Insegna Creonte. Tre errori nell’esercizio del potere
di Luciano Violante
Il Mulino, gennaio 2021
pp. 160
€ 12,00 (cartaceo)
€ 8,40 (ebook)
«In Italia non c’è un Creonte. Ci sono tanti piccoli Creonte», dice Luciano Violente durante una piacevole chiacchierata telefonica.
Presidente della Commissione parlamentare antimafia (1992-1994) e della Camera dei deputati (1996-2001), rieletto deputato nel 2001, ex magistrato e accademico italiano, ha dato alle stampe lo scorso 14 gennaio per Il Mulino “Insegna Creonte. Tre errori nell’esercizio del potere”, .
Il professore non ha dubbi, ne individua tre, anche se le questioni sono molte e più complesse. Ad avvalorare la tesi sono il mito e la tragedia di Sofocle, Antigone, che con leggi non scritte contiene «la rappresentazione di significati che nascono dalle vicende umane e che continueranno ad avvenire», poiché «il mito, come la tragedia, nasce dall’esigenza di rappresentare conflitti tra valori» (p. 33).
Poche le doti imprescindibili per un politico: conoscenza, lì dove le convinzioni fondate trovano ristoro; rispetto delle istituzioni – luogo in cui si costruisce – e dell’altro; il coraggio di tutti i politici che conoscono la vittoria e la sconfitta, e di «coloro che sanno razionalmente sfidare orientamenti consolidati e opinioni comuni in nome di un ideale che corrisponde alla funzione di guida che la politica deve avere nei confronti della società» (p. 18).
«L’errore è uno degli interruttori nella vita delle persone», disse «un vecchio sacerdote, in tonaca, con tanti capelli bianchi e un po’ arruffati» (p. 141) a un giovane Luciano Violante, allora giudice istruttore a Torino, durante gli Anni di piombo. Probabilmente il prete parlava a sua discolpa, e ci trova tutti d’accordo sul fatto che nessuno di noi può fare a meno dell’errore poiché, dopotutto, ha in sé il potere dell’insegnamento. Tuttavia, quel “peccato originale” quando incontra l’onnipotenza del leader politico diviene una sciagura priva di misericordia, e in Insegna Creonte Violante lo spiega con la chiarezza di un maestro che ha a cuore il buon senso dei suoi discenti.
Presidente, aveva in mente qualche leader in particolare mentre scriveva del potere pedagogico degli errori politici o intendeva rivolgersi semplicemente al grande pubblico profano?
Non c’è dubbio che avevo presente casi di errore nei quali mi sono imbattuto durante la mia vita politica e parlamentare, quella giudiziaria e quella del docente, e tutte le varie vite che mi è capitato di attraversare. Ma il punto di partenza per me era questo: si possono avere delle ottime finalità ma gestite male. Creonte è il sovrano di Tebe e deve governare la città nel migliore dei modi possibili, ma si trova davanti a due nipoti, uno dei quali ha difeso la città e l’altro, invece, l’ha aggredita. Entrambi sono morti, eppure non può dare gli stessi onori funebri. Sceglie di dare gli estremi onori a chi ha difeso la città, e dispone che il cadavere di chi l’ha aggredita sia gettato ai cani. Questa è una legge laica, netta e chiara. Creonte non può essere familistico, e cerca di seguire un principio giusto, ma lo gestisce male, entrando in conflitto con Antigone, senza comprendere le ragioni e la forza dell’altro. Queste sono cose che ho visto molto spesso in politica, cioè di aprire conflitti che non si è capaci di risolvere, le faccio il caso di Salvini o di Renzi.
A proposito di Salvini, non pensa che oltre all’errore del leader politico sia discutibile anche la concezione di “difesa della propria patria” da parte di buona parte dei cittadini?
Chiunque di noi può essere un Creonte nel momento in cui affronta una questione giusta in modo sbagliato. Il punto interessante è che tu puoi avere anche una buona finalità, però reagisci male e precipiti, se non ti accorgi in tempo che stai sbagliando. Quindi tanti uomini politici possono essere Creonte in qualche momento della loro attività politica.
Per il cittadino il problema della gestione si pone in termini molto più ridotti.
