Coriandoli il giorno dei morti
di B. Traven
Racconti edizioni, ottobre 2019
Traduzione di Lydia Magliano
Introduzione e illustrazioni di Vittorio Giacopini
pp. 211
€ 17,00 (cartaceo)
Prima che Salinger si isolasse dal mondo, prima che Elena Ferrante suscitasse interesse con il mistero della sua vera identità, c'è stato B. Traven, lo scrittore che ha insegnato al mondo il concetto di scomparsa dell'autore. Incerta la nazionalità, incerto il nome reale, sconosciuta la residenza, l'indirizzo affidato a una casella postale messicana, probabilmente di lingua madre tedesca, di lui si viene a conoscenza con la pubblicazione de Il tesoro della Sierra Madre da cui poi verrà tratto il film del 1948 con Humprey Bogart. "Forget the man", ripeteva, indicando che per il pubblico, l'unica cosa importante di un autore dovrebbe essere la sua opera.
Coriandoli il giorno dei morti è una raccolta di racconti che è quasi un manifesto di una dichiarazione artistica così intensa e dove si mescola un'attenta osservazione antropologica del Messico e dell'America, dove l'arte è il bene supremo ma non sempre è riconosciuta per il proprio valore e dove persino i santi e gli déi sono un'emanazione diretta dei vizi e difetti umani. Quasi un Mondo Piccolo, solo che invece di essere ambientato nella Bassa, si perde nei meandri della giungla messicana.
In un paesino dello stato di Oaxaca comparve un bel giorno un americano che si proponeva di studiare i luoghi e gli abitanti. (p. 25)
Comincia così il racconto Il grande industriale. Un americano che si trova in un paesino e scopre uno straordinario artigiano di cestini di rafia in cui vede immediatamente la possibilità di grandi guadagni. Cosa emerge dalle osservazioni di questo gringo?
Sicuramente che gli indigeni hanno quasi occhi da bambini nell'osservare il mondo. In Un rimedio infallibile si chiede a un americano di rintracciare una moglie fuggiasca tramite un binocolo che si pensa essere in grado di scandagliare gli angoli più remoti della terra. In L'uomo di guardia un ligio minatore resta sotto un sasso pericolante per avvisare tutti del rischio crolli e, alle preoccupazioni dell'ingegnere incaricato, replica che lui lì è comodo e non deve stancarsi per mettere in guardia i colleghi. In L'onore della famiglia una povera domestica dopo la morte dello zio non recupera il sorriso fino a che il cadavere del de cuius non si gonfia abbastanza da figurare bene nell'abito da sepoltura.
Un'altra osservazione che l'americano potrebbe fare sarebbe quello del rapporto con i santi e le divinità, considerati afflitti dagli stessi vizi di noi umani. Nella Migrazione di sant'Antonio, un minatore perde il proprio orologio e si rivolge al santo delle cose perdute per riuscire a recuperarlo. Ma quando il miracolo non si compie, il minatore non esita a "torturare" la statua del santo immergendola in un pozzo fino a che la grazia non gli viene concessa. O ancora in La lettera di ringraziamento un ladro viene preso non a causa della sua avventatezza, ma perché ha truffato il santo a cui aveva promesso il venticinque per cento del bottino e che quindi si è vendicato per l'imbroglio.
Fanno affari come i bambini, i messicani, quando giocano a tirare sul prezzo o ti fregano offrendo e riprendendo un misero pesos o vendono per cinque volte lo stesso asino allo sprovveduto acquirente.
Dovremmo quindi ritenere che questo americano che guarda alle faccende degli indigeni sia superbo e appartenente a un popolo superiore? Ecco come continua la descrizione del gringo ne Il grande industriale.
L'esperto di cose messicane fece in fretta i suoi conti. [...] non fu neppure sfiorato dal dubbio; certo aveva capito male. Forse dipendeva anche dal suo pessimo spagnolo. (p. 31)
Questo americano che si professa osservatore e conoscitore del paese, in realtà ne ha una visione ben poco veritiera. Ritiene i messicani "gente irrecuperabile" e pretende che il paese gli venga presentato come lui immagina che sia: rozzo, barbarico e sanguinario. L'americano non accetterebbe niente di meno perché non corrisponderebbe ai suoi ideali come espresso nel racconto Una storia davvero cruenta.
La sua storia non è né molto appassionante né molto pepata e neppure particolarmente cruenta. Ma il peggio è che Pancho non vi sostiene una parte attiva. Farà bene, lei, a dimenticare il suo progetto di diventare corrispondente estero di un giornale americano. (p. 123)
Così si sente rispondere un giornalista quando presenta una storia sulla dittatura messicana che comprende solo qualche testa infilzata su una picca e nessun combattimento per le strade.
B. Traven, mimetizzato al massimo, non parteggia per nessuno e non risparmia ironia e critica evidenziando solo come le due parti in causa non riescano a capirsi, come agiscano su due piani e modi di ragionare del tutto diversi e dove anche i tentativi di conversione al cristianesimo sembrano una battaglia persa.
Ma, come nel parallelo Mondo Piccolo guareschiano, il continuo addentrarsi e spingersi nell'osservazione, fa sì che un punto di contatto ci sia.
La boscaglia cantava la sua eterna canzone, cantava le sue storie eternamente rinnovate, di cui ciascuna incominciava riprendendo l'ultima frase di quella appena terminata. (p. 211)
Nell'ultimo racconto Una visita notturna nella giungla arriviamo a un
punto che sarebbe stato impensabile per l'americano de Il grande
industriale che voleva solo sfruttare il commercio dei cestini a poco prezzo: il desiderio e la necessità di raccontare storie che
emergono dalla giungla per preservarne il ricordo e per ammettere che,
alla fine, lo hanno raggiunto e catturato.
Giulia Pretta