Cottage garden.
Il fascino del giardino inglese
di Claire Masset
traduzione di Lucia Corradini
L’ippocampo, 2021
pp. 176
€ 25,00 (cartaceo)
Se è vero che non si può fare di tutte le erbe (ma nemmeno di tutti i fiori, di tutte le piante e di tutti gli alberi) un fascio, perché mai si dovrebbe avere la pretesa di fare lo stesso quando si tratta di giardini? Sembrerà una considerazione ovvia e banale, eppure sfogliando Cottage garden, il nuovo libro di Claire Masset appena pubblicato da L’ippocampo nella sua versione italiana e dedicato allo stile inglese in materia di giardinaggio, si comprende al meglio quanto un po’ di verzura più o meno organizzata non sia altro che il presupposto di base per un discorso che potrebbe dare origine a infinite e distinte gemmazioni. Non solo perché esistono tanti giardini (all’inglese e non) quanti proprietari, ma perché la caratteristica peculiare di quello di matrice anglosassone consiste proprio in una libertà espressiva che rifiuta in linea di massima gli standard e i modelli troppo codificati, e che esorta il giardiniere a dimenticare il rigore di geometrie e proporzioni per accogliere ed esaltare le risorse del caso, dell’imprevisto e dell’improvvisazione. L’apoteosi dello schema libero, insomma, da secoli e secoli a questa parte.
È la stessa Claire Masset, nella sua Introduzione al volume, a spiegare come il cottage garden non sia una moda ma un vero e proprio stile di vita green di antichissima tradizione:
«lungi dall’esaurirsi in un’interpretazione idealizzata, il cottage garden ha un ricca storia che risale al Medioevo. Nel corso dei secoli è stato fonte di sostentamento, rifugio per le piante in via di estinzione e spunto creativo per progettisti di elaborate aree verdi. Ha attirato persone di tutte le estrazioni sociali: operai, scrittori, intellettuali, aristocratici. Oggi rappresenta la quintessenza del giardino all’inglese, apprezzato dai giardinieri di tutto il mondo. Come concetto è difficile da definire, ma basta vederlo per riconoscerlo immediatamente. Intimo, accogliente, informale, variegato, il cottage garden appare perfettamente inserito nel proprio ambiente, essendosi evoluto nel corso del tempo. Se i fiori sono protagonisti incontrastati, arbusti e cespugli topiarizzati di solito ne costituiscono la struttura. Sempre all’insegna della discrezione, il cottage garden non vuole fare colpo, perché il suo fascino risiede nell’atmosfera familiare che sa evocare» (p. 8).
E a chi, dopotutto, non è familiare l’immagine di un cottage garden così come tramandata dalle rappresentazioni di epoca vittoriana, quando artisti più o meno d’accademia si dilettarono a fissare su carta e su tela la concezione romantica della vita rurale dei villaggi inglesi attraverso i loro acquerelli tanto idealizzati quanto realistici? Per i cultori di questo modus bucolico d’oltremanica (che è anche, a tutti gli effetti, una forma mentis), ma anche per chi non ha idea delle peculiarità di questa filosofia campestre, Claire Masset articola la sua trattazione in capitoli dedicati alla tradizione, allo stile, alle piante, ai fiori e alle stagionalità che contraddistinguono il cottage garden; un corso accelerato, insomma, perfetta e coerente prosecuzione delle esplorazioni già condotte in Giardini segreti.
Certo non è semplice sintetizzare in poche battute l’evoluzione di un fenomeno apparentemente così di contorno eppure così strettamente legato ai cambiamenti sociali, economici e culturali della società inglese. Si può dire che le tappe della sua evoluzione siano scandite di secolo in secolo, e che l’inizio del culto per il gardening domestico conosca una prima svolta nel 1570, quando in Inghilterra si insedia un nuovo genere di giardiniere e le specie autoctone vengono accompagnate da tipologie di fiori e piante e apprezzate anche per le loro qualità estetiche, al punto che nel 1600 il giardinaggio non fu più una necessità ma diventò un autentico passatempo nazionale. Nel 1700, quando molti scrittori e personaggi eccentrici in linea con le idee di Rousseau adottarono e promossero uno stile di vita più a contatto con la natura stabilendosi lontano dalle città, e dunque in case di campagna dotate rigorosamente di giardino - talvolta non prive di quelle caratteristiche ispirate allo stile “Pittoresco” teorizzato da William Gilpin e Sir Uvedale Price - il cottage in sé divenne sinonimo di vita autentica e armoniosa. L’idealizzazione romantica del country venne poi ulteriormente accentuata alla fine del XVIII secolo dal movimento Arts and Crafts e ancora durante la Rivoluzione industriale, quando le dimore di campagna divennero sinonimo di paradisi privati avulsi dalle brutture del mondo, contrapposti alla sempre più infernale qualità della vita delle zone urbane. William Morris, principale sostenitore del movimento, fondò due “eden” personali (una, Red House, nei sobborghi di Londra, e un'altra a Kelmscott Manor, nell’Oxfordshire) e «fu il precursore di una nuova corrente di artisti, scrittori, innovatori e giardinieri che trassero ispirazione dai cottage e dai loro giardini, non solo salvandoli in certi casi dall’abbandono, ma creando nel contempo il moderno mito del cottage garden» (p. 29). E fu proprio in questo periodo intorno al 1860, non a caso, che gli acquerellisti cominciarono a riprodurre le tipiche scene di vita rurale che consegnarono il cottage garden all’immaginario collettivo, mettendone in evidenza l’assenza di formalismi e la versatilità, ovvero ciò che lo rendeva possibile e replicabile in qualsiasi estensione di terreno e con qualsiasi budget.
