Gente sbagliata. La prima indagine di Jacopo Ravecca
di Alessio Piras
Altre Voci edizioni, 2020
pp. 221
€ 15,90 (cartaceo)
€ 5,99 (ebook)
Milano mi era entrata nel cuore, mi aveva avvolto e accolto; cullato nel suo operoso quotidiano, nella sua semplicità nascosta e mai ostentata. Ma l’inverno meneghino, buio e freddo e soffocato nella scighera, Mi ostinavo a non volerlo accettare.
La fredda e apparentemente inospitale Milano è la protagonista nascosta dell’ultima fatica letteraria di Alessio Piras, già noto ai lettori di Critica per la “trilogia Pagani/Marino” (qui le recensioni del primo, del secondo e del terzo capitolo) e per il saggio sulla letteratura che si riferisce alla Guerra Civile spagnola. Come nel caso della trilogia, anche in Gente sbagliata troviamo un romanzo poliziesco, che segue un’indagine condotta dal Commissario Ravecca e dall’Ispettore Rapisarda. Genovese l’uno, siciliano l’altro, profondamente diversi nel carattere e nei modi, i due sono una coppia perfettamente assortita ed efficacissima oltre che godibile nei numerosi, divertenti e divertiti scambi di battute condite con ironia o sarcasmo, a seconda della necessità.
I due poliziotti indagano sull’omicidio di un anonimo ex alcolista, portiere notturno in un albergo del centro, ritrovato senza documenti ma con in tasca un diario che si rivelerà preziosissimo per la ricostruzione degli eventi, l’identificazione della vittima e la risoluzione del caso.
Come di consueto, trattandosi di un giallo, in questa recensione nulla viene svelato della trama; pare invece interessante analizzare altri aspetti che fanno di questo Gente sbagliata un romanzo assolutamente degno di lettura.
Alessio Piras ci ha abituati, nei suoi precedenti lavori, a una narrazione composita e stratificata. Il coro shakespeariano, cifra caratteristica della sua trilogia “genovese”, in questo romanzo lascia il posto all’artificio del manoscritto ritrovato, di memoria manzoniana (forse più cervantina, nel caso di Piras), che arricchisce il narrato e aiuta il lettore a strutturare la vicenda man mano che l’indagine procede. Nel romanzo di susseguono parti “in diretta” e parti raccontate dall’estensore di quel manoscritto finito in modo più o meno fortuito nelle mani del narratore a causa di un momento di sbadataggine (?) dello stesso Ravecca. E proprio da quella metanarrazione affiorerà la chiave di lettura che permetterà la ricostruzione definitiva dei fatti.
Altro aspetto interessante di Gente sbagliata è la concezione dei personaggi. Nella scrittura di Piras c’è una sorta di ricalibrazione e di fusione delle caratteristiche proprie dei due maggiori rami del canone poliziesco, ossia del racconto basato esclusivamente sul progredire dell’indagine e di quello basato sulla “fisicità” dei personaggi e sul realismo spinto. Ravecca non è un puro razonador borgesiano, la vicenda non è un mistero della stanza chiusa come in Poe o Ellery Queen; però non troviamo neanche quella concretezza talvolta esasperata tipica della narrativa hard boiled, con i suoi personaggi sconfitti, ruvidi e disillusi. In Gente sbagliata non ci sono inseguimenti, sparatorie o scene particolarmente dinamiche, ben lontane dalla realtà di un lavoro, quello dell’investigatore, fatto di pazienza e di procedimenti analitici e sintetici, sempre calato nella realtà quotidiana. I personaggi di Gente sbagliata sono donne e uomini comuni, ognuno con le proprie peculiarità, tutti perfettamente inseriti in un contesto “normale”.
E poi c’è Milano, la protagonista che fa da sfondo alla vicenda; fredda e intrappolata in quella nebbia che penetra fino nell’animo, così diversa dalla Genova di Ravecca in cui la maccaia è più sopportabile rispetto alla scighera, quella Genova profumata di basilico in cui Ravecca torna appena ha una giornata libera. Una Milano invernale, fredda ma solo dal punto di vista climatico, perché è proprio in questo periodo che il fascino di questa città emerge con maggiore evidenza; una città che, se la si scandaglia con pazienza, si dimostra assai diversa da quella metropoli caotica, spersonalizzante e frenetica banalizzata attraverso lo stereotipo di città “da bere”. Milano è ben altro, e sia il genovese Ravecca che il siciliano Rapisarda imparano presto a riconoscerne e apprezzarne le diverse sfaccettature.
Di Gente sbagliata è interessante anche il sottotitolo, che suggerisce la possibilità di un seguito a questa prima avventura milanese. Direi che è un’ottima notizia.
Stefano Crivelli