Il nido delle cicale
di Anna Martellato
Giunti, settembre 2020
pp. 215
€ 14,90 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)
Che cosa fare quando la vita, costruita pezzo per pezzo, splendida come un puzzle in via di costruzione, improvvisamente va in mille pezzi? Come se una folata di vento entrata da una finestra lasciata aperta facesse cadere il piano su cui è posato quel meraviglioso puzzle? A Mia capita esattamente questo. Un dubbio e la conferma datale da quel computer dove sono caricate cartelle con alcune fotografie mai viste, di colpo trasformano Alessio in un'altra persona. L'architetto di grido, il compagno perfetto, con il quale (o forse, sarebbe meglio dire, all'ombra del quale) vive una vita agiata e tranquilla a Stoccarda diventa un uomo sconosciuto, capace di un inganno, lungo e profondo come una doppia vita. Con una scusa qualsiasi Mia, butta due stracci in una valigia e si mette in treno. Destinazione Italia, dove la sua bellissima dimora, una grande casa padronale, sulle sponde del Lago di Garda, è pronta ad accoglierla. La casa sì, la madre molto meno.
Mia da sempre ha un rapporto difficile, conflittuale con quella madre autoritaria, testarda, ferita dai più grandi dolori che la vita può infliggere a una donna: la perdita di un figlio (Mattia, il gemello di Mia, così diverso da lei) e l'abbandono da parte del marito. Quando Mia si trova davanti al cancello di quella bella casa, tutto le torna addosso, il passato la ghermisce con il suo carico di dolore, di colpe, di rimpianti. Il fardello è pesante, il macigno torna a calarle sul cuore... finché nel salotto di casa non compare Luca, l'amico d'infanzia, l'amore dei 15 anni, l'unica persona con la quale Mia può condividere quel fagotto di paura e di responsabilità perché quella sera di tanti anni prima, quella in cui il timido e sensibile Mattia, amante dell'arte e delle sculture del Canova, ha incontrato la morte, c'era anche lui.
Da qui prende le mosse questo secondo romanzo di Anna Martellato, autrice veronese che aveva fatto il suo esordio letterario nel 2018 con "La prima ora del giorno" (leggi qui la nostra recensione) e che si ripresenta ai lettori con una storia in cui si intrecciano ricordi e sensi di colpa, sentimenti e rancori, nodi irrisolti e tentativi di dimenticare ciò che è stato. Luca, in parte, ce l'ha fatta, grazie al lavoro nel quale ha realizzato il suo sogno: dedicarsi alla natura. Molto diverso dalla laurea in Economia a cui lo vedeva destinato il padre. Sue sono le piantagioni di lavanda, di calendula, di partenio, di menta, di salvia, di timo, di rosmarino che circondano la villa della madre di Mia, fiori dai quali produce oli essenziali e da questi, prodotti di cosmetica ed erboristeria. Mia invece aveva creduto di farcela abbandonandosi alle scelte dell'uomo con il quale credeva di essere felice.
Il loro incontrarsi, di nuovo, dopo tanti anni, porta inevitabilmente a un ritorno nella memoria, a quella sera di vent'anni prima. A quello che poteva essere e non è stato. La morte di Mattia, insensata, evitabile, struggente ha determinato le vite dei protagonisti: la madre da allora vive in una casa-mausoleo, buia, votata al perenne ricordo del figlio tanto amato, il padre si è rifatto una vita a Santo Domingo, Mia ha messo distanza tra sé e i genitori, scegliendo di amare un uomo forte, dalla personalità prevaricante all'ombra della quale si è accoccolata (sorda e anzi rabbiosa agli avvertimenti della madre, che lo definisce il "distruttore di anime").
La scrittrice procede lentamente nell'approfondimento psicologico dei suoi personaggi e nel modo di metterli in relazione l'un l'altro. Al di là di alcuni aspetti stereotipali (visibili in particolare nelle caratterizzazioni psicologiche della madre Vittoria, soprattutto nel troppo repentino cambiamento a cui non ci dà il tempo di abituarci, e del compagno Alessio che invece rimane sempre troppo uguale a se stesso), la raffigurazione migliore è quella che privilegia i tre protagonisti: Mia, Mattia e Luca, tre punte di un triangolo d'amicizia, assoluta come può essere a 15 anni. Tanti quanti ne aveva Mia in quell'estate del 1999 che viene rievocata in modo plastico, con la musica, il trucco, il modo di vestirsi, i profumi...
Erano i giorni dell'odore del gelsomino e dei tigli. Quel profumo inconfondibile della fine della scuola, delle prime volte con le maniche corte e della pelle scottata perché impreparata al sole che ormai aveva deciso di fare la parte del leone. Ma soprattutto erano i giorni delle promesse: quelli erano i primi giorni d'estate (p. 83)
Ognuno di noi associa un profumo agli ultimi giorni di scuola che segnano l'inizio dell'estate e anche il mio coincide con l'afrore dei tigli che a giugno riempiono l'aria della mia città. I profumi e gli odori hanno un ruolo importante nella nostra vita e l'autrice riempie le pagine di questi cortocircuiti sinaptici capaci di riportarci indietro nel tempo (o anche lontani nello spazio, come aveva già fatto con il primo romanzo, nel quale la Grecia sembrava reale, con il suo profumo di mare e di ibisco).
E poi nel romanzo c'è il lago, il magnifico e sontuoso Lago di Garda che sa essere ammaliante con i suoi colori e stregato con le sue profondità. Il profumo dei limoni, il colore dei tramonti, la brezza che ne increspa le onde... Nella grigia Stoccarda, Mia aveva congelato il suo cuore e non ricordava quanto potesse essere inebriante lasciarsi andare a tutto questo. Per lei non c'è altro da fare: il ritorno a casa deve per forza coincidere con il ritorno al passato, con la risoluzione di quel nodo, legato alla tragica scomparsa del fratello, che ha stretto la sua vita e quella dei suoi genitori in un tunnel di incomunicabilità. E grazie a un climax narrativo ben costruito il lettore giunge con lei allo scioglimento di quel viluppo. Preludio a una rinascita.
Il romanzo punta molto sulle dinamiche interpersonali: i rapporti di coppia, che possono nascondere, dietro a un velo dorato, disfunzioni di cui nemmeno i protagonisti si accorgono; i rapporti familiari delle cui difficoltà invece sono i membri stessi della famiglia a rendersi conto, contribuendo a fossilizzarli, a renderli duri e taglienti come diamante; i rapporti di amicizia dai confini spesso troppo labili. E anche in questa seconda prova, come ne "La prima ora del giorno", il passato ha una potenza redentrice, perché solo il coraggio di togliere la patina, che cerchiamo di spalmare sopra vicende che ci hanno fatto male, può portare a un vero risanamento delle ferite. E a una trasformazione, esattamente come fanno le cicale che vivono anni e anni sottoterra, avvolte in una crisalide, che poi abbandonano, secca e trasparente (l'avete mai vista?), per librarsi nell'azzurro del cielo e nel verde di piante e cespugli per vivere appieno, finalmente all'aria aperta, quell'unica stagione, l'unica estate loro concessa per riprodursi. Diventando così la colonna sonora dei nostri pomeriggi pigri e assolati, profumati di mare, di lago, di fiori.
E anche se, forse, in alcune parti, la storia sembra un po' mancare dell'afflato prorompente della prima prova dell'autrice, lasciando più spazio a una costruzione letteraria più ricercata, meno istintiva, "Il nido delle cicale" è comunque un bel romanzo, si legge d'un fiato, prende e sorprende.
Sabrina Miglio