Per quanto possa sembrare paradossale, il tratto stilistico distintivo del giardino inglese è la sua totale assenza di struttura, ovvero la mancanza di un progetto chiaro che regoli la disposizione al suo interno di alberi, piante e fiori. Lo scopo, difatti, è quello di creare un giardino che sembri essersi creato del tutto spontaneamente, motivo per cui ogni proprietario o giardiniere non deve mai stravolgere il sito e la sua storia, bensì rispettarne ed esaltarne le caratteristiche preesistenti. Proprio perché il cottage garden non ha una finalità estetica ma punta all’esaltazione della bellezza naturale, le piante possono essere accostate tra loro come in un mosaico, senza approcci o disposizioni gerarchiche definite in base all’altezza, e per lo stesso motivo possono essere allocate in una moltitudine di vasi da spostare a piacimento, alla ricerca di dinamismo e accostamenti insoliti più che di effetti e colpi di scena (per quelli ci si potrà tutt’al più concedere un cespuglio ben topiarizzato). Lo stesso principio di una bellezza discreta e rasserenante si applica alla scelta dei fiori. Se è vero che «il fascino del giardino risiede nelle sue naturali gradazioni di tinte: niente sfacciate macchie di colori accesi o sfoggi di abilità artistiche» (p. 17), ecco che le varietà di campo saranno perfette per popolare il prato, le aiuole e i vialetti; a queste – senza peraltro dimenticare almeno un albero da frutto (pruno, melo o ciliegio) – faranno poi compagnia gli esemplari più legati all’aspetto sentimentale tanto caro ai vittoriani, ovvero lillà, gigli, speronelle, peonie e rose (e a questo proposito bisogna tenere a mente che «un cottage garden non può dirsi tale se non ha almeno una rosa, rampicante, a cespuglio o ad arbusto. Le rose da piantare nella bordura del cottage sono quelle antiche e quelle inglesi, evitando a tutti i costi i rigidi e sgraziati ibridi di tea. Più sono romantiche, meglio è» (p. 80).
Ai cottage garden “classici” è dedicato, infine, il quarto capitolo: Claire Masset passa in rassegna otto autentici archetipi della categoria, divenuti famosi tra i cultori e gli appassionati per l’importanza dei lori proprietari o alcune caratteristiche esclusive oltre che per l’evidente bellezza, e nel decantarne storia e particolarità punta sempre a trasformare il lettore in visitatore, ricordandogli come un tour in loco sia sempre e comunque da preferire a qualsiasi descrizione con parole e immagini. Ecco dunque la casa natale di Anne Hathaway (compagna di William Shakespeare) nel Warwickshire e quella nel Dorset dove nacque Thomas Hardy; ecco Hill Top a Near Sawrey, dove abitò Beatrix Potter, e ovviamente ecco la celebre Monk’s House nell’East Sussex, vera e propria dimora rifugio di Virginia Woolf e suo marito Leonard (a cui Nino Strachey ha dedicato un terzo del suo Stanze tutte per sé, a sua volta pubblicato nella collana National Trust). E poi ancora: Oakhurst Cottage nel Surrey, abbandonato dagli ultimi fittavoli solo nel 1981; l’Alfriston Clergy House nell’East Sussex, che fu la prima proprietà acquistata dal National Trust poco dopo la sua fondazione, e per sole dieci sterline, nel 1896; Plas yn Rhin a Gwynedd, che vanta il primato di essere l’unico giardino bio del National Trust in Galles; East Lambrook Manonor a Somerset, regno della famosissima Margery Fish (1892-1969), considerata e soprannominata la madre del giardinaggio moderno per la sua convinta promozione di un approccio che fosse domestico e replicabile, l’unico davvero efficace perché ogni individuo fosse in grado di esprimere se stesso attraverso la cura del proprio giardino.
Arricchito di luce e colore da meravigliosi quanto numerosi scatti fotografici (sempre corredati da didascalie) che mostrano una varietà di cottage e cottage garden con un assortimento di inquadrature che va dal campo lungo al dettaglio, questo terzo volume della collana National Trust non mancherà di conquistare in prima istanza i patiti della britishness e del vittorianesimo, ma si candida come lettura ossigenante e rigenerante soprattutto per chi in questa particolare congiuntura storica non ha modo di avvantaggiarsi nemmeno della presenza di qualche aiuola vicino casa. Per i più fortunati proprietari di giardino, invece, il lavoro di Claire Masset sarà al contempo un campionario di spunti e suggestioni oltre che una guida pratica ricca di consigli e indicazioni. Ad ogni modo, indipendentemente dalla categoria di pubblico alla quale si appartiene, Cottage garden è un libro d’atmosfera, che rilassa e rasserena, da apprezzare – stavolta più che mai, e in omaggio al genius loci – mentre si sorseggia una meditativa tazza di tè alle cinque del pomeriggio.
Cecilia Mariani