Eva dalle sue rovine
di Ananda Devi
Utopia, febbraio 2021
Traduzione di Giuseppe G. Allegri
pp. 144
19,00 € (cartaceo)
9,99 € (ebook)
Mi menano, poi mi rimenano. A volte mi malmenano. Ma non mi importa. È solo un corpo. Si aggiusta. È fatto apposta.Aggiro trappole e ostacoli. È la mia danza di evasione. (p. 16)
Protagonista di questo romanzo è il corpo. Il corpo di Eva, ma anche quello della città isolana in cui vive, condividendo un’adolescenza scheggiata con coetanei e compagni di scuola. Si lascia sfruttare da costoro, che la desiderano, la toccano, la sfruttano per sfogare la propria malcelata carnalità. Il corpo di Eva, senza forme, adolescente, poco più che un corpo di donna, è per lei mezzo per un fine. Uno strumento per procurarsi anche piccoli benefici materiali, per tentare disperatamente di uscire da una contemporaneità e quotidianità grigie, sbiadite nella loro mediocre drammaticità. Padri violenti, ubriaconi, nullafacenti; madri sottomesse, sole, costrette a lavorare come muli per far scampare i propri figli ai morsi della fame; queste le famiglie che stanno intorno alle vite dei diciassettenni protagonisti di questo romanzo di Ananda Devi, autrice e antropologa mauriziana, la cui letteratura viene portata con questo testo per la prima volta in Italia da un’ammirevole scommessa di Utopia Editore.
Il corpo di Eva è smozzicato, rotto, assume una strana plasticità agli occhi del lettore, emerge tridimensionalizzato dalla pagina. Attorno a Eva, ci sono Sad, Savita e Clelio. Sad, che brucia d’amore per lei, amico ossequioso nella sua timida e ardente passione, le scrive poesie sul muro di casa, sperando che lei gli si butti un giorno tra le braccia, arrendevole nell’amore di lui e nella sua volontà di salvarla da se stessa. Savita, l’amica del cuore di Eva, inseparabile compagna di sventure familiari e suo angelo custode. Anch’ella vorrebbe salvare l’amica, aiutarla a proteggere il suo corpo dallo sfruttamento prepotente di uomini a cui di lei in quanto Eva, ragazzina di diciassette anni senza scintille negli occhi, non importa niente. Poi c’è Clelio, l’adirato, discepolo di Marte. Tutto è guerra intorno e dentro di lui. Nulla gli dà pace o prolungato senso di gioia; tutto è furia, tutto suscita in lui violenza e fuoco. Dalla partenza per la Francia del fratello maggiore, Carlo, suo eroe indiscusso d’infanzia, nulla è stato più come prima per Clelio; il mondo è sprofondato in una pece senza uscita, lasciando spazio soltanto a tradimento e delusione irrorati di un senso di buio da cui non sa come uscire se non con i pugni stretti davanti a sé. “Mi sa che sono nato così. Mi sa che ho visto il futuro e non mi è piaciuto” (p. 19).
Troumaron, il quartiere di Port Louis in cui i ragazzi vivono e crescono, è la loro isola Eea, che, come Circe con le sue prede, li trattiene incatenandoli alla sua realtà di miseria e frustrazione. La città li inghiotte. Inghiotte i loro corpi giovani, le loro speranze e i loro desideri per una vita altra, in cui si intraveda almeno uno strascico di prospettiva e di futuro.
La città, il buio, la perdita. Quello che cerca lei non è qui, gli vorrei dire. Ma già lo sento che mi risponde: quello che cerchi tu, nemmeno. (p. 62)
Un male intrinseco si abbatte su di loro nella forma di un tragico assassinio, avvenuto di notte, lontano da occhi amici, con un’innocente ingiustamente colpevole. Eva è a pezzi, il suo corpo e il resto. Così come il resto dei ragazzi del quartiere, dolore e amarezza si fanno largo ancora di più per le vie della città, togliendo quell’ultima traccia di respiro rimasto, privandoli dell’ultima macchia di innocenza che non sapevano nemmeno di conservare ancora. Cosa succederà ai loro corpi? Sono davvero così effimeri come pensieri notturni che nessuno ascolta? Cosa succederà al corpo di Eva, si chiede Sad, senza salvezza?
Ananda Devi costruisce un universo geografico e psicologico profondo e denso, nel suo strazio e nella sua lucidità. I giovani personaggi si muovono sulla pagina con concretezza, organici nei loro movimenti scattanti di adolescenti, pieni di rabbia, di domande che non sanno formulare, di risentimento, di amore espresso con scarsa efficacia. Con una scrittura estremamente puntuale, plurale, raggelante nella chiarezza con cui estrapola per il lettore stati d’animo e incomprensioni emotive dei suoi personaggi, l’autrice si fa largo come una presenza invisibile ma onnipresente per le strade di Troumaron, trasformando il luogo stesso nelle individualità che lo abitano e viceversa.
Anche Troumaron, nella sua corporalità, è dinoccolata e al tempo stesso salda, immobile nella condizione di inadeguatezza sociale che offre ai suoi abitanti. Agenti senza scopo, senza motivazione, essi non reagiscono, se non guidati dal fervore giovanile, forte di collera e di quella disillusione giunta prematuramente. Così come l’isola di cui il mare delimita in modo netto i confini, le identità che compongono la narrazione si aggirano senza meta sulla pagina, pur esibendosi nella loro vasta confusione interiore. Cosa succede se a diciassette anni non sai come sperare in un futuro che sia migliore e solo tuo? Se non sai come tutelare la tua interiorità prendendoti cura anche dell’involucro esteriore? Rinascerà Eva dalle sue rovine come una primigenia fenice?
Lucrezia Bivona