edita da Palumbo in tre volumi, tra il 1980 e l’81, e scritta insieme a Giuseppe Passarello ed Susi Siino, dal titolo “L’età e le età. Antologia italiana per la scuola media”, di cui proprio Passarello ricorda, in un’intervista del 2004 a “la Repubblica”:

Fra gli esclusi volle includere se stesso, ma ovviamente per motivi diversi: era convinto che la presenza di opere sue in quel testo si sarebbe configurata come «interesse privato in atti d' ufficio», come diceva scherzosamente ma fermamente: non riuscimmo a farlo recedere da quella decisione, e tra i circa 350 autori presenti ne L'età e le età manca proprio Leonardo Sciascia. (p. 93)

Amava i giovani e il loro essere fonte di ispirazione, e per questa ragione non disdegnava mai di partecipare agli incontri organizzati dalle scuole, ed è bello vedere come questa sua tradizione sia rispettata nell’incontro annuale con le scuole, in occasione della giornata dedicata a lui ogni anno dalla Fondazione Sciascia a Racalmuto, il 20 novembre, e come questo sia ancora uno dei momenti più prolifici e attesi delle varie attività di cui la stessa si fa carico. 


Il lavoro sui registri che fa l’autrice di questo saggio ci restituisce infine una pagina più intima che burocratica, uno spaccato sulle motivazioni che lo spingono a credere nel ruolo dell’educatore e sulla volontà di allontanarsi da quel mondo in cui invece che esaltare quel ruolo, sembrava si mortificasse in ogni modo, “in una società che, citando Fortini, assicura solo la costruzione dell’oblio” (p. 115). 


Sul metodo di insegnamento del maestro Sciascia e sul suo amore per la scuola, si imparerà davvero tanto scorrendo le pagine di questo prezioso saggio, si imparerà soprattutto che Sciascia perseguiva una scuola di gioia e di fantasia, e che l’impossibilità di perseguirlo, in un contesto così difficile come quello degli anni Cinquanta, portò alla scelta di allontanarsi.


Lasciò la scuola come luogo, per concepirne un concetto più ampio, che potesse includervi dei libri che valesse davvero la pena di scrivere e di leggere, che perseguisse la verità e non tralasciasse la Memoria, che avesse come aula il Mondo, anarchia di metodi e gioia d’operare, rivolta a tutti i fanciulli che non aveva potuto aiutare e destinata al maestro che avrebbe sempre voluto diventare; e che per tutti noi è, ancora, in questa lezione che non finiamo mai d'imparare, nei suoi scritti e nel suo esempio.



Samantha Viva