Forse è scritto da qualche parte che i figli ripercorrono gli stessi errori dei genitori. Muri e pareti che ti avvolgono come le spire di un serpente. Tenaglie, morse, oggetti duri e acuminati che ti si parano intorno e davanti, ti viene il terrore che possano davvero bucare il cranio, che tu ti possa ferire e che le ferite possano sanguinare. (p. 176)
«Lui la addolorava e lei lo amava, era come se riuscisse a lavarsi da tutte le emozioni passate per giungere di nuovo pulita davanti a mio padre, come se possedesse un filtro capace di grattare via ogni impurità, tutta la munnezza di cui lui la ricopriva» (p. 60)
«Marilyn mi permetteva di scappare da mio padre e pure da mia madre. Quando ero da lei, i loro spettri non mi inseguivano e avevo l'illusione di riuscire a sfuggire al vico e al suo morso» (p. 86).
Marilyn introduce Rosa alla conoscenza del proprio corpo, non la mortifica come invece accade puntualmente in casa, ma cerca di farla sentire bella, indipendente, emancipata. Quando anche Marilyn non potrà più starle accanto, Rosa cercherà una via d'uscita ben più decisiva: un amore, un rapporto stabile con quel Marco che nelle prime pagine del libro scopriamo essere il suo ex marito.
Non c'è rapporto che non paghi, tuttavia, lo scotto di quei primi anni in famiglia, e solo l'esperienza diretta di certe dinamiche - non uguali, ma similmente simbiotiche - porta Rosa a capire, forse per la prima volta, sua madre, con i suoi silenzi, le menzogne, il raccontarsi "che va tutto bene". C'è però anche desiderio di riscatto, mentre la storia chiede a Rosa di prendere una decisione: riconciliarsi o meno con la sua famiglia? Ha poco tempo per pensarci, perché poi ad aspettarla troverà la madre in ospedale e il padre al suo capezzale.
Intenso, al punto da trasmettere sentimenti scomodi "di pancia", rimarcando la brutalità di una violenza che con la passività si sceglie di accettare ogni giorno, Benedetto sia il padre è anche un romanzo che lascia speranze. Scriverlo, come dichiara l'autrice nei ringraziamenti finali, «è stato un viaggio d'amore e di riconciliazione, a volte doloroso ma bellissimo» (p. 233). C'è del torbido, certo, e da questo fondo di dolore è difficile riemergere e respirare, ma non è impossibile farlo: bisogna avere il coraggio di staccarsi dalle scelte dei propri genitori, pur non rifiutando i legami.
La scelta di uno stile estremamente sorvegliato, ricco, ben calibrato tra ricordi e presente, la gestione consapevole di sequenze riflessive, dialogiche (con qualche concessione al dialetto) e narrative, con giusto qualche spruzzo di descrizione, fanno sì che Rosa Ventrella arrivi dritta alle paure e ai desideri più intimi di noi lettori e frughi in mezzo al vissuto di ognuno, grazie alla felice scelta del narratore omodiegetico.
GMGhioni