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"Invisibili" di Caroline Criado Perez: l'assenza delle donne nell'assenza dei dati di genere

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Invisibili

di Caroline Criado Perez
Einaudi, 2020

Traduzione di Carla Palmieri

pp. 460
19,50 € (cartaceo)
9,99 € (ebook)


I dati nell'universo contemporaneo sono praticamente ovunque: nei media e nella politica, nelle nuove tecnologie, nella comunicazione verbale e in quella non verbale, nelle dinamiche del mondo del lavoro, nel nostro stesso sguardo. 
Immersi nei dati, e da essi dominati, a nostra volta cerchiamo di controllarli per capire dove stiamo andando. 
Una grande assenza risuona, però, in questo panorama: l'assenza di dati di genere, o gender data gap.
Nella storia dell'umanità c'è un enorme vuoto che corrisponde al posto che avrebbero occupato le donne se il potere - qualsiasi forma di potere - avesse lasciato loro il diritto e la libertà di farlo.
Cominciando dalla teoria dell'uomo cacciatore e arrivando - per citare un solo aspetto tra i tanti - al divario salariale di oggi, si è stabilito che agli uomini spettasse occupare il centro della scena storica, mentre dell'altra metà del genere umano si potesse anche sapere poco, in certi casi niente. Così è avvenuto. 
Anche una volta preso atto di questa voragine non è facile colmarla: abbiamo alle spalle secoli di dimenticanze e di silenzi che si sono stratificati fino a modellare una concezione dei generi che sembra oggi scolpita nella pietra. È un costrutto culturale e sociale talmente radicato da essere ormai introiettato come inconscio: pensiamo al maschile, parliamo al maschile (e sì, spesso "maschile" significa "sessista"). 
Ma da qualche parte bisogna cominciare, ed è per questo che Caroline Criado Perez, scrittrice, giornalista e attivista brasiliana, ha scritto Invisibiliun saggio che parla attraverso i dati

Niente supposizioni, niente ipotesi o tesi astratte: numeri ed evidenze popolano queste pagine illuminando i tanti volti dell'invisibilità femminile, qui denunciati perché si possa finalmente riprogettare il mondo tenendo conto anche delle donne. Per il loro bene e per il bene di tutti. 
L'assenza di dati di genere, ignorati perché agli uomini non importa o non fa comodo collezionarli, ha prodotto società (innumerevoli, dal nord al sud del mondo) in cui il maschile resiste come genere predefinito, di base, il genere zero rispetto al quale le donne sono poste come l'eccezione e lo scarto.

IN CHE SENSO LE DONNE SONO INVISIBILI?

Lo sono nella vita quotidiana, se pensiamo in primis all'enorme mole di lavoro di cura non retribuito (il 75% a livello globale) che ricade sulle loro spalle e che viene considerato a più livelli una risorsa sfruttabile a costo zero. Non è un caso che non venga conteggiato a livello macroeconomico, pur corrispondendo (secondo alcune stime) al 50% del PIL dei Paesi ricchi e all'80% nei Paesi a basso reddito. Ma il mistero è presto svelato: il PIL, misura standard delle economie nazionali, è nato da un processo di costruzione soggettiva, frutto di un'economia fondata sull'immaginario maschile e non sui dati di realtà.

Le donne sono invisibili anche nelle nostre città: i piani urbanistici, i sistemi di trasporto pubblico, l'edilizia popolare non tengono conto delle loro esigenze e faticano a proporre soluzioni dedicate, come se le donne non fossero il genere che compie il maggior numero di spostamenti in una giornata (il cosiddetto trip-chaining tra lavoro, spesa, tutela dei figli e altre occupazioni) e come se non fossero loro le più vulnerabili dal punto di vista della sicurezza.
Il 62% delle cittadine inglesi ha paura di aggirarsi da sola nei parcheggi multipiano, il 49% di aspettare il bus, il 59% di tornare a casa da sola dalla fermata o dalla stazione. Ma finché non raccoglieremo dati strutturali su come le donne vivono in città progettate dai maschi, loro continueranno ad avere paura.

Sono invisibili sul lavoro: il lavoro di cura domestica pesa su quello che svolgono fuori di casa (nonché sulla loro salute), hanno minori possibilità di carriera (spesso si accontentano di mansioni al di sotto delle proprie capacità che garantiscono la flessibilità di gestione familiare di cui necessitano) e guadagnano meno (studi condotti in diversi Paesi europei evidenziano che nel corso della loro vita le donne guadagnano dal 31% al 75% in meno degli uomini). 

