Esercizi di fiducia
di Susan Choi
Sur, gennaio 2021
di Susan Choi
Sur, gennaio 2021
Traduzione di Isabella Zani
pp. 320
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Esercizi di fiducia è un punto di rottura: con la tradizione letteraria, con un impianto narrativo statico, con ciò che il lettore si aspetta, a partire dalla risoluzione di tutti i nodi della storia. Quello di Susan Choi, scrittrice statunitense di padre coreano, è un romanzo sperimentale, che gioca con registri narrativi diversi, si confronta con tematiche importanti e molto attuali come l’abuso e il rapporto di fiducia fra insegnanti e allievi e le intreccia ad altre universali quali l’amore, l’amicizia, la memoria e le maschere che indossiamo. È una prova eccellente, che è valsa all’autrice il National Book Award e che trova in Italia la sua voce ideale nella traduzione di Isabella Zani, capace di straniarsi e un attimo dopo modellarsi di volta in volta su un personaggio differente, su un punto di vista alternativo.
Tre narratori, tre punti di vista e tre piani temporali con cui la storia è raccontata, con profonde differenze tanto contenutistiche che formali da sembrare quasi altrettanti romanzi in uno soltanto. A lettura conclusa, la mia prima sensazione – oltre all’ammirazione di fronte a una prova così riuscita – è stata quella di un libro perfetto per essere discusso e “fatto a pezzi” in un gruppo di lettura, tante sono le sfumature, i dubbi, i punti di domanda, il dialogo con la contemporaneità e il confronto con argomenti che riguardano tutti noi. E, diciamoci la verità, anche per trovare negli altri quelle risposte alla lettura di cui noi da soli siamo meno certi.
Un romanzo stratificato, che parte negli anni Ottanta in una scuola di recitazione di Los Angeles, ma quando sembra raccontarci un certo tipo di storia, la relazione discontinua fra due adolescenti – dal punto di vista di lei, Sarah – e le dinamiche interne ad una scuola di quel tipo, ecco spiazzare il lettore virando verso un’altra direzione.
«No, io sono certo che andava a letto con le allieve. Sono certo che loro andavano a letto con lui. Però sapevano quello che facevano! Come noi sapevamo quello che facevamo. Te lo ricordi com’eravamo?». «Eravamo bambini». (p. 196)
O forse no, perché quello che accade nella seconda parte del libro, ciò che ci viene raccontato a distanza di quindici anni, è esattamente quello che si era insinuato fin dall’inizio e che ora, per voce di Karen, vediamo chiaramente. Sono le dinamiche insegnanti-allievi, distorte, malsane, su cui la sua narrazione si posa senza filtro alcuno, a raccontare un’altra versione della storia, l’unica possibile. Fino alla terza e conclusiva parte, affidata a un altro narratore, nel tentativo di sciogliere tutti i nodi e scoprire finalmente la verità.
Ecco, la verità: ma siamo di fronte a narratori parziali, inaffidabili, che scelgono di omettere ciò di cui vanno poco fieri, che del passato hanno un ricordo falsato, in una sorta di desiderio di edulcorare per non vedere, per non dover fare i conti con quanto è successo. Per non prendersi le proprie responsabilità.
Choi intreccia abilmente una storia a più voci, ci convince a osservare una particolare scena per poi scoprire che quello che davvero contava era lì accanto, che mentre noi ci interrogavamo su due ragazzi incapaci di gestire i propri sentimenti, ecco, intorno a loro – e con loro – qualcosa di più definitivo stava accadendo. Sono proprio quelle zone marginali, quello che resta in ombra e solo brevemente accennato, che si insinua sottopelle e modifica la nostra percezione della storia di cui all’inizio vediamo solo la parte più evidente, l’iceberg emerso. Quella di Choi è una storia che ne contiene innumerevoli altre, non tutte dello stesso peso narrativo, ma ognuna con le sue implicazioni e motivi di riflessione. Siamo noi lettori, come sempre, a scegliere dove concentrare la nostra attenzione, quale parte sommersa far venire a galla, quale chiave di lettura utilizzare per entrare nella storia e qualcosa inevitabilmente ci colpirà più di altro, toccando corde cui siamo sensibili in modo particolare.
