di David Grossman
Mondadori, 2021
Traduzione di Alessandra Shomroni
17,00 € (cartaceo)
9,99 € (ebook)
Nel momento in cui comincio a scrivere non sono più paralizzato dinanzi all’arbitrio – qualunque tipo di arbitrio –, e situazioni che mi sembravano eterne, assolute, monolitiche – quasi condanne celesti, o umane – rivelano nuove sfumature. Riesco a muovermi con una certa libertà dinanzi a ciò che in precedenza, per paura o disperazione, mi impietriva. Non sono più una vittima. (p. 28)
Non è facile stabilire nel mondo contemporaneo cosa significhi davvero essere uno scrittore impegnato. La definizione stessa di "impegno", che risuona forte e chiara in alcuni modelli di letterati otto e novecenteschi in prima linea nella lotta civile e nel racconto di cause e fedi politiche, diventa più cangiante e inafferrabile oggi.
È un'etichetta che - per non diventare appunto solamente un'etichetta - ci richiede dei distinguo necessari in un mondo in cui la stessa nozione di guerra non ha più un significato univoco ma ingloba tante forme diverse di privazione, oppressione, illibertà.
David Grossman è uno scrittore impegnato. Non perché la sua letteratura sia rigidamente legata all'espressione di una causa e di una lotta esterna, ma perché i suoi natali e le esperienze di vita in Israele l'hanno reso sin da subito, come lui stesso si definisce, "un colombo viaggiatore della Shoah".
La presenza di Grossman sulla scena internazionale è ormai nota e apprezzata in tutto il mondo. Esce adesso in libreria Sparare a una colomba, una raccolta di saggi su temi politico-civili e discorsi che l'autore ha tenuto in occasioni istituzionali di rilievo per trattare i temi chiave della sua opera dialogando con il suo popolo e con tanti altri, con i capi di stato e con gli artisti, con i giornalisti e gli studenti.
Tra le pagine Grossman racconta che l'indagine della Shoah è stata per lui una necessità sin dai suoi primi passi letterari:
Sentivo che io – ebreo, israeliano, uomo, giovane padre, artista – non avrei potuto capire la mia vita “qui”, in Israele, finché non avessi narrato quella “lassù”, al tempo dell’Olocausto, in un luogo e in una realtà in cui non ero mai stato ma a cui tornavo da ovunque mi trovassi, da ogni mio pensiero, da ogni avvenimento. (p. 64)
Nei romanzi, già da Vedi alla voce amore, la riflessione sull'Olocausto diventa livello fondante di una narrativa che ha il perno nell'indagine dell'uomo e dell'esistenza. L'essere un uomo ebreo porta con sé la necessità morale di riflettere sulla Shoah come discorso collettivo, non solo ebraico, sulla memoria e sul ricordo. Sono tutti temi legati a doppio filo con il narrare: la memoria che serbiamo di quanto accaduto può essere veramente un segnale d’avvertimento morale? E siamo noi in grado di trasformare i suoi insegnamenti in parte integrante della nostra vita?
Nei testi contenuti in questo libro Grossman affronta innumerevoli volte il tema della necessità di una pace tra isrealiani e palestinesi, problematizzando i termini di questa pace data troppe volte per impossibile. Nel farlo pone delle riflessioni strategiche sulla pace in quanto unica condizione che darebbe loro possibilità di esistere in futuro, come individui, popoli, nazioni politiche, territori umani. Come ha già fatto anche nei suoi libri, ci trasmette tutto il senso della paura e dell'ansia esistenziale che rendono fragili le vite di chi vive nei conflitti.
Ed è impossibile qui non ritrovare i suoi personaggi più celebri: il piccolo Momik di Vedi alla voce amore, Orah di A un cerbiatto somiglia il mio amore, il comandante Katzaman di Il sorriso dell'agnello, Vera di La vita gioca con me. Uomini e donne che hanno l'ossessione di doversi confrontare con le minacce esistenziali, sempre in cerca di una pace interiore che manca perché manca quella esteriore.
Sparare a una colomba, già dall'immagine del titolo del volume, è un libro indubbiamente istituzionale. Ritroviamo il Grossman delle occasioni pubbliche: il ricevimento della laurea honoris causa dell'Università di Firenze, il conferimento del Premio per la pace dell'Associazione librai di Francoforte, la conferenza all'Università di Harvard, il 75° compleanno dell'ex presidente tedesco Joachim Gauck.
Eppure racconta anche il volto intimo dello scrittore che mette a fuoco il senso della letteratura consegnandoci immagini commoventi:
Mentre leggiamo, sentiamo che il libro penetra in noi, si stempera, scioglie coaguli induriti e ci riporta a elementi primari non elaborati e non verbali. Questo è il momento in cui è il libro a leggere noi. Ed è questa la grande proposta della letteratura: come un lupo selvaggio, si mette davanti alla finestra di casa nostra, sul praticello ben rasato, e ulula. E di colpo, dalle profondità del nostro essere chiuso e protetto, prorompe un ululato di risposta, di disponibilità. (p. 56)La letteratura è disponibilità e dialogo. E come ogni dialogo richiede una risposta che si opponga al silenzio. Scrivere è lo spazio libertario in cui vincere l'arbitrio e il cieco dominio, ed è anche il mezzo per inseguire una libertà più vasta che ha il potere di definire l'individuo a prescindere dalle limitazioni del mondo.
Il Grossman più istituzionale è lo scrittore che dice che "la letteratura è la stupefazione per l’uomo, per la sua complessità, per la sua ricchezza, per le sue ombre".
Essere uno scrittore impegnato non significa usare efficaci slogan ma fare esperienza del mondo avvicinandosi alle sfumature dell'esistenza, a quei punti in cui la crosta terrestre si fa sottile e la vita sfiora la morte, l'amore il dolore.
È quello che, con altre parole, disse la scrittrice ebrea Etty Hillesum quando, deportata, annotò nel suo diario: "Vorrei essere il cuore pensante di un intero campo di concentramento".
Non può esserci impegno senza questo tipo di esperienza, non può esserci impegno se non si diventa dei cuori pensanti.
Claudia Consoli