Viviamo nel mito della meritocrazia che, il più delle volte, è una mera illusione: a parità di prestazione i maschi bianchi sono premiati più spesso delle donne e dei lavoratori appartenenti a minoranze etniche, le élite accademiche, specie nelle discipline STEM, sono composte in larga parte da uomini e altre analisi dimostrano che anche nella ricerca vengono sistematicamente meno citate dei loro colleghi.
La colpa è anche del cosiddetto "pregiudizio di genialità" secondo il quale gli studiosi uomini sono sempre considerati più autorevoli e obiettivi delle donne, dotati di innato talento. Un pregiudizio che i bambini assorbono mediamente nei primi anni di vita a scuola e che poi portano con sé anche da adulti. 
E non stiamo menzionando, infine, i comportamenti sessisti e denigratori di cui le donne sono vittime sul luogo di lavoro, una cultura che le rende tendenzialmente meno inclini a proporsi, a chiedere promozioni e aumenti, a valorizzarsi, nonché a prendere parola di fronte ai colleghi. 




Anche le industrie dimenticano le donne.
Caroline Criado Perez illustra diversi esempi di oggetti che sono progettati per gli uomini in senso letterale: i pianoforti, gli smartphone, le automobili, le tecnologie indossabili. Persino le intelligenze artificiali e gli algoritmi ereditano i nostri pregiudizi: secondo Rachel Tatman, ricercatrice della Facoltà di Linguistica dell'Università di Washington, le probabilità che il software di Google decifri il parlato maschile sono 70% superiori rispetto a quello femminile. Stesso prodotto, due esperienze diverse. Facile, no?

Se pensavate che almeno nel campo medico regnasse la parità la risposta è no, neanche lì succede. 
Per migliaia di anni la medicina si è fondata sull'assunto che il corpo maschile fosse la regola e ciò ha causato una grave assenza di dati di genere che è ancora oggi fonte di errate valutazioni scientifiche e diagnostiche. Non è raro che i medici non rilevino fattori di rischio - ad esempio nei casi delle cardiopatie - perché la sintomatologia è diversa da quella maschile "da manuale".
Le donne sono ancora poco incluse nei test clinici per amor di semplificazione e contenimento dei costi con il risultato che alla fine sono più esposte ai rischi nocivi dei farmaci, anche dei più comuni. Si tratta di lacune imperdonabili perché nella medicina - più ancora che negli altri campi - le differenze di genere possono davvero risultare decisive. 

Con i dati potremmo andare avanti ancora oltre: il volume prosegue con un'analisi delle varie forme di violenza subite dalle donne e delle violazioni dei diritti civili nei Paesi fiaccati dai conflitti e dalla povertà e poi con quella della scarsa rappresentanza femminile nella politica (nei parlamenti a livello globale è solo al 23,5%), dove le donne non solo non vengono elette, ma faticano a inserirsi all'interno di sistemi basati in larga parte su reti clientelari dominate dai maschi.
Per non parlare poi dell'aggressività rivolta loro nei dibattiti pubblici o dell'odio generalizzato dal quale vengono investite in rete quando si espongono sugli stessi temi collettivi. 
È ormai risaputo che l'ambizione, dote elogiata in un uomo perché simbolo di forza, fa rima con "arroganza" quando a provarla è una donna. E il popolo alle donne questo non lo perdona. Il caso Hillary Clinton, tra gli altri, insegna.

Raccogliere dati disaggregati sulle donne è il primo passo, ma non è l'unico. 
Dopo il divario di conoscenza, dovremo colmare quello di rappresentanza. E una volta colmato quello dovremo riedificare le nostre società tenendo conto dei corpi femminili, debellando la violenza insita nell’attuale concezione dei generi e nel linguaggio, e poi ripagando e valorizzando le donne per il loro lavoro di cura non retribuito.
Se un limite c'è nell'accurato volume di Caroline Criado Perez è il fatto che esso si ferma all'evidenziazione di una polarizzazione oppositiva uomo-donna indubbiamente rilevante (e nociva) ma che tuttavia non è l'unico elemento in un sistema di dominazioni ben più complesso. 
Per questo, terminato Invisibili, suggerisco ai lettori di approfondire anche un'altra prospettiva sulla questione femminista con la lettura di Un femminismo decoloniale di Françoise Vergès (qui la recensione), volume che sottolinea l'importanza di un femminismo multidimensionale che non si batte solo per l'uguaglianza di genere, ma ingloba in sé la lotta antirazzista e quella anticoloniale. 
Per usare le parole dell'autrice: un femminismo che "si rifiuta di dividere razza, sessualità e classe in categorie che si escludono a vicenda."
Questo sguardo profondamente sistemico ci permette di mettere in relazione diverse esperienze radicate e di tirare quei fili che servono a comprendere la discriminazione di genere come parte di una tela più ampia e antica di oppressione. 

Tornando a Invisibili, concludo con una nota: tutte le donne dovrebbero leggerlo per sviluppare consapevolezza sul silenzio che purtroppo ancora ci opprime e per mutarlo in parola e azione, meglio se collettiva. Quanto agli uomini, non dovrebbero limitarsi a leggerlo. Dovrebbero sottolinearlo, poi rileggerlo e infine consigliarlo ad altri uomini perché la smettano, una volta per tutte, di rendere invisibile ciò che invisibile non è. 


Claudia Consoli