In questo intreccio stratificato, ciò che immediatamente colpisce la nostra attenzione è, come si diceva, la rappresentazione di un malsano rapporto insegnanti-allievi e le conseguenze che questa relazione sbilanciata ha sullo sviluppo dell’individuo, sulle sue scelte; la fiducia tradita, l’ingenuità che si paga a carissimo prezzo. Abuso, è la parola che non viene pronunciata chiaramente, così definitiva, assoluta, da mettere in discussione tutto ciò che si è vissuto e si ricorda.
Ma che cosa esattamente ricordiamo? Il passato è una riscrittura, nel momento esatto in cui resta alle nostre spalle assume una forma diversa, i ricordi falsati, altri messi da parte. Il nostro passato intrecciato a quello degli altri. La nostra verità, la loro.
E, allo stesso tempo, la nostalgia:
David era ossessionato dal passato, e non solo da alcuni frammenti. Tutti quanti, credo si possa dire serenamente, ci fissiamo su qualche episodio del passato, magari perché vorremmo riviverlo com’era, magari perché vorremmo tornare indietro e cambiarlo […]. David però la portava all’eccesso. […] Era come se avesse deciso, molto presto nella vita, che il meglio della sua vita era già trascorso, e i successi che conseguiva ora con la sua compagnia teatrale contavano solo perché gli offrivano un legame con il passato. (p. 185)
Ci sono moltissime domande in questo romanzo, la maggior parte delle quali non trova risposta sulla pagina e in un primo momento mi hanno suscitato un leggero fastidio, memore del fatto che tante volte l’utilizzo delle domande nasconde l’incapacità di un autore di andare a fondo nella narrazione, è uno svicolare da nodi complessi. Non è il caso di Choi, in generale almeno, i suoi personaggi, così fragili e persi, non possono dare risposte, smarriti e vulnerabili.
Dove sono gli adulti, si chiedono a un certo punto, o meglio, dov’erano? Quando si veniva sviliti, abusati, messi da parte, feriti? Gli adulti di questa storia sono sfocati, altrettanto fragili e manchevoli come i protagonisti. Sono madri perse nelle loro fantasie new age che giocano a essere complici delle figlie adolescenti e delle loro amiche e non riconoscono la radice della sofferenza, sono padri distanti, che se ne sono andati, altri che ci provano e senza fare domande danno il loro aiuto e sostegno, sono madri di fronte al muro eretto da figlie adolescenti che non sanno come abbattere.
O, nel caso peggiore, proprio gli adulti sono i colpevoli.
Da qualunque punto lo si osservi, è un romanzo sulla fragilità, sul nostro essere vulnerabili. E in un certo senso è anche un romanzo sulla scrittura, di cui Choi per prima sovverte le regole e la tradizione perché questo era l’unico modo possibile per raccontare questa storia, quanto mai attuale. Le è stata appiccicata addosso l’etichetta di romanzo del MeToo e in parte è vero, questo romanzo ha molto a che fare con il movimento, nella presa di consapevolezza di dinamiche distorte, di fiducia tradita, di ruoli di potere e abusi, che non dovrebbe essere così difficile capire perché sia possibile affrontare solo alla dovuta distanza temporale.
È, da un punto di vista narrativo, un romanzo fresco, sperimentale a tratti, che vagamente mi ha ricordato Bohemien minori, di cui forse non avrà la stessa carica di sofferenza e distruzione – prima di tutto narrativa – ma si inserisce in un simile filone letterario, a comporre un mosaico di voci e autrici che rompono con la tradizione, la linearità della narrazione, i tabù e gli stereotipi, per raccontare con voce propria ciò che ancora non si dice.
Debora Lambruschini
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