Lei dice: «Nessuno insegna a nessuno. All’elettore non si presenta un programma, ma la soddisfazione di aver vinto», con leader politici somiglianti sempre più alla società che li ha votati. Questa inarrestabile velocità con cui si susseguono politici e governi è, secondo lei, schiava delle istantanee approvazioni e disapprovazioni virali dei social media, dunque del sentimento fuggevole e mutevole di una società sempre più abbagliata che informata?
Sì, l’assenza di pause di riflessione produce una continua successione di idee. È come un’eterna partita a tennis, in cui o la vince uno o la vince l’altro. Negli ultimi venti anni ci sono stati ben undici crisi di governo, dodici, dati gli ultimi sviluppi politici. Se non ricordo male, ogni sei mesi c’è stato un conflitto tra parti politiche da risolvere, e certamente l’intensificarsi dei mezzi di comunicazione ha prodotto una politica un po’ nevrotica e un po’ alleggerita dal solito pensiero strategico, che insegue continuamente il presente senza avere nessuna idea di futuro, questo è il problema. Non hai pause di pensiero. E si vede anche la dinamica della tragedia di Sofocle, non ci sono pause, è un conflitto permanente quello tra Creonte e Antigone, poiché non hanno neanche il tempo di pensare come correggere il tiro.
Negli ultimi anni, se c’è stato un movimento politico che ha incarnato forse più di altri la figura e gli ideali di Antigone, è quello populista. Si tratta in questo di caso di una perversione della legittima lotta contro l’abuso del potere incarnato dalla casta, cioè da Creonte?
Io credo che dobbiamo distinguere la critica nei confronti di chi esercita un potere politico, burocratico e di qualunque tipo, che è la posizione di Antigone, dal populismo, che è una cosa diversa, perché il populismo è un atteggiamento semplificatore dei conflitti. Antigone non semplifica, anzi, si pone in nome di una questione profonda. Il populismo non pone questo, pone in genere una soluzione banale, sbagliata, a un problema grave. Ma questo ci riporta a un’altra questione: la democrazia non esiste in natura. La democrazia è frutto di una costruzione dell’intelligenza, della voglia di libertà delle persone, ormai da due secoli e mezzo a questa parte. Ma proprio perché non esiste in natura, va coltivata, va seguita, costruita, va difesa. Ma le forze liberaldemocratiche e socialdemocratiche nell’Occidente, dopo la caduta del muro di Berlino, non si sono più occupati di curare la democrazia, hanno ritenuto che andasse avanti per conto suo, ma non è stato così. I residui di ribellione, questi recipienti violenti e antagonisti che si trovano per esempio in Francia con i gilet gialli, per alcuni aspetti sono stati anche ripresi e rielaborati dal Movimento 5 Stelle, e sono la riprova non tanto di populismo, ma della mancanza di cura della democrazia. Non essendoci cura della democrazia, i fenomeni sono di questo tipo, fenomeni banalizzatori, che non tengono conto della verità e della realtà delle questioni, che affrontano questioni giuste in modo sbagliato e violento. Dunque credo che Antigone è cosa diversa dal populismo.
Lei scrive: «La democrazia ammette errori. Il potere fuori dalla democrazia commette crimini». A tal proposito, lei cita Donald Trump come leader dell’errore e il presidente della Bielorussia Lukašėnko come leader che commette crimini.
Gli avvenimenti del 6 gennaio 2020 a Washington le hanno suggerito un riesame?
Qui siamo ai confini del crimine, non c’è dubbio. Sulla base dei parametri legali incitare alla rivolta, anzi all’attacco della sede del parlamento è un crimine. Non è un crimine contro i diritti umani come quelli commessi da Lukašėnko, certo, ma è formalmente e sostanzialmente un delitto.
Dati gli ultimi sviluppi internazionali, se oggi potesse revisionare il suo libro, quale altro errore o insegnamento annoterebbe?
Vorrei capire bene cosa fa Biden, ma è ancora presto per dirlo. Bisogna aspettare un po’ di tempo prima di giudicare. E poi tenga presente che le scelte politiche si valutano dai risultati e non dalle procedure che si seguono.
Olga Brandonisio
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