Due anni fa, era il 24 settembre 2018, mi arrivò un pacchetto con un libro. In prima pagina una frase, scritta a mano: "A Sabrina, con l'augurio che la magia di Filo e Rullo l'accompagnino non lasciandola sola. Buona lettura!". Firmato Gianluca Antoni.
Che un romanzo arrivi con la dedica dell'autore è già qualcosa che si fa apprezzare, rende il libro insostituibile e profondamente tuo. Denota un pensiero, un'attenzione. Ma volete crederci? La profezia dell'autore si è avverata. A distanza di due anni la magia di Filo e Rullo, i due ragazzini protagonisti del romanzo "Io non ti lascio solo", non mi ha più abbandonata. Sì, perché il romanzo di Antoni, una volta letto, non si dimentica, fa parte del tuo immaginario, del tuo bagaglio di lettore. Quante volte a distanza di qualche anno, o addirittura qualche mese, non riusciamo più a ricordare perfettamente come finisce un libro o come si svolge la trama. Ecco, con questo romanzo non può capitare. E tornando al momento della lettura, si rivive il brivido provato allorché.... e qui mi fermo perché il piacere della scoperta sarà tutto di chi sceglierà di lasciarsi ammaliare dalla storia. Dell'immaginario incredibile di questo libro, si sono resi conto anche i responsabili della casa editrice Salani, che hanno deciso di dare alle stampe una nuova edizione del romanzo, pubblicato due anni fa in occasione della vittoria al torneo letterario IoScrittore. E allora, proprio oggi, in occasione, della nuova uscita in libreria di "Io non ti lascio solo", abbiamo incontrato, virtualmente, l'autore, Gianluca Antoni per un'intervista. Se poi volete leggere la recensione di Critica Letteraria cliccate qui.
Gianluca, partiamo classicamente
dall’inizio: qual è la genesi del nucleo
narrativo di questo libro che racchiude un segreto e gioca tanto sul fattore sorpresa?
L’idea è nata dal desiderio di raccontare il
mondo attraverso gli occhi di due ragazzini mettendo in luce quali risorse interiori siano
in grado di tirar fuori per affrontare le grandi sfide della vita. Allo stesso
tempo, desideravo dar voce ad altri personaggi che condividono
il dolore di Filo e volevo narrare come ognuno di essi possa essere importante per l’elaborazione
di quel dolore. Mi riferisco ad Amèlie, la bambina, a Scacco, il matto del
paese, a Paride, il padre di Filo, e anche a Guelfo, il montanaro orco che i
ragazzini dovranno affrontare.
Filo e Rullo, amici inseparabili,
accomunati da un nome bizzarro e da un legame strettissimo. Come ti sei calato
negli occhi di questi due ragazzini? Dove hai trovato in te adulto quel modo immaginifico che i bambini usano così naturalmente per interpretare la realtà?
Filo e Rullo hanno risvegliato la mia parte
bambina e ho attinto molto da questa. Mi sono proiettato indietro nel tempo, a
quell’età, ricordandomi di come affrontavo ciò che mi succedeva, a come vedevo
le cose in due categorie ben distinte (bianco/nero, tutto/niente, sempre/mai),
di come non fossi in grado di leggere la complessità degli eventi. Ma anche di come, nella semplicità e nell’innocenza infantile, si manifesti tanta saggezza
che noi adulti purtroppo a volte scordiamo.
Il tuo è un romanzo a più voci, raccontato in prima persona, che a parlare siano Filo o Rullo, con i loro
diari, o il maresciallo De Benedettis che indaga sulla scomparsa, anni prima, di un altro bambino del paese, Tommaso. Una scelta
ardita, ma azzeccata, che scalza il ruolo del narratore onnisciente e permette
al lettore di vivere gli avvenimenti in diretta. Come sei giunto a questa tecnica di
scrittura?
In realtà, nella nuova edizione pubblicata da
Salani, le sezioni in cui l’io narrante era il maresciallo sono ora raccontate
in terza persona. Abbiamo fatto questa scelta editoriale per dare uno stacco
netto con i diari di Filo e Rullo scritti in prima persona. In ogni caso ho
mantenuto fedele il racconto del maresciallo, evitando il ruolo del narratore
onnisciente. Amo scrivere in prima persona e al presente perché ritengo sia lo
stile migliore per entrare in empatia con i protagonisti, per entrare nei loro
panni e vivere dall’interno le loro emozioni, il loro pensieri, i loro
tormenti, i loro punti di vista nell’interpretare ciò che accade.
