p. 256
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Non vi racconto queste storie per inculcarvi delle idee, ma per permettervi di avere tutti gli ingredienti per farvene una vostra, unica e più vicina possibile alla verità. (p. 143)
Parto da qui, da questa breve ma molto esplicativa frase, per riflettere su Rinascita americana, il reportage – o, come lo ha efficacemente definito l’autrice “non fiction narrativa” – della giornalista Giovanna Pancheri edito da Sem. Parto proprio da qui perché in quelle parole c’è moltissimo delle ragioni e dell’approccio dell’autrice non soltanto a questo lavoro ma più in generale al mestiere stesso del giornalista. Un mestiere che l’ha portata a viaggiare molto e raccontare ai lettori e al pubblico prima l’Europa e poi, per quattro anni come corrispondente di Sky TG24, gli Stati Uniti dell’era Trump. Ci sono molti modi per fare il giornalista, anche per fare il bravo giornalista, e uno di questi è, a mio avviso, osservare, incontrare e parlare con le persone e raccontare le cose nella maniera più vera possibile, separando i fatti dalle opinioni personali: Giovanna Pancheri ha ben chiara l’importanza del proprio ruolo, la responsabilità che comporta e riesce a separare molto bene i fatti dalle proprie idee. Lo fa perfino in questo libro che è, per sua natura, anche un racconto personale, che la riguarda non soltanto come professionista ma anche come persona. Sta a noi lettori alla fine trovare le nostre risposte, formarci opinioni e idee, alla luce di un quadro senza dubbio molto più chiaro e completo. Della realtà statunitense, certo, e di conseguenza del mondo occidentale tutto.
Ancora una volta non è solo una questione di parole. Leggendo queste pagine forse le avrete trovate pretestuose, penserete che queste realtà sono solo un corollario di un’America democratica e faro mondiale dello Stato di diritto, o magari avrete sbuffato interpretando il mio racconto come parziale e forzato, come l’ennesimo tentativo di un giornalista di parte di insinuare che Trump c’entri in qualche modo nei deliri di questi personaggi che, a vostro parere, sono solo delle piccole invisibili incrinature su uno dei trecento fogli di rame che rivestono la Statua della Libertà. Voglio rassicurarvi: non ho la pretesa di non avere opinioni, ma ho piena consapevolezza dello sforzo che ho sempre profuso per evitare che fossero alla base del mio lavoro […]. (p. 142)
Questa è l’anima del libro ed è importante tenerlo a mente per addentrarsi in una narrazione che tenta di scardinare stereotipi e preconcetti, per raccontare gli Usa nelle sue molteplici sfaccettature.
Un Paese vasto, composto da identità diverse in cui, è bene comprendere una volta per tutte, Trump non è stata un’anomalia, un errore imprevedibile, ma la rappresentazione più evidente di una realtà che esisteva quattro anni fa e continua a esistere tuttora. Una realtà che va raccontata, con onestà, per comprenderla, anche alla luce delle derive violente, della radicalizzazione della destra, della crisi economica e della pandemia. Ecco quanto è fondamentale quindi il ruolo dei giornalisti.
Sin da quando ho iniziato a coprire le primarie nell’estate del 2016 sono rimasta colpita e stupita dalla parzialità dei media americani. Qui dove è nato il Quarto Potere, dove un tratto di inchiostro è stato in grado di far cadere governi, dove il giornalismo ha regalato al mondo figure leggendarie, il confine tra fatti e opinioni è diventato sempre più evanescente. (p. 8)
Quello che ha fatto Pancheri con questo libro è stato, quindi, mettersi in viaggio: andare nelle zone rurali, nelle periferie, nelle cittadine ai margini, e incontrare le persone, parlare con loro e raccogliere le loro storie, anche quelle più scomode e lontane dalla sua personale visione del mondo, conscia di quel confine si diceva tra fatti e opinioni che va ben tenuto a mente. Ne emerge un ritratto molto più completo e variegato di una società che troppo ingenuamente a volte idealizziamo o, ancora peggio, scegliamo di osservare mediante una sola chiave di lettura, quella magari che troviamo più comoda e rassicurante; una parzialità, uno scostamento dalla realtà che ci porta a un giudizio superficiale e a reagire con stupore e incredulità di fronte a eventi come l’elezione di Trump. Pancheri ci porta tra quelle stesse persone che quattro anni fa lo hanno votato, persone di tutti i tipi, bianchi, neri, ispanici, che nelle promesse elettorali del ex Presidente vedevano l’occasione di riscatto da una crisi economica che li aveva messi in ginocchio, riponendo la propria fiducia in un uomo che, per assurdo, avvertivano molto più vicino e simile a loro stessi di qualsiasi altro politico.
[…] ho realizzato che, se avessi voluto davvero capire e provare a raccontare questa nuova America, avrei dovuto viaggiare per il Paese e andare a cercare e incontrare il popolo reale a cui (e questo mi era molto chiaro quattro anni fa) Donald Trump era stato in grado di dare speranza, senso di appartenenza e legittimazione, un popolo al quale aveva fatto molte e precise promesse in campagna elettorale, un popolo che però, come quello non reale, si è ritrovato nella primavera del 2020 a rimettere tutto in discussione. (p. 13)
La pandemia e la sua non-gestione, la radicalizzazione della destra, il crescendo di violenza e tensione, la rabbia, la frustrazione, la questione razziale e le proteste e, ancora, il significato concreto dell’Obamacare, le politiche sull’immigrazione, l’ecologia, il possesso di armi, la povertà: è la realtà con cui l’autrice si confronta e che riporta al lettore sulla pagina, in un lavoro rigoroso ma capace anche di farsi narrazione. Queste storie che compongono Rinascita americana suscitano nel lettore ora commozione, ora rabbia, ma tutte allo stesso modo ci danno l’idea di un mondo molto più complesso di quanto superficialmente saremmo portati a pensare. E la sensibilità alla narrazione traspare spesso dalle pagine, ricche anche di spunti letterari che si intuisce hanno contribuito a formare l’autrice e la accompagnano nella sua analisi degli Usa.
Ma che cosa rappresenta, alla fine, questo libro? Come si colloca nel panorama letterario contemporaneo? Personalmente credo che il merito più importante di Rinascita americana sia in primo luogo inserirsi in una narrazione degli Stati Uniti il più veritiera e sfaccettata possibile e anche grazie a questo di non esaurirsi nell’immediato presente ma di dialogare anche con il tempo che verrà. A questo si lega il senso di quella “rinascita” del titolo e della grave eredità che Trump ha lasciato al suo successore, Joe Biden. Problematiche e differenze che non sono certo nate quattro anni fa, ma che le posizioni ambigue, il linguaggio aggressivo e la politica di Trump hanno senza dubbio esacerbato, come dimostrato anche dai terribili fatti del 6 gennaio di Capitol Hill. L’elezione di un nuovo presidente, di un uomo che tutto il mondo si augura essere responsabile e giusto, a partire dalla gestione della pandemia, è un punto di partenza, ma per la rinascita, pare suggerirci Pancheri, è necessario ascoltare e comprendere tutte le voci che compongono il Paese per essere pronti alle sfide che lo attendono. E usare con consapevolezza le parole, che siano quelle più giuste e oneste possibile.
Di Debora Lambruschini
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