“È sempre stata così, una perenne contraddizione, un rompicapo, un mistero inaccessibile per chiunque abbia cercato di penetrarlo, con lei più cerchi di capirci qualcosa e meno riesci ad afferrare.” (p. 83)
Affascinante, manipolatrice, senza tempo. A cento anni passati, Leni
Riefenstahl trova ancora le energie per fare immersioni alle Maldive allo scopo
di realizzare i suoi ultimi scatti degli abissi oceanici. Abituata a scrutare gli
altri da dietro l’obiettivo della cinepresa o della macchina fotografica, la
donna non sa di essere osservata a sua volta, non immagina che chi l’accompagna
possa avere con lei un conto in sospeso, un conto che dovrà essere saldato nel
corso di un’ultima, lunghissima ora
sommersa. Leni infatti non è soltanto una donna dalla inquietante energia e
dallo sguardo acuminato, ma è anche stata la regista prediletta da Hitler,
l’occhio di rappresentanza del nazismo – suo è ad esempio Trionfo della volontà, documentario che celebra il raduno del
Partito nazionalsocialista tedesco a Norimberga e contribuisce a crearne l’immaginario.
Figura poliedrica, inconoscibile, inafferrabile, non può essere racchiusa in una narrazione lineare, e infatti i
tentativi di catturare la sua essenza passano attraverso diversi cataloghi: le
citazioni che la riguardano, la successione dei suoi amori, gli incidenti, le
contraddizioni...
Soggetto di questo disperato,
estremo tentativo di comprendere è Martha, biologa marina trentanovenne,
che nutre per Leni una vera e propria ossessione; un’ossessione che condiziona
la sua intera esistenza, fino quasi a esaurirla: “Io, anche quando provavo a sedurre qualcuno, non lo facevo per me, non
c’entrava il mio corpo o la mia femminilità. C’entrava il nazismo” (p. 51).
Il rischio connesso agli anni passati a desiderare un confronto o
una vendetta è quello però di soccombere
alla stessa logica che si condanna: la logica spietata della manipolazione,
dell’insensibilità di fronte all’altro essere umano. Leni in questo pare
essere maestra: il pieno controllo su ogni conversazione, l’attitudine a
rovesciare le situazioni svantaggiose a proprio favore, la libertà nel trattare
tutto come fosse a propria disposizione, funzionale ai propri scopi... Martha sogna
qualcosa di diverso per la propria vita, eppure sempre più appare prigioniera
di una rete di ricordi e di dolore intessuta troppo a lungo. Lei, che ha scelto
di studiare biologia e non storia o archeologia per essere dalla parte dei vivi e non dei morti, che per questo ha
rischiato di tradire la memoria di una madre amatissima; lei che si è immersa
per tappe progressive, come nei fondali, anche nella propria storia famigliare,
fino ad assimilarla e farla propria. Lei ora finisce pericolosamente per
lasciarsi trascinare nel gorgo da tutto ciò a cui vorrebbe sfuggire. Perché
Martha è anche il nome del nemico, il veleno che le è stato inoculato da sua
madre e che lei si porta dentro come una condanna, senza capirne il motivo.
Marta è infatti la protagonista di Tiefland,
il film più celebre di Leni Riefenstahl, che impiegò in fase di realizzazione numerosi
bambini rom e sinti prelevati dal lager di Maxglan per corrispondere alle
sue specifiche esigenze estetiche. Soltanto che quei piccoli attori che sul set
sembravano necessari, una volta esaurito il loro compito potevano senza
rimpianti essere mandati a morire nei campi di sterminio. Di questo più e più volte
la regista verrà chiamata a rispondere nel corso di una lunghissima esistenza,
preferendo sempre glissare o proporre versioni distorte della verità.
E del resto Leni ostinatamente continuerà a negare ogni
responsabilità nell’aver contribuito a costruire e diffondere l’ideologia
nazista. A partire da questo, Emiliano Poddi si interroga e ci interroga sullo
statuto dell’arte. Quale deve essere lo scopo dell’attività creativa: guardare
al reale e restituirlo senza filtri e senza scavi, o piuttosto complicarlo e
trasfigurarlo? Per Leni l’arte è pura
superficie, pura estetica; lei non indaga il senso di quel che mostra, e
Martha – come in generale lo spettatore – non capisce quanto questo sia frutto
di una scelta attiva oppure vera mancanza di comprensione della profondità
delle cose:
Mi domando se in definitiva non sia proprio questo, il punto. Non tanto le marce militari, o i discorsi di Hitler […], non le svastiche […], quanto piuttosto il fatto che tu, quando te ne trovi di fronte una su uno schermo, nemmeno riesci a vederla, o se ci riesci non ne afferri la spaventosa portata. […] A te interessano le tue immagini, il resto non conta, ti è del tutto indifferente, e forse è proprio in questo che sei nazista. (p. 117, 118)
Tra la stolida, autocentrata ottusità e la più schietta crudeltà,
la narratrice a tratti non riesce a capire cosa sia peggio. Se per Leni tutto
si riduce alla purezza della forma, l’uomo smette di essere uomo, così come gli
abitanti dei fondali marini possono diventare entità astratte, agglomerati di
linee e colori, quasi elementi metafisici. A chi guarda il mondo attraverso
questa lente deformante, sfugge il significato profondo delle cose; non c’è più
nulla che possa farsi portatore di metafore o di riflessioni etiche. Solo a chi
sa guardare oltre, immergersi nelle implicazioni degli eventi e del proprio
agire, il reale si disvela – come gli abissi a chi sa cosa cercare. Così, per
la biologa marina l’ambiente popoloso delle acque diventa non solo splendida
sfera di vetro congelata in una perfezione immutabile, ma chiave di lettura per
il presente.
Tra le due donne, per quanto all’insegna del non detto e di una
radicale incomunicabilità, tra le pagine del romanzo si instaura comunque una
forma di relazione. E a un tratto Martha si troverà suo malgrado vittima di uno
di quei dilemmi etici che l’antagonista pare invece totalmente incapace di
provare, uno di quei momenti in cui è fondamentale decidere da che parte si
vuole stare, che tipo di persona si vuole essere.
Con uno scritto che affronta un aspetto meno indagato dei crimini
nazisti e porta alla luce un personaggio non ancora del tutto compreso, Emiliano
Poddi dà il suo prezioso contributo alla causa della memoria prendendo una via
non convenzionale e che suscita nel lettore non pochi interrogativi. Quest’ora sommersa è un romanzo che ci
porta negli abissi oceanici e in quelli dell’animo umano, aiutandoci a
scoprirne le asperità, ma anche le meraviglie, nonché le straordinarie capacità
di rinascita.
Carolina Pernigo
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