“Io non ti lascio solo” è anche un romanzo di
formazione: Filo e Rullo si trovano ad affrontare avvenimenti che li
costringono a crescere. Che ruolo hanno fantasia e paura in questo
percorso?
Fondamentale. La paura è un’emozione naturale che ci segnala un pericolo: può essere
esterno o interno. A volte abbiamo la tendenza a evitare quel pericolo, ma se
così facciamo non ci diamo la possibilità di crescere e di imparare. Il
coraggio che dimostrano Filo e Rullo non è incoscienza, ma il sentire che
devono affrontare le loro paure per superarle. E qui viene in
aiuto la fantasia: questa è la grande risorsa che permette loro di avere quella
visione che va al di là della paura, al di là degli ostacoli per inseguire la
verità e raggiungere i loro obiettivi. Capita spesso che gli adulti
abbandonino la capacità di immaginare o fantasticare, senza rendersi conto che
senza immaginazione o fantasia è davvero difficile raggiungere i propri sogni.
Come definiresti questa tua opera? Nella mia recensione avevo parlato di “favola noir”. Sei d’accordo?
Sì, è una buona definizione anche se ancor di
più si tratta di un romanzo di formazione, dove i protagonisti, volenti o
nolenti, si trovano a dover affrontare sfide che li obbligano a crescere velocemente.
A che pubblico si rivolge in particolare il tuo libro?
Se io fossi libraia, non mi stancherei di consigliarlo. Secondo te, c’è una
fascia di lettori a cui parla più da vicino?
Posso rispondere per ciò che è capitato quando è
uscito nella prima edizione con IoScrittore. È un romanzo per tutti. La cosa
sorprendente è stato scoprire che "Io non ti lascio solo" ha appassionato
ragazzini dai dieci anni fino agli ultraottantenni. Una dinamica condivisa da
diversi lettori è che il romanzo magari è stato letto inizialmente da un
genitore che poi lo ha passato al figlio e che alla fine è arrivato al nonno.
Esattamente ciò che ho fatto io... dopo averlo letto l'ho passato a mio figlio diciottenne, a mia mamma, a mia sorella e pure a mio marito, che è psichiatra (gli è piaciuto molto, per la cronaca). Tu pure sei psicologo e psicoterapeuta. C’è molto del tuo lavoro in questo romanzo?
Penso di sì, anche se in un modo non del tutto
consapevole. Impegnandomi tutti i giorni ad aiutare le persone a superare i
propri problemi psicologici, ho sviluppato una forma mentis che poi si
ripercuote in quello che scrivo. Per me è importante non solo scrivere una
bella storia che emozioni e catturi il lettore, ma anche che possa avere un
valore “terapeutico”, che possa aiutarlo a sviluppare un po’ di consapevolezza
verso la propria dimensione emotiva e, perché no, anche a trovare qualche
soluzione.
Prima di “Io non ti lascio solo” hai scritto
altri due romanzi, “Cassonetti” e “Il peso specifico dell’amore”. C’è un
percorso? Ci sono dei legami che li accomunano?
In realtà no. Con "Io non ti lascio solo" ho
voluto cimentarmi in un terreno completamente nuovo. Nei primi due, il
protagonista è un mio alter ego e hanno elementi più autobiografici. Se c’è un
legame, forse, lo possiamo trovare nello stile di scrittura che ho cercato di
affinare.
Nell’edizione precedente, in copertina è riportata una domanda: “Ma che
prezzo ha la verità?”. Ti sei dato una risposta? E il lettore, al
termine del libro, è in grado di darsela?
La verità richiede impegno, sfida, coraggio. A
volte il prezzo da pagare in termini di sofferenza personale può essere alto,
ma una volta superato, i benefici sono di gran lunga superiori. Solo attraverso questo passaggio possiamo scoprire una migliore
versione di noi stessi.
La trama si presterebbe molto a una rielaborazione
cinematografica. Ci sono speranze in tal senso?
Speranze concrete. Sono già stati acquisiti i
diritti cinematografici e il regista è già al lavoro sulla sceneggiatura. Ma
non posso fare anticipazioni.
D'accordo, acqua in bocca. Nel frattempo Filo e Rullo tornano in libreria per emozionare nuovi lettori.
Sabrina Miglio
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